Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  settembre 26 Giovedì calendario

Il ritorno dei Negrita


«Non vendiamo zuppe riscaldate», dice Pau, il frontman dei Negrita. Tecnicamente quella della band aretina non è una reunion, i Negrita non si sono mai lasciati. Tre anni fa, all’uscita del loro «Mtv Unplugged», i tre sembravano aver perso ogni prospettiva: «La musica non ci dà stimoli. Il futuro? Non si sa», dicevano. Pau e Drigo sembravano aver trovato sfogo nell’arte e Mac in altri progetti. Lo scorso anno un tour li ha rimessi in pista, ma ancora non c’era nuova musica a dare l’idea di futuro. Quando domani sera saliranno sul palco del Forum di Assago per l’unico appuntamento con cui celebrano 30 anni di carriera, in scaletta ci sarà anche una nuova canzone, aperitivo di un nuovo progetto musicale.
È il primo passo che ridà prospettiva ai Negrita. C’è stato un momento in cui avete pensato allo stop?
Drigo: «Sono stati anni più che un momento... Tante volte ci siamo detti che eravamo in crisi, ma questo ormai è il passato. Non ci sono sospesi e siamo tornati a stare bene come 30 anni fa».
Mac: «Nessuno ci ha obbligati. Sono state le canzoni che avevano qualcosa da dire a smuoverci».
C’è stato un momento chiave per la ripartenza?
D: «Il lockdown è stato intenso per tutti, è calato un sipario nero sul futuro, e ci siamo fermati tutti a pensare. È stato un potente momento di riflessione. Noi tre abbiamo capito che stiamo bene insieme. E poi abbiamo preso coscienza del ruolo dell’artista: è un dono e un talento che non può essere investito solo commercialmente. L’artista deve dire qualcosa per elevare, dare slancio: è una missione».
Pau: «Forse una mission impossible... Siamo dei Don Chisciotte contro i mulini a vento. Abbiamo scavato dentro di noi, ricercando le basi di quella classicità musicale che ci ha portato fin qui e i valori di una musica che non può essere ridotta a sottofondo e non più protagonista che urla».
Bilancio?
P: «Celebriamo 30 anni di professionismo musicale da artigiani e una fratellanza che è il legante più importante. Abbiamo avuto la pretesa di creare nella provincia italiana una band rock and roll senza paura, che nel corso della carriera ha affrontato sound e tematiche diverse: tutto questo in una nazione che viveva il r’n’r in maniera riflessa».
Il primo successo fu «Cambio», testo arrabbiato che sperava in un «cambio di mentalità»...
Non ci interessano più le classifiche: siamo un gruppo cult e ci concentria-mo senza compro-messi sulle nostre radici
P: «Il testo era un manifesto. Nella prima fase della carriera pensavamo che quella sarebbe stata la nostra chiave di volta, poi abbiamo capito che potevamo fare anche cose più leggere».
Domani esce «Non esistono innocenti amico mio» e, come allora, il testo guarda alla società con riferimenti ai femminicidi, all’incomunicabilità, e alla politica con una frase su «famiglia, razza, patria e pure Dio»...
P: «Torniamo ad essere incazzati con quello che c’è intorno. Non è per dare scandalo o far parlare i media. Tutto quello che stiamo facendo avrà questo taglio. Il progetto che sta nascendo sarà un concept letterario e il fil rouge sarà la rappresentazione della contemporaneità. Siamo critici, disillusi, ma ci sarà anche un filo di speranza».
Vi diranno: «Pensate a cantare!».
P:«Come sempre. Ma perché non dovremmo poter parlare di politica? Non solo a noi lo si vuole impedire. Ormai se manifesti finisci per essere manganellato. Bisogna reagire a questo clima».
È in questo impegno lo spirito folk e dylaniano che annunciando il brano avete citato come ispirazione?
P: «Non solo il testo, anche se la parola avrà più spazio rispetto al sound. Dallo studio di Dylan e del folk americano dell’epoca stanno nascendo canzoni chitarra e voce, che in alcuni casi abbiamo poi vestito diversamente in studio».
Oggi la musica ha perso la dimensione collettiva... Voi invece...
P: «È una reazione a quello che non scrivono, gli altri. Siamo un gruppo cult e non da classifica. Abbiamo avuto delle hit radiofoniche ma con il cambiamento generazionale, è normale che certe dinamiche si siano interrotte. Si è esaurito un ciclo. E quindi ci concentriamo su di noi, sulle radici, senza compromessi».