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 2024  settembre 26 Giovedì calendario

Napoleone in Italia e in Piemonte

Napoleone in Italia e in Piemonte
 
 
Le vicende della Rivoluzione francese successive al 1792 portano la Francia ad entrare in guerra contro tutte le maggiori potenze europee, prime fra tutte l’Austria e la Prussia.
Anche il Piemonte viene interessato da queste vicende a causa dell’occupazione francese della
Savoia e del Nizzardo; inoltre, nello stesso anno i Francesi tentano alcuni sbarchi in Sardegna: a capo di queste spedizioni c’è un giovane generale ancora sconosciuto, Napoleone Bonaparte.
La guerra procede con fasi alterne, fin quando nel 1796 Napoleone verrà nominato comandante
supremo dell’Armata d’Italia, quell’esercito che doveva condurre un’azione di disturbo nei confronti degli eserciti piemontese e austriaco, mentre altre due parti dell’esercito francese, guidate dai generali Jourdan e Moreau, avevano il compito di dirigersi verso la Germania e l’Austria.
La vittoriosa campagna napoleonica fu fulminea: il generale attaccò le truppe austriache a Monte-notte, Dego, Millesimo, costringendo il loro coman-dante, Beaulieu, a ritirarsi in Lombardia e a isolare l’esercito sabaudo; quindi, vinse le truppe piemontesi a Ceva, a San Michele e a Mondovì.
A questo punto, Vittorio Amedeo III è costretto a chiedere una tregua al futuro imperatore: il 28 aprile fu firmato l’armistizio di Cherasco, sancito poi a Parigi da un successivo trattato di pace, con il quale il re sabaudo cedeva Nizza, la Savoia e Tenda ai Francesi, che ottennero anche alcune fortezze militari piemontesi e un cospicuo contributo in denaro.
Ora il generale Bonaparte non ha più resistenze davanti a sé e può dilagare nella pianura Padana,
verso la Lombardia, dove il 14 maggio, dopo aver vinto gli Austriaci a Lodi, può entrare trionfalmente a Milano, e poi a Pavia, Brescia, Peschiera; assedia Mantova, ultimo rifugio austriaco in Lombardia, ma nel febbraio dell’anno successivo gli Austriaci sono costretti a lasciare definitivamente la Lombardia.
Nel frattempo, già nel mese di giugno, Napoleone firma anche un accordo con il Regno di Napoli, al quale impone di cessare i rapporti di aiuto militare alla flotta inglese, costringe al negoziato Parma e Modena e le sue truppe entrano in Romagna, regione che allora costituiva il limite settentrionale dello Stato Pontificio. Quest’ultimo ottiene un parziale ritiro delle truppe francesi in
cambio di un oneroso contributo in denaro e della cessione di un centinaio di opere d’arte e di circa
cinquecento codici della Biblioteca Vaticana. I rapporti con lo Stato Pontificio verranno poi regolati
dalla pace sancita a Tolentino nel febbraio 1797, che costringe il pontefice a una nuova contribuzione in denaro, permette lo stanziamento dei Francesi ad Ancona e la cessione di alcuni territori.
Nella fase conclusiva della guerra in Italia, Napoleone si scontra nuovamente con gli Austriaci,
entrando per la prima volta nel loro territorio e incalzando verso Vienna. Durante questa marcia
trionfale venne a conoscenza della disponibilità degli Austriaci a accettare una tregua.
Napoleone in un primo tempo si presentò in Italia come un liberatore, come colui che portava i
grandi ideali di libertà che avevano mosso la Rivoluzione francese, e per questo motivo sul suo
passaggio si formavano dei gruppi giacobini in aperto contrasto con le case regnanti dei vari stati
italiani e in appoggio all’azione francese.
A Reggio Emilia nell’agosto 1796 si era formato un governo provvisorio democratico, in aperta ribellione al duca Ercole III d’Este, il quale fu dichiarato deposto.
Ben presto però deluse queste aspettative: la prima a farne le spese fu la Repubblica di Venezia,
destinata a scomparire già nel novembre del 1797, quando Napoleone firmò il trattato di Campoformio con gli Austriaci: con questo accordo, infatti, l’Austria otteneva oltre alla Dalmazia e all’Istria anche il Veneto.
Malgrado questa cocente delusione, i giacobini e i riformisti italiani continuarono ad appoggiare
Napoleone, soprattutto nella fondazione delle Repubbliche democratiche, in un complesso progetto di riordinamento politico e amministrativo dell’Italia: nel 1797 fu fondata la Repubblica cisalpina, l’anno seguente quella romana, dopo che il papa fu costretto a ritirarsi in Toscana; nello stesso anno fu invaso il regno borbonico e a Napoli venne fondata la Repubblica partenopea, nata con la carneficina di 3000 popolani napoletani che si ribellarono all’occupazione francese; nel 1799 anche Ferdinando III, granduca di Toscana, dovette arrendersi all’invasione e riparare a Vienna.
Solo il Piemonte non poté dotarsi di una propria repubblica, in quanto Napoleone pensava piuttosto alla sua annessione alla Francia. L’unico tentativo, fallito, di creare una municipalità repubblicana in Piemonte risale al 1796, qualche mese prima dell’armistizio di Cherasco e ha come teatro proprio la città di Alba: qui, due patrioti, Ignazio Bonafous e Giovanni Ranza, fondarono una repubblica, che nei loro progetti doveva diventare l’avamposto della diffusione degli ideali di libertà portati dalla Francia, che di qui avrebbero dovuto diffondersi in tutto il nord Italia. Il trattato di Cherasco prima, e l’annessione del Piemonte alla Francia poi, impedirono il concretizzarsi di questo progetto e trasformarono la repubblica di Alba in un’esperienza effimera.
In realtà, anche quando i Francesi permettevano la nascita di repubbliche formalmente indipendenti, imponevano un regime di occupazione che richiedeva continui tributi, sia in denaro, sia sotto forma di requisizioni del patrimonio artistico.
Inoltre, l’esperienza repubblicana dell’Italia non durò a lungo: dopo la breve parentesi delle vittorie
della coalizione sul finire del secolo, che approfittarono del momentaneo impegno di Napoleone in
Egitto, e la vittoria napoleonica a Marengo, le repubbliche subirono una vera e propria definitiva
occupazione con la trasformazione in regni, affidati a parenti o uomini di fiducia del nuovo imperatore dei Francesi.
Questa situazione, come è noto, muterà solo con le sconfitte napoleoniche di Lipsia e Waterloo,
quando il Congresso di Vienna, restituirà alle dinastie deposte da Napoleone i loro troni.
La prima sezione della mostra vuole documentare questa situazione storica, presentando, oltre che un acquerello con l’entrata delle truppe francesi ad Alba, anche i ritratti di alcuni personaggi protagonisti della convulsa storia di quegli anni, a partire da Napoleone stesso e dai suoi principali generali: Menou, che divenne governatore della Toscana e Soult, un generale dai raffinati gusti artistici, grazie ai quali creò una propria importante collezione iniziata a Torino e perfezionata in Spagna. Alla sua morte essa era talmente consistente che il re di Francia Luigi Filippo la utilizzò per dar vita alla celebre “Galleria spagnola” del Louvre.
Anche Camillo Borghese, cognato di Napoleone in quanto marito di Paolina Bonaparte, fu in Italia e proprio in Piemonte, in funzione di governatore generale dei dipartimenti al di là delle Alpi. Raffinato collezionista, quando si trasferì nella capitale sabauda, fece trasportare nella sua nuova residenza anche parte della sua ricca collezione, compreso il famoso ritratto di Paolina Borghese come Venere vincitrice realizzato da Antonio Canova. Della bella e capricciosa moglie del principe Borghese è presente in mostra un busto, calco in gesso tratto dalla celebre scultura ad opera dello scultore veneto.
Alla fine di questo percorso è presente anche un ritratto di Ludovico Costa, l’erudito allievo di Giuseppe Vernazza, che larga parte ebbe nel richiedere il rientro dei tesori artistici confiscati dai francesi, dopo che l’avventura napoleonica era terminata.
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