la Repubblica, 26 settembre 2024
Il valore della cittadinanza
Cittadinanza è una bella parola. Nasce alla fine del Settecento ed ha come vigorosa levatrice la Rivoluzione Francese.
Significa che ogni persona è uguale di fronte allo Stato, ha gli stessi diritti e gli stessi doveri. Non ci sono più aristocratici e popolo, non il re e i sudditi, non le caste e le corporazioni: ci sono i cittadini, e tanto basta per definire le regole della comunità. Cittadinanza, dunque, è una parola democratica per eccellenza, e forse la più democratica di tutte le parole.L’impressionante numero di firme raccolte dal referendum sulla cittadinanza (con il solito meccanismo abrogativo: cambiare la legge che ne limita la concessione agli immigrati, che sono i nuovi italiani) contiene un forte segnale politico e direi anche un preciso avvertimento culturale a chi ci governa.Cittadinanza non è etnia, non è razza, non è religione, non è Nazione. Non è Dio, Patria, Famiglia. È un criterio di appartenenza e di consociazione molto più vasto, molto più giusto e assai meno divisivo. Dice che vivere in tanti in un posto mette quei tanti nelle stesse condizioni e li vincola alla stessa legge.Che sia l’estensione della cittadinanza, con quello che ne consegue, a mobilitare così tanti italiani, e in grande misura i ragazzi che non capiscono perché mai il loro compagno di scuola, di università o di lavoro che viene da lontano e paga le stesse tasse non debba essere considerato un con-cittadino, è una specie di scossone democratico. Parla di una comunità di italiani non sopita, tutt’altro che indifferente, stanca della grettezza ideologica al potere.