26 settembre 2024
La storia del Sindacato a puntate
1° parte
Mimino Zuccaro
Anno 1819
Le origini del movimento operaio si manifestarono ed ebbero il loro primo riconoscimento in Inghilterra, patria della rivoluzione industriale, dove alcuni gruppi di operai capeggiati da un personaggio simbolico che si chiamava Ned Lud, da cui la parola luddismo, avevano percorso le contee più industrializzate, distruggendo i telai e altri macchinari tessili considerati la causa della disoccupazione e della crescente miseria nel settore tessile.
Non per niente i luddisti erano lavoratori tessili altamente specializzati che si opponevano alla diffusione della meccanizzazione per difendere il loro mestiere che veniva praticato in prevalenza manualmente.
Anni 1850-1870
La nascita di un movimento operaio organizzato si può collocare in questo periodo, negli anni in cui si è realizzata una forte crescita di lavoratori salariati dovuta alla diffusione dell’industrializzazione. Da quel momento la classe operaia diventò una parte considerevole della popolazione europea, con tassi di incidenza variabili a seconda della maggiore o minore consistenza dello sviluppo industriale.
7 febbraio 1861
In Italia durante il 19° Congresso delle Società operaie tenutosi a Firenze il gruppo dei mazziniani e dei democratici misero in minoranza i moderati. Nella circostanza erano presenti duecento delegati in rappresentanza di 124 Società operaie italiane di cui 67 piemontesi. Durante i lavori si evidenziò una
profonda frattura fra le società partecipanti per una forte incompatibilità con gli interessi della classe operaia.
1-3 gennaio 1869
Per ottenere il risanamento delle finanze pubbliche il Governo italiano introdusse un’imposta indiretta comunemente chiamata “tassa sul macinato”. Questa imposta, decisa da Quintino Sella e Luigi Menabrea, causò un sensibile aumento del prezzo del pane e dei derivati del grano creando una grande scontentezza all’interno delle classi sociali più povere facendo così scoppiare in tutta Italia violente rivolte che furono represse duramente, a volte nel sangue, dall’esercito e dai carabinieri.
In Italia, sul finire dell’Ottocento, era presente un attività industriale poco sviluppata che procurava una economia irrilevante; per questo non si era ancora organizzata una classe operaia numerosa, motivata e battagliera, come ad esempio le “Trade Unions” inglesi, consapevole però di dover cercare una soluzione accettabile dei problemi sociali che più da vicino la riguardavano (distribuzione della ricchezza, orario di lavoro, rispetto delle norme igienico-sanitarie, della salute e sicurezza sui posti di lavoro).
4-6 agosto 1872
A Rimini si svolse la 1° Conferenza delle Sezioni italiane dell’Internazionale sotto la presidenza dell’anarchico Carlo Cafiero. Si trattò di una Conferenza dei delegati di 21 sezioni internazionaliste, in maggioranza romagnole e marchigiane.
L’anno successivo si riunì la 2° Conferenza, questa volta a Bologna, dove vi parteciparono 60 delegati di 11 federazioni e 24 sezioni.
Insieme a Cafiero, un personaggio riconosciuto come leader da tutti, vi era anche Enrico Malatesta.
Insieme, mediante la loro Federazione Internazionale dei Lavoratori, propagandarono le idee del filosofo rivoluzionario di origine russa Bakunin che subito furono accettate da tutti.
21 ottobre 1876
Alla 3° Conferenza della Federazione Italiana dell’Internazionale, a maggioranza anarchico-bakuniana, si staccarono le sezioni piemontesi, lombarde e venete del nord che insieme ad alcuni redattori del giornale milanese “La Plebe”, di orientamento progressista, fondano la Federazione dell’Alta Italia dell’Internazionale.
25-26 settembre 1881
A Milano si tenne il 1° Congresso della Confederazione operaia lombarda. Nello stesso anno si sviluppò e prevalse l’idea di capitalismo delle classi lavoratrici borghesi che mise in crisi l’anarchismo bakuniano e favorì l’iniziativa di Andrea Costa che riuscì a fondare nel 1881 il Partito Socialista
Rivoluzionario con precise finalità politiche: portare le esigenze operaie e contadine all’attenzione del Parlamento nazionale. A seguito di ciò l’anno successivo Costa fu eletto onorevole alla Camera dei Deputati.
Anno 1882
Durante un incontro avvenuto tra alcuni lavoratori si mette in evidenza il fatto che nella società industriale che avanza sempre di più, le tutele non possono più essere assicurate dalle Società di Mutuo Soccorso gestite dai soli padroni perché:
l’operaio non è altro che un infermo da sussidiare
un invalido da pensionare
un cadavere da trasportare al cimitero
l’operaio non figura mai come uomo che vive e che lavora né ha facoltà e forza da sviluppare
né diritti da rivendicare come persona che ha la sua dignità da tenere alta
Frammento di un colloquio avvenuto
tra un gruppo di padroni che discutevano su alcuni operai da assumere.
fonte: www.medita.rai.it
Convinzioni, purtroppo presenti, nei discorsi e nelle considerazioni per il dominante disprezzo, in quella fase storica (siamo agli albori dell’industrializzazione) verso i lavoratori nella maggior parte delle fabbriche. In vista delle prime elezioni politiche a suffragio allargato si varò una riforma elettorale per placare i sanguinosi scioperi dei contadini e degli operai in questo periodo di grave crisi.
Nello stesso anno si costituì a Milano il Partito Operaio Italiano su iniziativa di Osvaldo Gnocchi di composizione esclusivamente proletaria con un programma fortemente economista e riformista che, come primo obiettivo, si impegnò ad ottenere il diritto di sciopero.
Invece a Genova nacque il Partito dei Lavoratori italiani ribattezzato l’anno dopo Partito Socialista dei Lavoratori Italiani e nel 1895 Partito Socialista Italiano, sempre con la direzione di intellettuali borghesi. A questo nuovo soggetto politico aderirono operai e contadini in parte già appartenenti ad organizzazioni diverse. Tra le finalità della nuova formazione politica vi era le netta separazione dall’anarchismo e dal radicalismo dello stato borghese e la conquista del potere da parte della classe operaia.
La debolezza e la fragilità delle prime esperienze di organizzazione sindacale e politica del proletariato italiano nei due decenni immediatamente successivi all’unificazione nazionale erano state il prodotto dell’immaturità di un capitalismo caratterizzato dalla assoluta preminenza del settore agricolo.
Le 445 società operaie censite in Italia nel 1861 (circa 120.000 soci, passati a 218.000 nel 1871) avevano infatti conservato il carattere prevalentemente assistenziale e semi-caritativo di derivazione appunto mazziniana.
Con la fine degli anni ’70 la struttura industriale italiana cominciò a cambiare, avviando un processo che si sarebbe accelerato nella seconda metà degli anni ’80. L’inizio della politica protezionista e il crescente intervento dello Stato nello sviluppo economico avevano favorito un relativo rafforzamento dell’apparato produttivo, inducendo una più elevata concentrazione industriale e una più accentuata diffusione del regime di fabbrica. Dal punto di vista sociale questo cambiamento modificò abitudini e routine quotidiane della popolazione, fino ad allora prevalentemente contadina, imponendo pratiche giornaliere ed orari diversi. Nacque in quegli anni, all’ombra della protezione doganale e delle commesse statali, la fabbrica vera e propria, con il suo rigido orario di lavoro (pari a 16 ore giornaliere che durò fino agli anni novanta), con il suo ritmo ormai permanente non più stagionale: da 300 a 301 giorni all’anno, escluse cioè solo le domeniche. Si andò contemporaneamente formando un proletariato sempre più nettamente separato dal tessuto sociale contadino e dotato di un’identità più precisa. Gli effetti politici non si fecero attendere: il numero degli scioperi nell’industria, pur mantenendosi di gran lunga al di sotto rispetto a quello degli altri paesi industriali, segnò nel corso degli anni ’80 una continua crescita, passando da 32 scioperi censiti nel 1879, a 44 del 1881, 89 del 1885, 101 del 1888 e 139 del 1890, mentre il numero degli scioperanti aumentò dai 4.011 del 1879 agli oltre 38.000 del 1890.
Gli scioperi in Italia (1879-1895)
Anni
Industria Agricoltura
scioperi scioperanti scioperi scioperanti
1879 32 4.044 – - 1880 27 5.900 – - 1881 44 8.272 1 100
1882 47 5.851 2 2.200
1883 73
1884 84
1885 89
1886 94
1887 69
12.900 3 23.967
34.100 62 46.951
25.027 9
262
8.857
2.275
----
1889 126 23.322 4 1.087
1890 139 38.733 24 7.795
–
1892 – - – -
1888
1891
1893 –
109
1895 126
fonte: www.socialistirepubblicaniradicali.it
– 18
27.595 8
19.307 7
12.390
–
1.765
1894
15 aprile 1886
Le Società di Mutuo Soccorso ottennero il RICONOSCIMENTO GIURIDICO. Tale conseguimento significava la iscrizione nel relativo registro delle persone giuridiche istituito nelle Prefetture. Il nuovo status determinò il cambiamento radicale di queste Associazioni che furono da quel momento sottoposte al controllo di organismi pubblici e, quindi, all’esercizio di una gestione amministrativa più severa e mirata.
Tra gli effetti che caratterizzano tale riconoscimento c’è quello dell’autonomia patrimoniale che permise a tutti di ricevere contributi di denaro da parte di organizzazioni autorizzate legalmente (una prima forma di prestito di risorse economiche).
Anno 1886
Nacque la Lega dei Muratori, la prima di questo genere che si organizzò in maniera strutturale, informando con comunicati, giornali e bollettini i lavoratori, guidandoli ed istruendoli, nominando i propri rappresentanti nei posti di lavoro.
Per questo fu elaborato uno Statuto all’interno della Lega.
Anno 1887
Primo sciopero della Lega dei Muratori a Milano.
Anno 1890
Si inaugurò a Milano la prima CAMERA DEL LAVORO come luogo di aggregazione ed indirizzo sociale/organizzativo, mentre a Catania si costituì una Società operaia che prese il nome di “Fasci dei Lavoratori”.
1° maggio 1891
Venne introdotta la Festa dei Lavoratori che diventò, immediatamente un appuntamento importante per il movimento operaio “di tutti i paesi” che si riconobbe in essa e si attrezzò con sempre minore improvvisazione e maggiore consapevolezza nel prendere coscienza dei propri diritti.
L’obiettivo primario delle otto ore giornaliere venne messo da parte e lasciò il posto ad altre rivendicazioni politiche e sociali considerate più impellenti. Infatti negli anni la Festa del 1° maggio si trasformò in una occasione di mobilitazione e protesta per il miglioramento delle condizioni lavorative in tutto il mondo.
Dopo la CAMERA DEL LAVORO di Milano, ne sorsero altre 2 a Torino e Piacenza. Queste nuove aggregazioni, organizzate territorialmente dai lavoratori di ogni categoria, assunsero ben presto un rilievo fondamentale nella vita economica del Paese, rappresentando gli interessi dei lavoratori di fronte alle controparti aziendali, alla pubblica amministrazione e ai partiti.
Primo manifesto della Festa del Lavoro fonte: UIL nazionale
15 maggio 1891
Papa Leone XIII promulga l’Enciclica “Rerum Novarum” e per la prima volta la Chiesa cattolica prese posizione in ordine alle questioni sociali e fondò la moderna dottrina sociale cristiana.
L’Enciclica espresse una chiara condanna nei confronti del sindacalismo, del socialismo, della teoria della lotta di classe, del movimento operaio contemporaneo, preferendo che la questione sociale fosse affrontata e risolta dall’azione combinata di Chiesa, Stato, lavoratori ed imprenditori.
1901
Nacquero la Federazione Italiana Operai Metallurgici e Meccanici (FIOM) e la Federazione Nazionale dei Lavoratori della Terra (Federterra).
16-21 settembre 1904
Primo Sciopero Generale Nazionale organizzato dai lavoratori italiani. L’azione prese il via dalla reazione provocata da una feroce repressione dei carabinieri durante una rivolta operaia che provocò l’uccisione di quattro minatori sardi. Le condizioni di lavoro e la vita degli operai nelle miniere erano ai limiti della sopravvivenza. Basti pensare che quasi tutti erano colpiti dalla silicosi e dalla tubercolosi. I salari erano da miseria. Si lavorava 12 ore al giorno ed i turni in miniera non erano mai inferiori a 9 ore. Non esisteva ancora un Contratto di lavoro, né tanto meno. il riposo settimanale.
Luglio 1906
Venne fondata la Lega Industriale Torinese nata per rispondere alle iniziative, alle rivendicazioni organizzate dagli operai ed alle manifestazioni di protesta sindacale che avevano coinvolto gli stabilimenti della città nel corso di quell’anno. Lo Statuto della Lega di Torino prevedeva il ricorso alle black lists. Al momento dello sciopero tutte le aziende aderenti venivano informate della presenza dei lavoratori alla manifestazione attraverso la Presidenza Generale della Lega. Per questo era “proibito” assumere personale proveniente dalle industrie coinvolte nello sciopero. L’impresa che non osservava questa norma era obbligata a pagare una multa per ogni operaio assunto.
Per questo i datori di lavoro iniziarono a fare ricorso alla serrata, ovvero al rifiuto di scioperare e pagare la retribuzione ai dipendenti che non scioperavano.
1 ottobre 1906
Nacque a Milano con 250 mila iscritti la Confederazione Generale del Lavoro (CGdL) con lo scopo di federare, su scala nazionale, le Organizzazioni sindacali italiane di categoria. L’organizzazione assunse sin dall’inizio una impronta marcatamente socialista e riformista ponendosi l’obiettivo di un miglioramento graduale e sistematico delle tutele e dei diritti della classe
lavoratrice.
Maggio 1910
A Torino venne costituita la Confederazione Italiana dell’Industria conosciuta anche come Confindustria. Si trattava di un’organizzazione datoriale rappresentativa delle imprese italiane che si poneva l’obiettivo di coordinare a livello nazionale le iniziative degli imprenditori, sia nei rapporti con il governo e le amministrazioni locali, sia nei riguardi delle organizzazioni sindacali.
23-25 novembre 1912
Fu istituita a Modena l’Unione Sindacale Italiana (USI) che aveva lo scopo di consolidare il sistema organizzativo del sindacalismo rivoluzionario sorto all’indomani del primo sciopero nazionale in Italia nel 1904. Questo Sindacato italiano si contrappose alla Confederazione Generale del Lavoro per la sua politica rivoluzionaria, per il rifiuto di contatti con qualsiasi partito politico, per la sua volontà di organizzare anche i lavoratori non qualificati, per il rifiuto dei patteggiamenti con lo Stato (rinuncia alla legislazione sociale ed ai lavori pubblici). Successivamente si sciolse nel periodo fascista.
All’USI aderirono principalmente le CAMERE DEL LAVORO situate nel triangolo industriale del Nord (Torino-Milano-Genova). Questa organizzazione fu impegnata in una serie di lotte tendenti a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei proletari.
Ma rappresentò anche l’organizzazione di tutti i salariati, i precari e disoccupati, di ogni sesso e nazionalità che si prefiggevano di raggiungere con le proprie forze l’emancipazione dell’uomo liberandosi da ogni potere economico, politico e morale.
7-14 giugno 1914
La “settimana rossa” di quell’anno vide dimostrazioni, scontri e scioperi a
seguito dell’eccidio di Ancona. Questa insurrezione popolare in cui si contestavano una serie di riforme introdotte da Giovanni Giolitti, allora Presidente del Consiglio, si allargò in quasi tutta l’Italia. La ribellione rimase famosa perché ad Ancona tre carabinieri aprirono il fuoco uccidendo tre pacifisti moderati. Ma vi furono anche decine di feriti tra la folla e gli agenti delle forze dell’ordine.
22-25 agosto 1917
Sommossa operaia a Torino scatenata dalla mancanza di pane.
La causa principale della protesta derivava dai due anni di guerra in cui il nostro Paese si era molto indebolito a livello di risorse produttive ed economiche provocando una grave penuria di generi alimentari.
I problemi economici e lo sfruttamento operaio esplosero in una serie di rivolte, che sfociarono in scontri duri e violenti.
Settembre 1918
Nacque a Roma la Confederazione Italiana dei Lavoratori (CIL). Una organizzazione sindacale di orientamento cattolico. Il suo programma era marcatamente indirizzato alla collaborazione tra classi diverse, di provenienza clericale, attraverso una stretta sinergia tra capitale e lavoro.
Gennaio 1919
Fu fondato il Partito Popolare Italiano (PPI) ispirato alla dottrina sociale della Chiesa, animato da don Luigi Sturzo e Achille Grandi. Nelle prime elezioni politiche dopo la guerra mondiale del 1914-1918 i cattolici ebbero un buon risultato finale e questo fatto provocò la rottura degli equilibri politici nazionali fino ad allora dominati dai liberali e democratici. L’Italia era un Paese traumatizzato da quatto anni di guerra, in prevalenza ancora contadino ed analfabeta, però con una nuova consapevolezza dei propri diritti fino ad allora governati ed amministrati da una classe politica che aveva amministrato e governato la Nazione con metodi quasi medioevali e per interessi della grande borghesia latifondista e clericale.
1° maggio 1919
Gli operai metallurgici ed altre categorie di lavoratori festeggiarono il conseguimento dell’obiettivo primario della ricorrenza: le otto ore di lavoro. Finalmente fu vinta una delle prime battaglie intraprese dai lavoratori. Questa conquista fu ottenuta da gran parte del movimento sindacale di quegli anni. Intanto fu pubblicata la rivista “L’Ordine Nuovo” che lanciò il movimento dei consigli di fabbrica.
30 agosto 1920
L’Alfa Romeo proclamò una serrata e dette il via all’occupazione delle fabbriche. Ci troviamo nel bel mezzo del “biennio rosso”.
Il periodo storico venne definito “rosso” poiché questo colore rappresentava le bandiere dei manifestanti e degli operai che occuparono le fabbriche. Dal punto di vista politico-economico si assistette ad un repentino aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, ovvero dell’inflazione che colpì prevalentemente operai e piccola borghesia (le classi a reddito fisso).
La produzione industriale, per la maggior parte militare fino ad allora, alla fine del conflitto mondiale fu obbligata ad una conversione produttiva civile perché non servivano più armamenti per sostenere la guerra, già terminata qualche anno prima. Gli operai furono licenziati nella maggior parte delle aziende e tutto ciò determinò un impoverimento economico complessivo. Inoltre gli ex-combattenti al loro ritorno a casa si ritrovarono senza occupazione. Si registrò, in questo periodo, un aumento del malessere sociale che sfociò in forme di protesta violenta e generalizzata.
Per questi motivi furono richiesti aumenti salariali e garanzie contro i
licenziamenti per gli operai dell’industria mentre per i contadini il governo si impegnò ad attuare la riforma agraria.
Però gli industriali non si resero disponibili a concedere gli aumenti salariali richiesti minacciando di agire con la serrata, ovvero la chiusura delle fabbriche.
I sindacalisti risposero prontamente con lo sciopero bianco.
Questi furono i motivi che determinarono una grave crisi economica.
Lo sciopero nell’azienda automobilistica Alfa Romeo, una delle più grandi del settore, coinvolse migliaia di operai. Fu uno dei tanti che scoppiarono in quel periodo e non rimase un fatto isolato.
In effetti solo nell’Italia Settentrionale operai di diverse categorie occuparono più di trecento fabbriche.
Il capo del governo di allora Giolitti fu costretto a chiedere l’intervento dell’esercito e della polizia per rimettere ordine; un grave atto di intolleranza ed incapacità politica. Questa decisione contribuì alla fine politica del governo in carica.
Non solo gli operai ma anche disoccupati, donne ed anziani delusi dai governi liberali e democratici, cominciarono ad abbracciare le idee di una nuova classe dirigente che si presentava sotto la guida di Benito Mussolini.
21 gennaio 1921
Nacque a Livorno il Partito Comunista d’Italia. Questa giornata venne ricordata per la “scissione di Livorno” in cui si creò un nuovo Partito diverso ed autonomo dal Partito Socialista Italiano.
Durante il 17° Congresso Socialista la corrente di estrema sinistra, guidata da Gramsci e Bordiga, abbandonò il Congresso fondando successivamente il Partito Comunista Italiano.
Prime proteste di piazza
fonte: UIL nazionale ha collaborato Sabrina Fontanarosa