la Repubblica, 26 settembre 2024
Rouslan, l’anarchico torturato in Russia
Una notte di novembre del 2023, nella stazione di polizia di Ryazan, a Sud di Mosca, le urla strazianti di un giovane uomo vengono soffocate con un panno. Una forte corrente elettrica, generata da un telefono da campo di fabbricazione sovietica, attraversa il suo corpo, i muscoli si contraggono e lui sbatte la testa contro il pavimento per sopprimere il dolore. Tra una scarica e l’altra, viene interrogato. Non sorprende che la polizia russa torturi i prigionieri politici. Eppure, questo caso è speciale: l’ospedale ha documentato le sevizie e la vittima, di nome Rouslan Sidiki, ha il passaporto italiano.
Il calvario di Rouslan continua tutta la notte. Dopo le scariche, gli infilano in testa un sacco con un piccolo foro, lo ammanettano e lo appendono per i ceppi, che gli tagliano la pelle dei polsi. I torturatori minacciano anche di “spellare i genitali” con le pinze e di stuprarlo con una scopa. La violenza è del tutto inutile: Rouslan ha confessato i suoi due atti di resistenza attiva contro la guerra in Ucraina. Il primo: a fine luglio 2023 arma quattro droni che lancia verso un aeroporto militare, non lontano da casa sua. Di questi quattro, solo uno prende il volo, raggiunge la meta e fa qualche danno alla pista. Il secondo gesto ha maggiore risonanza e ricorda a noi italiani la storia raccontata nella canzone di Francesco Guccini “La Locomotiva”. Anche Rouslan vede dalle sue finestre passare tutti i giorni un treno, “lontana destinazione”. In questo caso non è “pieno di signori”, come recita la canzone, ma di armi. Rouslan si apposta per settimane ai bordi della foresta e, agli inizi di novembre, piazza un ordigno sui binari. Diciannove carrozze deragliano. Nessun militare né civile viene ferito. Rouslan viene arrestato alla fine di novembre.Chi è questo giovane uomo? Abbiamo ricostruito la sua storia sulla base di interviste esclusive in Russia con un amico di famiglia, il suo avvocato, l’attivista di una Ong che segue il caso e i documenti che Rouslan stesso ha scritto in carcere. Nato nel 1988, cresce a Ryazan con la madre e la nonna, cui è legatissimo, mentre il padre non fa parte della loro vita. Nel 1999 la madre sposa un cittadino italiano e la famiglia si trasferisce in un appartamento nella periferia di Siracusa. Rouslan frequenta le scuole fino ai diciotto anni e stringe amicizia con ragazzi della sua età, che hanno nomi italiani come Danilo e Alessandro. Trova poi lavoro ad Augusta in un’azienda che noleggia macchinari, fino a quando decide di tornare a vivere in Russia.«Rouslan è una persona gentile, affidabile, ci siamo conosciuti nel 2009 per un progetto di viaggio aCernobyl», ci racconta da San Pietroburgo Ivan (che chiede di restare anonimo: il nome è di fantasia), il suo miglior amico, che in questi giorni lo aiuta mandando lettere alle autorità e pacchi con cibo e libri. Insieme hanno vissuto per un periodo in una comune, dove Rouslan ha costruito una casa. Lì diventa vegetariano e ambientalista. «La nostra ispirazione non era di tipo religioso, ma anarchica. Eravamo in contatto con la Lega degli Anarchici, con gruppi di femministe e partecipavamo a manifestazioni politiche. Era il nostro modo di essere all’opposizione in Russia, quando era chiaro che lo stato diventava sempre più oppressivo», continua Ivan.Rouslan si impegna per la causa dei popoli oppressi del Caucaso, ma l’invasione dell’Ucraina lo sconvolge. «Nostri amici muoiono da entrambe le parti, sono solo carne da cannone», dice. Grazie a conoscenze fatte durante i viaggi a Cernobyl, Rouslan si mette in contatto via Telegram con l’intelligence ucraina e propone di fare azioni di disturbo. «Fu incoraggiato ad agire, ma i piani erano del tutto suoi e in nessun modo Rouslan lavorava per i servizi ucraini», ci dice il suo avvocato, Igor Popovsky.Nell’autunno del 2023 muore la nonna e Rouslan commette un paio di errori che lo fanno scoprire.Ivan Astashin, un attivista di Zona Solidarnosti, una Ong che si occupa di prigionieri politici russi accusati di atti concreti contro il regime, segue questo caso. «Rouslan è stato torturato molto probabilmente dai servizi russi, l’Fsb. Non è affatto un episodio isolato, ma in genere le vittime hanno paura di denunciare gli abusi e non esistono prove documentali. In questa vicenda è successo qualcosa di straordinario». Dopo le sevizie subite nella stazione di polizia, Rouslan viene portato in prigione, dove il medico di guardia documenta le lesioni («Molteplici ferite infette e aperte nella zona del cuoio capelluto e di entrambi i polsi. Contusioni ai tessuti molli della regione periorbitale sinistra. Contusioni ai tessuti molli, ematomi sottocutanei diffusi in fase di riassorbimento sulla schiena»). L’avvocato fa richiesta—di norma negata—del referto medico. In questo caso, l’amministrazione penitenziaria commette un “errore” e rilascia il documento. Per una volta, le stesse autorità ammettono le lesioni. Difficiledire se si tratti di incompetenza oppure di un gesto di sfida da dentro il sistema.«L’unica speranza per Rouslan è sollevare l’attenzione sul suo caso. Questo lo protegge da ulteriori torture e magari un giorno può essere inserito in una lista di prigionieri di guerra da scambiare», ci dice Igor Popovsky. L’avvocato rischia molto per aver accettato di rappresentare Rouslan (in passato le autorità gli hanno messo in borsa un ordigno).Canta Guccini: “Non so che viso avesse, neppure come si chiamava / con che voce parlasse, con quale voce poi cantava / quanti anni avesse visto allora / di che colore i suoi capelli, ma nella fantasia ho l’immagine sua: gli eroi son tutti giovani e belli”. Rouslan ha un volto, una voce e un corpo, e merita di essere protetto contro un regime che tortura i suoi cittadini. Che sono anche i nostri.