26 settembre 2024
Il Colonialismo italiano alla fine dell’Ottocento Documenti e Testimonianze
Abstract In 1882 the Foreign Secretary, announcing to the Chamber of not having received the English invitation for a common action in Egypt, he declared, between the applause of the deputies, which «not it was a danger that would have been possible that the Italy would have allowed itself to seduce... – a colonial adventure –...». And, in fact, in Italy there were problems much more urgent of the African conquest to be faced: the eternal southern question and the liberation of the Venice – Julia and Tridentina, much for does a pair from significant examples. The Italy besides had not great capitals and few money at disposal had to be used to alleviate the numerous backwardnesses, in the South as to the North, rural populations. But, really the year following to the Left-hander’s declarations, exactly in 1882, the Italian Government had improved at the Society of Navigation Ribattino the Bay of Assab, which she had bought, after the cut of the Isthmus of Suez, to build a coal storage to you for his ships. Assab then constituted a little the base of departure of our difficult one and for several lines wearying penetration in Africa. The work that I intend to submit to the attention of the new review is completely unpublished. After a presentation of the theme of the Italian colonialism, the essay presents documents extremely rares of the epoch.
1Nel 1882 il Ministro degli Esteri Mancini, annunciando alla Camera di non aver accolto l’invito inglese per un’azione comune in Egitto, dichiarò, tra gli applausi dei deputati, che «non v’era pericolo che sarebbe stato possibile che l’Italia si sarebbe lasciata sedurre... – da una avventura coloniale -...»1. E, in effetti, in Italia v’erano problemi ben più urgenti della conquista africana da affrontare: l’eterna questione meridionale e la liberazione della Venezia- Giulia e Tridentina, tanto per fare un paio di esempi significativi. L’Italia inoltre non disponeva di ingenti capitali e i pochi soldi a disposizione si dovevano impiegare per alleviare le numerose arretratezze, al Sud come al Nord, delle popolazioni rurali. Ma, proprio l’anno successivo alle dichiarazioni di Mancino, esattamente nel 1882, il Governo italiano aveva acquistato dalla Società di Navigazione Ribattino la Baia di Assab, che essa aveva comperato, dopo il taglio dell’Istmo di Suez, per costruirvi un deposito di carbone per le sue navi. Assab
1 R. Battaglia. La prima guerra d’Africa, Torino, 1958.
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dunque costituì un po’ la base di partenza della nostra difficile e per vari versi defatigante penetrazione in Africa. Diciamo comunque che lo svolgimento generale dei fatti coloniali per quanto riguarda l’Italia sono sufficientemente noti. Già dal 1888 si assistette a una prima penetrazione a partire proprio dalla Baia di Assab, ma il massacro di Dogali frenò la nostra politica coloniale in Africa. Crispi riprese con maggiore vigore la politica colonialista, rioccupando Dogali e intrecciando rapporti con Menelik, fino a trasformare l’Abissinia in un protettorato, proseguendo altresì la penetrazione armata anche verso alcune zone della Somalia. Dopo le note vicende che videro la caduta e poi la ripresa del governo da parte di Crispi, il nostro colonialismo conobbe l’ultima fiammata con Adua, dove la gravissima sconfitta del nostro esercito in terra africana segnò anche il ritiro di Crispi dalla vita politica. Gli eventi qui brevemente sintetizzati sono noti; meno note sono invece a livello di largo pubblico quali furono le forze, militari, culturali e politiche, che spinsero sin dai primordi del nostro colonialismo perché l’Italia si impegnasse a fondo per una politica africana sempre più ferma e decisa. E si trattava di forze che non sempre agivano in Italia. In questo senso, le truppe stanziate sul suolo africano avevano conosciuto, nel corso degli anni, un notevole assestamento e radicamento territoriale. Gli ufficiali e il personale amministrativo in loco avevano dato vita anche a una serie di iniziative imprenditoriali nel settore dell’informazione, mettendo in campo alla fine uno strumento di pressione sul governo italiano di tutto rispetto. E intendo qui riferirmi al “Bollettino della Società africana d’Italia”. Sul “Bollettino” furono pubblicati numerosi articoli che ancor oggi suscitano l’interesse dello storico della nostra per vari versi amara “avventura africana”, perché si tratta anzitutto di documenti pressoché ignoti, ma che ebbero allora un notevole peso nelle decisioni politiche dei governi. Rifacendoci dunque agli articoli del “Bollettino” possiamo vedere “un’altra storia d’Italia”, quella vissuta da quegli scienziati, esploratori e militari che vollero, come si vedrà, dare una spinta propulsiva sempre più forte al nostro colonialismo africano, dato che, come si intuirà agevolmente dai testi proposti, si era ormai rafforzato in Abissinia ed Eritrea uno zoccolo duro rappresentato da una nascente ma sempre più forte burocrazia coloniale che chiedeva allo Stato italiano un impegno finanziario sempre più potente per mantenere in vita una serie di apparati che in pratica costituivano l’aristocrazia della Colonia1. Come si potrà notare dalla lettura dei documenti proposti, la classe dirigente del tempo si fece un po’ accecare dal desiderio di porre l’Italia al pare delle maggiori potenze coloniali. Si imbastì infatti una campagna di stampa per dimostrare che l’Abissinia era una terra dalle ricchezze favolose, dove i contadini italiani avrebbero potuto lavorare in tutta tranquillità e con grandi profitti. Le cose, purtroppo, non stavano precisamente in questo modo, perché, a ben vedere, l’Abissinia era il paese più miserabile dell’Africa. Enrico Tagliabue, agente commerciale sul Mar Rosso per conto di alcune imprese lombarde, così descriveva al direttore dell’ «Osservatore» la baia di Assab: «... Purtroppo le fallaci illusioni su Assab, fomentate da coloro che ci trovano il loro tornaconto... porteranno molti disinganni... Assab non sarà mai un porto, non da superare, ma da arrivare nemmeno alla metà dell’importanza commerciale di Aden. Parrà che io bestemmio, dicendo così, perché dopo che si è tanto parlato di questa famosa terra della regina di Saba volere o non volere, deve essere una regione incantata... Per farsi un’idea di questa straordinaria Etiopia basterà dire che tutta la sua esportazione di una annata non equivale a quella d’una settimana della dogana di Bombaj. La produzione annua delle tanto reputate e numerose mandrie di queste contrade non basterebbe a sfamare per un mese quel drago mostruoso che si chiama Parigi...»2. Nonostante tutto, ben presto si disse che l’acquisto del porto di Assab richiedeva l’occupazione dell’interno del paese allo scopo di garantirne la sicurezza. Cominciava così l’avventura del “Mille” di Saletta, la prima spedizione italiana in Africa. Un triste avvenimento precedette la partenza dei “Mille”: l’eccidio della spedizione Bianchi avvenuta nel territorio di Beilul per opera dei Dankali3. Tre anni prima, quasi nello
2 A. De Jaco, Di mal d’Africa si Muore, Roma, Editori Riuniti, 1972, pp. 27-28. 3 A.De Jaco, Di mal d’Africa..., cit., pp. 53-54.
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stesso posto, era stata trucidata una spedizione di marinai e ufficiali italiani in esplorazione. Gli interessati alla politica coloniale e il partito militare, assai forte a Corte, lanciarono una violenta campagna di stampa, e così fu decisa la spedizione in Africa. Il colonnello Tancredi saletta fu prescelto al comando del corpo di spedizione, che doveva procedere «... alla scoperta e alla punizione degli assassini...»4, come disse l’allora ministro Mancini. La stampa fiancheggiatrice dell’impresa salutò con ampio apparato di retorica patriottica i Mille di Saletta come eredi dei Mille di Garibaldi. Il 25 febbraio 1885, alle ore 3 e mezza pomeridiane, le prime truppe italiane mettevano piede in terra africana, a Massaua. Per gli italiani fu un vero colpo si scena: un corpo di spedizione inviato per punire gli “assassini” occupava invece Massaua, con l’esito anche di allarmare il Negus Giovanni d’Etiopia, che temeva per l’indipendenza del proprio paese. E infatti gli “straccioni” abissini misero subito in difficoltà il corpo di spedizione, prima nel 1887 con lo sterminio di una colonna di 500 soldati guidati dal Tenente colonnello De Cristoforis e poi con la clamorosa sconfitta di Adua5. Le prime avvisaglie della catastrofe che incombeva sull’esercito africano si fecero sentire verso la fine del 1895, quando Menelik conseguì un’importante successo sul nostro esercito ad Amba Alagi. La colonna guidata dal Maggiore Toselli fu letteralmente fatta a pezzi6. Crispi poi fece l’errore fatale di affidare il comando delle operazioni al generale Baratieri7, ex garibaldino piuttosto impetuoso e irriflessivo, che tentò la sorte da solo contro il nemico, anche perché aveva saputo che il generale Baldissera lo avrebbe sostituito entro poco tempo. Il risultato fu la perdita di oltre seimila uomini ad Adua. Crispi cadde, ma il bilancio di quella lontana avventura fu e resta tragico: furono perduti oltre ottomila uomini e spesi più di 500 milioni. Si disse allora piuttosto ferocemente che l’Italia aveva voluto un impero e aveva ottenuto solo un deserto!
4 Ivi, p. 53.
5 Ivi, pp. 133-134, 231 sgg., 261. 6 Ivi, pp. 289 sgg.
7 Ivi, pp. 391, 433, 517.
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La Storia del colonialismo italiano raccontata attraverso le pagine del «Bollettino della Società africana d’Italia»*
Politica africana
Anno XI. Fasc. I-II. Gennajo-Febbrajo 1892. (pp. 40-76)
Diciamolo subito: l’ultimo discorso dell’ onorevole Di Rudinì alla Camera ha impressionato tutti in Italia; siano quelli che sono stati e saranno, come noi, strenui difensori degl’ interessi italiani in Africa, siano coloro che dell’ Africa non vogliono saperne.
L’ anarchia è ora eretta a sistema nella politica coloniale. Ecco la verità. Si continua nella politica degli espedienti e dei tentennamenti. Ritornare non si vuole; fare la guerra manco a dirlo; mantenere la pace non si può, allungarsi fuori non si crede ! Eppure una decisione bisogna prenderla, e presto, poiché altrimenti tutto 1’ edifizio fabbricato cadrà per disquilibrio, e il sangue (40)sparso, ed i milioni spesi saranno a testimoniare soltanto la nostra incapacità come colonizzatori! Bisogna uscire dall’ incertezza e finirla con le mezze misure; bisogna o tornare indietro o stabilirsi solidamente.
Un regio decreto del 1° gennaio 1890 istituì un consiglio coloniale; poi la legge del 1^ luglio dello stesso anno diede facoltà al governo di emanare nell’ Eritrea disposizioni legislative circa la proprietà, lo state civile e gli ordinamenti della giustizia. Poi un altro decreto del 25 ottobre 1890 abolì il consiglio di governo, e un altro decreto del governatore in data 18 dicembre
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1891 abolì lo stato di guerra. Nello stesso mese il governatore determinava il funzionamento degl’istituti giudiziari; e nel marzo ultimo scorso altro decreto istituiva presso i comandi di presidio di Asmara e Keren due uffici di stato civile; e con altro stabilivasi che il governatore dell’ Eritrea rappresentasse nella colonia il governo centrale e quindi i vari dicasteri, dai quali avrebbe delegate le facoltà che potevano delegarsi. Tale collezione di decreti, si faceva proprio quando le condizioni del governo e la sicurezza della colonia erano molto compromesse.
La morte del compianto valoroso capitano Bettini, la diserzione di alcune bande assoldate, hanno interrotto questo compassionevole idillio. E nello stesso mese di marzo il governatore Baratieri ha emanato in data del 19 un decreto che ristabilisce lo stato di assedio con disposizioni terribili, ma, al punto in cui si era arrivato, indispensabili. Questo continuato tentennamento, questo volere e non volere, la politica africana, dimostra una sola cosa: il paradosso anarchico eretto a sistema di politica coloniale. Diciamo paradosso perché, da Mancini a Crispi tutti i nostri ministri, uomini indubbiamente di valore, hanno accettata questa politica, anzi mano a mano l’ hanno ingrandita. Diciamo paradosso perché tutte le discussioni alla Camera, discussioni frequenti, larghe, e anche elevate, sono sempre terminate con un clamoroso voto di fiducia al governo che sosteneva questa politica, quantunque vi fosse discordanza nella modalità e nell’ intensità di essa.
A compiere la confusione sorge ora inaspettatamente l’ autorevole e ufficiale parola del Ministro degli affari esteri, onorevole Di Rudinì, il quale in Parlamento afferma che 1’ Africa è per lui una Croce. L’ on. Rudini nella seduta del 1 aprile disse:«che nelle cose d’ Africa non è preso da incertezza e noia, ma talvolta da qualche amarezza. Poiché, se si è convinto che farebbesi male a indietreggiare, non è ancora convinto che si fece bene ad avanzare. Lì non ci sorridono prospettive commerciali, non prospettive d’ imperio. Staremo al nostro posto, ma per parte 41 mia continua non ci sto con letizia; credo in ogni modo che la migliore politica in Abissinia sia quella di mantenere la pace interna».
Quando venne a parlare sugli ultimi fatti dolorosi – disse : «non dobbiamo dimenticare che la diversità di razza e di religione danno luogo a taluni attriti che sono inevitabili; occorre perciò molta vigilanza e la repressione a forma delle disposizioni vigenti nell’ Eritrea, con dichiarazione dello stato di guerra, che fu errore di aver tolto dall’Altopiano».
Gli attuali convincimenti dell’ on.di Rudinì non sono eguali a quelli manifestati nel discorso di Milano, e alla Camera nel successivo mese di dicembre a proposito delle interpellanze pei pro-
cessi di Massaua. Allora l’on. Cefali disse, a proposito di quei processi, che il governo condusse le cose in modo da far credere di voler indurre l’Italia ad abbandonare i possedimenti d’ Africa.
II Ministro di Rudinì protestò vivamente contro questa affermazione.
Dobbiamo anche osservare che se «fu errore di aver tolto dall’ altopiano lo stato di guerra» questo errore e dovuto, a quanto pare all’ on. Rudinì, poiché egli nella seduta del 10 di-cembre 1891 disse : «si sono date istruzioni per far cessare lo stato di guerra».
Certo queste contraddizioni mostrano che delle cose dell’ Eritrea fanno difetto i concetti seriamente meditati. L’ on. di Rudinì, che non titubo di caricare il popolo di Palermo, per sostenere 1’ autorità del governo, diventa come Ministro degli affari esteri tanto condiscendente all’ opposizione da affermare che «i generali a Massaua avevano esorbitato dai loro poteri !».
Affermazione poco ponderata poiché è noto che il tempo delle gonfiate atrocità fu un periodo ruinoso, agitato e perplesso per il passaggio della direzione delle cose coloniali dalla f ilota alla Consulta; passaggio che diede origine a ordini, contr’ordini, rettifiche di concessioni già pattuite, abrogazione di istruzioni, da far perdere la testa a qualunque uomo, non fosse stato calmo e
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sicuro di sé, come il generale Baldissera. Affermazione poco corretta per un uomo di Stato di un grande paese.
Warren Hastings, governatore delle Indie nel 1781, assediò nel forte di Bidgegur il raja di Benares, Cheyt-Sing, perché non aveva voluto soddisfare 1’ annuo tributo. E preso il forte, divise il tesoro fra i soldati; e più tardi acconsentì che il viceré di Oudk si appropriasse dei tesori lasciati alle Begum o vedove del raja di Benares.
La Corte dei direttori disapprovò questi fatti; non ritornò il danaro, ma ordinò al governatore generale di restituire il dominio a Cheyt-Sing.
Censurato dalla Corte dei direttori, abbandonato dal Consiglio, Warren-Hastings domandò di essere esonerato dall’ufficio e s’imbarcò per 1’ Inghilterra. Nella Camera dei Comuni, Edmondo Burke formulò contro l’ex governatore accuse di crimes and misdemeanours (delitti e malversazioni). Warren-Hastings comparve innanzi ad un Senato di patrizi inglesi. La Camera lo assolse da ogni imputazione. Egli era stato accusato in nome dei principii d’ umanità, ma nell’ accusarlo non si era tenuto conto delle circostanze eccezionali nelle quali egli si era trovato. La Camera nell’ assolverlo riconobbe ch’ egli doveva essere considerate come un potentato asiatico, e non come un uomo di Stato europeo; che le sue azioni politiche dovevano essere giudicate alla stregua delle tradizioni,
dei sentimenti, dei costumi ed usi delle stato semi barbaro di quei paesi; e che nell’ arte difficile del governo, gli errori, od i mezzi sconvenienti sono compensati dalle grandi azioni; e che finalmente lo stato di guerra, quale e realmente l’occupazione e l’ invasione di un paese, importa si debbano considerare giuste molte cose le quali altrimenti non sarebbero.
La figura di Warren-Hastings, giudicata alla stregua della storia si fa più splendida, e più bella rifulge la sua gloria. Ma il Ministero inglese dell’ epoca non disse parola contro di lui.
Da noi l’on. Rudinì invece di difendere i nostri generali, li fa apparire poco riflessivi.
Mentre la storia ci insegna che le fucilazioni ordinate a Massaua sono un nonnulla in paragone, delle stragi commesse nell’ India e nell’ Algeria, e di quelle perpetrate nel Messico ed al Perù da Cortes e da Pizarro nel nome di Cristo.
Che cosa sono in confronto della morte del duca di Enghien, della repressione del Cairo, dei tesori estorti ad Amburgo dal generale Daveust, delle opere d’arte di Roma rubate da Massena?
Ma l’on. di Rudinì si trova in manifesta contraddizione altre volte. Egli elogiò alla Camera, la Commissione d’ Inchiesta sulla Colonia Eritrea. Di questa Commissione sostenne i criteri nel formularne l’elogio. Or bene la conclusione della relazione della Commissione al Ministero, pubblicata il 12 novembre 1891, ne assicura che «la Colonia Eritrea è suscettibile di servire in av- venire di sfogo ad una parte dell’ emigrazione italiana, e d’essere a poco a poco in grado di bastare finanziariamente a se stessa, purché: «Si conservino i confini attuali (1); si garantisca la sicurezza delle comunicazioni specie col Sudan; non si restringano al famoso triangolo, poiché la Commissione voleva la linea del Mareb.
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VOGLIAMO STARE IN AFRICA
«Si continuino gli studi e gli esperimenti sulla potenzialità «agricola della colonia».
L’ on. di Rudinì si trovò, di opinioni opposte, od almeno profondamente diverse, da quelle dello stesso generale Gandolfi. Questi aveva avute delle istruzioni di non operare al di là del famoso triangolo che costituisce, secondo la politica piccina dell’ onorevole di Rudinì, la nostra zona di territorio.
Ma il generale Gandolfi per inseguire le bande di Abarra e di altri capi disertati, e ritirati nel paese dei Barca al di là del triangolo, doveva passare il Rubicone stabilito dall’ on. di Rudini, e lo passò.
Se i presidi non fossero stati ridotti, molto probabilmente la tranquillità non sarebbe stata turbata in questi ultimi tempi; e la sicurezza delle vie carovaniere sarebbe stata assicurata con grande vantaggio dello sviluppo del commercio con l’interno dell’Abissinia da una parte, col Sudan dall’altra. Economia, ed occupazione efficace, fanno a cozzo.
Dall’ Asmara al Mareb, da Keren a Bixia, non abbiamo né forti, ne distaccamenti, e non si può pretendere che la vigilanza possa spingersi con buon risultato in un territorio vasto, accidentato, e abitato da popolazioni che hanno per abitudine le razzie e sono sempre pronte a defezionare.
L’ infedeltà, la rivolta sono ingeniti in quelle razze e soltanto il terrore puo infrenarle. E come si dominano quelle tribù se la linea del Mareb la teniamo soltanto nominalmente, se la strada
per Gassala e in mano ai dervisci?
Che importa tutto ciò all’ on. Rudini ?
Non importa a lui, e sta bene; ma deve importare al paese, poiché i sacrifici oramai fatti ci obbligano a rimanere in Africa, e per rimanerci sicuri conviene respirare l’aria lontana dai confini
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ipotetici voluti dal di Rudinì. II quale, vorrebbe ora a quel che si dice restringere 1’ occupazione alla sola Massaua, stabilendovi una stazione navale ! Povera Italia, misero paese!
Perché si dimenticano le attività italiane sparse su quel lembo di terra africana, attività improduttive oggi, ma sicuramente fruttifere nell’ avvenire ?
Perché, non si alza la voce contro questa politica meschina? Noi abbiamo il dovere di protestare e protestiamo.
Fino dai primordi dell’ occupazione, si sono formati due partiti in Italia; 1’ uno, che bisognava ritenere cieco rispetto all’ azione che tutte le potenze civili facevano per la loro grandezza, il quale disapprovando radicalmente la politica coloniale, voleva l’immediato ritiro delle truppe; l’altro che suggeriva addirittura una forte spedizione in Abissinia.
Crispi, quando salì al potere, trovò la politica africana avviata, e quantunque non riprovasse, non prese, perocché non poteva, un provvedimento assoluto: quella di abbandonarla.
Egli dovette dare alla Nazione indignata la soddisfazione di vendicare Dogali.
Egli operò con circospezione, avvedutezza e giusta misura, limitò l’azione all’ occupazione di Saati, all’ occupazione cioè di quella località d’ onde noi eravamo stati scacciati. E questa era l’ opinione di tutte le persone competenti, le quali, come il capitano inglese Thomson, e il grande africanista vivente Schweinfurth, affermavano che una saggia moderazione imponeva agli italiani soltanto l’occupazione del territorio vicino all’ altopiano e non già l’avventurarsi in una guerra nell’ interno dell’ Abissinia.
La conquista dell’ Abissinia non era una difficoltà militare e neppure finanziaria, perché si potevano trovare 600 milioni come se ne trovarono 50. Era invece una questione subordinata a convenienze economiche ed alla politica europea, la quale c’ impediva, come c’impedisce, di distrarre dalla madre patria un grosso nerbo di truppe di fronte ad una possibile guerra in Europa.
Jules Duval in un bollettino della Societa francese di geografia accortamente distinse in periodi la lunga ed indeterminata azione dei francesi in Algeria; e mostrò che le necessità topografiche prima e poi quelle economiche, sono più forti della volontà degli uomini.
Sotto Carlo X si voleva tenere Algeri e nulla più, proprio come ora 1’ onorevole di Rudinì vuol tenere Massaua sola.
Dal 1830 al 1837 le irresoluzioni dei Ministri, le censure delle Camere, le diffidenze di un partito, si accumularono; e nel governo e comando di quella colonia si successero uno all’ altro Bourmont, Clauzel, Bertherene, Kovigo, d’ Erlon, Ohauzel, Danzmont, senza contare gl’ interim Avizard, Yoirol, Bapartel. Ma fu sufficiente di tenere Algeri, e non decidersi ad abbandonarla per essere condotti ad occupare prima i principali approdi del litorale, poi l’ interno.
Se il paese seguisse nella politica coloniale il pensiero dell’on. di Rudinì, noi ci troveremmo, da qui a qualche anno, costretti ad avanzare di nuovo nell’ interno del Tigré come successe ai francesi in Algeria.
Stando a Massaua, dobbiamo per forza tenere il litorale dal Capo Cassar alla baja di Anfilah, dobbiamo per necessità di vita tenere il possesso di tutto il territorio che corre sino all’ orlo dell’
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Altipiano, dobbiamo per rendere un giorno fruttifera la colonia, spingersi da un lato sulla via di Cassala sino a Sabderat, dall’ altro sulla via dell’ Abissinia sino al basso Mareb.
Per sette anni la Francia vuole la occupazione ristretta come la chiamavano allora; vuole per ragioni di finanza e di raccoglimento militare, ciò che oggi vuole 1’ onorevole di Rudinì.
II partito nostrano che voleva assolutamente la continuazione della politica coloniale, confortò l’ on. Crispi di fermarsi a Saati; questa fermata era una tappa e non una meta; bastava 1’ occupazione anche se “ristretta” come disse in quell’epoca un onorevole. L’ on. Crispi, dopo il dietro fronte di Giovanni, avrebbe potuto modificare radicalmente il sistema della politica governativa seguita in Africa – ma non lo fece perché della sua nobile fantasia seppero impadronirsi.... consiglieri tenaci nei propri errori.... Egli, dunque, l’ on. Crispi, pieno di buon volere e di entusiasmo volle perpetuare nelle sue grandi linee la politica africana dei suoi predecessori, ed urtò in tutti quegli errori e fatali contingenze, con i quali si apre il primo capitolo di tutte le storie coloniali.
II cammino della conquista francese in Algeria, può nelle sue grandi linee classificarsi così in ordine pressoché cronologico:
Occupazione del litorale; occupazione dell’ interne del Tell; occupazione della linea di confine del Tell e Sahara; occupazione del confine marocchino; occupazione del confine tunisino; occu- pazione delle alture e dell’ oasi sahariane; occupazione della Kabilia; dominio del confine Sahariano; occupazione della via interna del Sahara per raggiungere l’alta valle del Niger e la conca lacustre del Tsad.
L’ on. Crispi comprese, e qui sta il suo merito, tra vari errori commessi che, dato come impossibile il ritiro dalla colonia, data insomma 1’ occupazione di Massaua, l’occupazione di Sahati era la prima tappa.
Egli, che non retrocesse come poteva, alla ritirata e morte del Negus, mostrò invece di voler dare impulso robusto, energico alla politica africana.
Fu sotto il governo di Crispi infatti che pacificamente abbiamo compiuto i più grandi e decisivi passi, nella politica africana, perché si seppe trarre partito delle circostanze favorevoli che si presentarono.
I Mensa, i Bogos, popoli vicini, furono i primi ad implorare la nostra amicizia invocando il nostro intervento nei loro paesi, e noi occupammo Keren. Giunti a Keren le numerose tribù dei Beni-Amer richiesero il nostro protettorato, e noi, composto il secolare litigio tra i due capi principali, ce li siamo fatti amici, e gli abbiamo difesi ad Agordat, cementando così l’ amicizia col sangue. In tal modo abbiamo potuto estendere la nostra attività ed efficace influenza sino alla tribù Wass, e scendere con colonne mobili nei paese montuoso e quasi inesplorato del Dembelas, attorniando 1’ Hamasen da ovest, e spingendoci da questo lato nei basso Mareb sino a Mai-Lam.
Dall’ altra parte, in attesa dell’ arrivo di Menelik, prendemmo possesso di Ghinda e dell’ Asmara, e poi dei passi di Caicor, Gura e Saganaiti per determinare pel memento un confine razionale lungo la linea di displuvio dell’ altopiano etiopico. E poi della Soc. Africana d’Italia.
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Avuta notizia sicura che l’avanguardia del nuovo Imperatore era giunta nell’ Agarne, noi scendemmo giù nell’ alta valle del Mareb, occupando successivamente Adi-Baro, Godofelassi, Gundet, spingendoci poi, con una marcia strategica, che il celebre viaggiatore tedesco Rohlfs chiamo meravigliosa, sino ad Adua, per raffermare ed estendere la nostra influenza nel Daro-Takle, nell’ Agame, nell’ Entiscio, nel Farras-Mai, come si era già fatto nell’ Okule-Ksai e nel Koain.
Avvenuto posteriormente l’incontro di Antonelli con Menelik ad Ambo-Siam (Sincata) questi abbandonò a noi il Tigré, il cui possesso un anno prima era considerato una follia.
E assicurata la colonia dalla parte dell’ Abissinia, noi dovevamo assicurare alle tribù che avevano invocata la nostra protezione, la tranquillità minacciata dai Dervisci di Osman-Digma. Perciò ci siamo avanzati sino a Oaga e Bixia sulla via di Cassala, e abbiamo ricercata l’amicizia dei Negri Barika che vivono attorno al Mogareb per avere pacificamente aperta la via che da Koufit conduce per Amireb pure al Mareb, e per rendere più sicura questa avanzata, abbiamo stretta amicizia con tutte le tribù dei Maria le quali vivono sui monti ad occidente del paese degli Habab. E dalla parte degli Habab abbiamo estesa la nostra influenza tra gli Azeri che vivono lungo la costa, dal porto di Taclai a quelle di Ackic, dal quale parte una via che per il Longareb scende pure a Cassala.
E quando gl’ Inglesi non vollero accordarci l’occupazione incondizionata di Cassala, Crispi rifiutò di firmare la convenzione proposta dall’ ambasciatore inglese.
Certamente anche Crispi commise errori gravi, come la conclusione del famoso trattato, che menò poi alla rottura delle relazioni con l’ Imperatore Menelik; l’esagerata importanza data alla innocenza di Mussa-el-Hacad, per cui sorsero i clamorosi processi; l’ordinamento del governo civile dell’ Eritrea ecc. ecc.
Tuttavia egli non pensò mai a retrocedere, convinto, lui antiafricanista che oramai non v’ era altra via da seguire per la dignità del paese, tranne quella di andare avanti e fermarsi soltanto per prendere lena.
E la Camera confermò sempre il veto del 17 giugno 1889 col quale diede a lui pieni poteri.
Nelle sedute del 12,. 13, 14 maggio dello stesso anno, Crispi rispondendo all’ on. Sola disse : «memore di ciò che già fecero i nostri connazionali in Etiopia, ho fede che 1’ impresa coloniale potrà avere utile incremento. E quando 1’ ordinamento della colonia sarà un fatto compiuto, allora potranno promuoversi le opere pubbliche destinate allo sviluppo della colonia. Dalla colo-nia si ricavano oltre 2 milioni, e in un avvenire non lontano si potrà estendersi nelle opere pubbliche».
47 E Crispi in questa occasione espose anche «ch’ egli, convinto si debba cercare un paese ove estendere la nostra influenza, e assicurare un campo di attività ai nipoti, di accordo con l’In- ghilterra, volle ed ottenne il protettorato lungo la costa dell’ Oceano Indiano». Sperava poi promuovere un’ azione industriale nel paese dei Somali; la nostra posizione in quell’ Oceano e tale, disse: «che ci potrebbe essere invidiata da altre potenze».
L’ on. Crispi promosse la colonizzazione con l’ on. Franchetti; fece eseguire studi geologici sulla utilità delle piante dell’ Eritrea; ordinò i rilievi topografici di tutti i possedimenti. Incoraggiò una pleiade di viaggiatori a recarsi nell’ Etiopia e nel paese dei Somali: Bagazzi, Salimbeni, Antonelli, Nerazzini, Pilonardi, Bricchetti-Robecchi, Candeo, Baudi, Traversi, Dulio, Viscardi, Capucci, Pestalozza, De Martino, Davico e altri e altri percorsero sotto il governo di Crispi tutto il territorio posto sotto la nostra sfera d’ azione e colla pubblicazione dei loro viaggi, delle loro osservazioni, questi viaggiatori resero un grande servizio alla patria nostra, ed alla civiltà.
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Tanto operò 1’ on. Crispi in Africa, che lo stesso Bovio nella seduta del 29 aprile dell’ anno passato disse: «tornare addietro dall’ Africa può dirsi facilmente ad un bimbo, non al governo; ed egli ritiene più facile il ritorno dei morti dalle tombe che quelle delle nostre truppe dall’ Africa; perché il nostro ritiro solleverebbe il sorriso ironico delle potenze rivali, ed allo «scherno devesi preferire una Dogali».
E tutto dire: 1’ on. di Rudinì meno africanista dell’ on. Bovio!!!
E stata una pazza idea dicono i miopi; denaro e sangue sprecato esclamano gli scettici. Fu uno sproposito ripetono coloro che parlano pel presente e non pensano all’ avvenire.
Noi crediamo, e fermamente, che l’idea di una colonia in Africa, sulle coste del Mar Rosso, sia grande e utile all’Italia e tale da costituire una base incrollabile della grandezza a venire del regno.
E un’ idea fecondatrice d’ interessi nuovi e imperituri perché collegati a quelli inglesi.
Così la via delle Indie, quella via che balenò al genio di Cristoforo Colombo sarà in potere nostro e degli Inglesi; i quali perciò saranno sempre i nostri naturali alleati.
La storia ci insegna qualche cosa a questo proposito.
II generale Bonaparte, il giorno 7 piovoso dell’ anno 7° della Repubblica, scriveva dal Cairo al Sultano del Mysore, nelle Indie: «Voi siete gia stato informato del mio arrivo sulle sponde del «Mar Rosso, con un esercito innumerevole ed invincibile, animato dal desiderio di sollevarvi e liberarvi dal ferreo giogo degl’ inglesi. lo prendo assai volentieri questa occasione per esprimervi il desiderio di essere da voi informato, per la strada di Murcat e di Mocka della vostra situazione politica. Vorrei anzi che spediste una persona intelligente, la quale possedesse la vostra fiducia, per conferire con me a Suez ed al Cairo».
Gli eventi furono contrari all’ idea del grande Napoleone, ma gli Inglesi non dimenticarono questo vasto concetto, e lo posero essi in pratica.
In quelle stesso torno di tempo il valoroso sultano del Mysore soccombette sotto i ripetuti colpi degli Inglesi. I quali subito concentrarono più di quattro mila soldati nell’ isola di Ceylan.
Per combattere i corsari francesi che infestavano le coste del mare Indiano.
Per appoggiare lo sbarco in Egitto del corpo del generale Sir Ralph Abercromby, avvenuto nel febbraio 1801, il governo di Londra ordinò a quelle della Compagnia inglese delle Indie di mandare nel Mar Bosso quel corpo formate a Ceylan, rinforzato da altre truppe prese da Bombajr e dal Capo di Buona Speranza.
Un comando era stato affidato al colonnello Arturo Wellesley comandante il 33° reggimento di fanteria dell’ esercito reale, a colui cioé che piu tardi si chiamo duca di Wellington.
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Ammalatosi Wellesley, ne assunse il comando il generale Baird Davide, il quale eseguì fedelmente il piano di campagna ideate dal futuro vincitore di Waterloo.
Quel Corpo di truppe anglo-indiane, dopo aver toccato Mocka, shared nel maggio 1801 a Koser che è a meta strada circa fra Suez ed il golfo di Berenice, da dove con una marcia di 200 chilometri attraverso il deserto si recò presso Keneh sul Nilo. Discendendo questo fiume la colonna del generale Baird giungeva il 30 giugno a Bosetta, senza però poter prendere parte ai combattimenti, poiché i francesi battuti dal generale Aberecomby, morto nella battaglia, avevano già firmato col generale Hutchinson, succeduto nel comando, una convenzione di abbandonare l’ Egitto.
L’ intervento delle truppe indiane sulle coste del Mediterraneo, in quell’ epoca, in cui non esistevano né ferrovia, né piroscafi per i trasporti, ne telegrafi per le rapide corrispondenze, ha qualche cosa di meraviglioso, e leggendario.
I Sipoys partiti dalle sponde del Gange compariscono nella terra dei Faraoni, sotto gli ordini di un generale inglese, per combattere i veterani dell’ esercito d’ Italia !
Ma lasciando la leggenda ed il meraviglioso, quali sono gl’insegnamenti della narrata storia e che i nostri ministri dovrebbero ricordare?
Questa storia c’ insegna la possibilità delle operazioni che accennino al Nilo o ed al basso Egitto prendendo per base il Mar Bosso.
Ora noi trovandoci già fortemente stabiliti sulle sponde di quel mare, siamo i naturali alleati dell’ Inghilterra, non tanto— come appariva ai poco veggenti – per una guerra nel Sudan, quanto per una guerra contro qualche comune rivale nel Mediterraneo.
Noi così possiamo essere capaci di rifornire di viveri e munizioni un corpo di truppe indiane trasportato facilmente – con i mezzi odierni – dalle Indie in Egitto o nelle coste del Mediterraneo.
Noi così possiamo accogliere e proteggere le navi da trasporto inglesi e provvederle di carbone e di acqua.
Noi così diventiamo gli alleati naturali del commercio inglese, nel medesimo tempo che sviluppiamo il nostro nel Sudan e nell’interno dell’ Abissinia.
Questo è l’avvenire della nostra colonia, chi non vuole vedere o è cieco o è anemico in politica.
LE INTRAPRESE COMMERCIALI IN AFRICA
Fu scritto, con fine intuito, che produrre a buon mercato e saper vender dell’erba esser la divisa del mondo economico moderno. Nulla di più preciso; per noi almeno, se in questa formula, con- seguenza della evoluzione commerciale contemporanea, vi è compreso il concetto di occorrere alle giovani nazioni la ricerca, la preparazione e conquista dei mercati anche dove saper vendere.
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Infatti, non giova dissimularselo: la posizione privilegiata di talune nazioni nel campo delle industrie e dei commerci oltre di essere il prodotto della storia e dei mutamenti geografico-politici, e conseguenza di una lunga e tenace preparazione per la lotta economica. Preparazione. efficacemente coadiuvata non solo dalla scuola, come fonte di cultura ed educazione speciale, ma anche dalla opportunità che le nazioni meno progredite offersero alle altre, che lo erano di più, di farsi educare al gusto dei prodotti ed alle abitudini commerciali di queste.
Basterebbe, senza rimontare ad epoche molto da noi lontane, scorrere la storia commerciale dell’ Inghilterra e dell’ Olanda, per assistere allo spettacolo più meraviglioso che offra l’attività
umana applicata alle industrie ed ai commerci non solo, ma alla ricerca del loro campo di svolgimento.
Le provincie settentrionali d’ Italia han potuto svolgere, in una certa misura, la propria potenzialità industriale perché, per una lunga serie di anni, il mezzogiorno della penisola, offerse loro un campo vergine da sfruttare e larghi mercati da preparare al maggiore esito della propria produzione, ed alla maggior loro abilità commerciale.
Un fatto che merita di esser segnalato alla osservazione di quanti studiano le attitudini commerciali di certe razze, allo scopo di desumerne da quelle la missione civilizzatrice dalla natura ad esse affidata, è quello che si verifica in persona delle popolazioni che abitano la marina che cinge ad oriente il Golfo di Napoli e gran parte di quelle di Salerno.
Non vi ha villaggio delle più riposte provincie della nostra Italia meridionale in cui non s’ incontri un rappresentante di queste industre popolazioni ! Venditori di paste dapprima, trasformarono
a poco a poco i loro depositi in veri Bazar all’ uso orientale, in cui assieme ai maccheroni e le aringhe figurano il cacao ed il vermut, l’acquavite ed il rum, il fernet e la gazzosa, il sapone ed il pesce stocco, cordami e nastri di seta – 1’ almanacco di Barbanera ed il sillabario per le scuole dei bambini – il petrolio ed i pallini da caccia – il caffé avariato e lo zucchero commisto alle polveri di marmo – le macchine Singer e la cucina del diavolo – le toppe inglesi ed il ferro in verga. Queste formiche dell’ industria si chiamano in gergo costaiuoli e si contano tra essi a dozzine quelli che oggi posseggono fortune colossali.
Cominciano, o meglio cominciavano perché il progresso delle comunicazioni ha fatto perdere loro molto della primitiva im-portanza, col farsi affidare un po’ di merce da colore tra i propri concittadini che risiedono in un punto qualunque di approdo sulla costa della marina piu prossima al villaggio nel quale si insediavano, e poi a poco a poco pagavano in contanti la merce loro occorrente e finivano per emanciparsi completamente dal Padrone.
Questo era il nome che essi davano a colui che li accreditava in merce: forse perché in origine questi tali non erano che garzoni di negozio o marinai di colui che continuavano a chiamare padrone. I costaiuoli a poco a poco divennero grossi mercanti, come abbiamo di sopra notato, non solo, ma anche piccoli banchieri locali ed incettatori della produzione indigena esportabile. Gioia, 76 oggi mercato importante della costiera calabrese, deve tutto il suo commercio a questi signori costaiaoli e a qualche genovese colà stabilitosi nei primi anni della fondazione di quella cittadina. Sidemo e Bovalino sul Jonio non hanno altra origine. La ricchezza di questi centri si è creata quando tutto il traffico si faceva a dorso di mulo o a spalla di uomo, e quando non passava inverno, in cui i torrenti non facessero scontare con la vita l’audacia di chi avesse volute guadarli coi muli o con carri tirati da buoi. Ebbene, basterebbe poter mettere assieme gli inventari di magazzino di uno di questi tali costaiuoli per lo spazio di venti o trenta anni per stabilire graficamente lo sviluppo commerciale dei comuni, in cui essi si sono impiantati !!
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I prodotti, che prima erano affatto sconosciuti, o solo alla portata dei più ricchi proprietari, ben presto divennero di uso comune ed alla portata della borsa di tutti. I bisogni man mano si accrebbero, lo stato sociale si modificò e gli abitanti sentirono presto la necessità di migliorare le comunicazioni e mettersi in relazione col mondo civile.
Né questo é stato ed é tuttavia un privilegio esclusivo delle popolazioni meridionali in genere. Anche sulle costiere toscane e liguri gli affari di commercio cominciarono nella stessa maniera e nella stessa maniera progredirono, procedendo di 30-40 anni circa lo sviluppo del mezzogiorno d’ Italia.
Non vi ha regione più interna delle Americhe, in cui il viaggiatore non s’imbatta con un merciaio ambulante italiano ed i più ricchi commercianti nostri in quelle regioni portano impresse sulle spalle le armi nobiliari della loro famiglia !!
L’ Argentina prima ed il Brasile da qualche tempo, debbono a queste virtù preziose delle nostre popolazioni, la gran parte del loro attuale traffico interno.
Dovunque arrivano gl’ italiani si tirano dietro le rotaie delle ferrovie, i battelli a vapore, i fili telegrafici e gittano le basi delle future grandi città, le quali in seguito preparono loro lo sviluppo....
Dalla tendenza degli italiani di cacciarsi dovunque a scopo di traffici e dai risultati della loro attività a vantaggio dei paesi di oltremare risulta evidente che l’italiano penetra ovunque a scopo di commercio e che il commercio e la colonizzazione nei paesi africani devono attuarsi col metodo che gl’ italiani hanno sempre seguito e seguono, organizzato e diretto.
Perché infatti, pur essendo identiche le attitudini dell’italiano moderno in quest’ ordine di rapporti a quelle dell’ italiano delle antiche repubbliche, pure i risultati derivanti alla patria sono cosi diversi?
Perché i Fondaci, le Società, i Banchi ecc. ecc. erano il risultato di forti organizzazioni politico- commerciali; mentre che oggi la iniziativa individuale, dispersa e senza coesione, non rappresenta una forza nazionale.
Perché, non appena la iniziativa ed il lavoro degli italiani aprono un nuovo mercato, la madre patria colla sua produzione non sa opporre alla invasione del prodotti di altre nazioni argine sufficiente.
Ciò posto, noi, senza discutere più oltre sulla necessità politica e sociale per 1’ Italia di possedere colonie in una forma o in un’altra in America od in Oceania, attenendoci al fatto compiuto, ci chiediamo:
1° «Sarebbe utile preparare le terre africane, appartenenti oggi all’Italia, ai bisogni di una parte della nostra emigrazione ?
2° Tornerebbe conveniente a privati capitalisti di creare una Società, con lo scopo di esercitare il commercio e fondare fattorie in quella parte dell’ Africa in cui esercita una relativa influenza l’Italia ?
Per quanto sia a nostra conoscenza, nessun astronomo, fin qui almeno, ha annunziato la esistenza di un pianeta, quanto prima abitabile dalla razza umana, od altre terre, in questo che ora abita l’ uomo,
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le quali non abbiano tutte un padrone. Questa verità geografica e l’aumento costante della popolazione, che ci fornisce la statistica demografica comparata, ci mena alla conseguenza
che la colonizzazione di una parte dell’Africa non solo sarebbe utile per l’Italia, ma se è un problema che s’ impone a colore che hanno l’onore di reggere le sorti d’Italia. Costoro hanno il dovere di riflettere anzi tutto che la generazione nostra non potrebbe aver«il diritto di legare alle generazioni avvenire i pesi per tutte le opere, dei cui benefizi morali e finanziarii usufruiscono gli attuali cittadini, senza avviare alla migliore e più facile soluzione i grandi problemi sociali e politici che inesorabilmente s’imporranno alla posterità.
L’ interesse delle nazioni differisce da quelle dei privati individui inquantoché mentre questi mirano a raccogliere il frutto dei loro impieghi nel minor tempo possibile, quelle la ragione del tempo non debbono né possono assumerla come condizione esclusiva delle intraprese; e l’ uomo di stato che non sappia, pur movendosi col moto dei contemporanei, figgere lo sguardo nel futuro e marciare con passo sicuro ed ordinate verso di esso, noi non lo sappiamo concepire.
Per noi, dunque, è di una evidenza palmare l’ interesse dello Stato italiano in ogni opera intesa: a) a cercare nuovi mercati a sfogo dell’ attività nazionale;
b) a preparare la colonizzazione in quelle terre africane dove l’Italia esercita diritti di sovranità e di protettorato;
c) ad aiutare in maniera seria e concreta l’opera dei privati che con chiarezza di proponimenti e mezzi convenienti mirano all’ attuazione di traffici e commerci nella nostra colonia, o nei territori soggetti alla nostra influenza.
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I lavori del Parlamento italiano sull’ avventura africana attraverso le pagine de L’Italia nei cento anni del XIX secolo giorno per giorno illustrata, (vol. V – 1871-1900) a cura di A. Comandini, Milano, Vallardi, 1942.
1883 Marzo
10. s. Alla Camera, in sede di discussione del bilancio degli Affari Esteri, l’on. Sidney Sonnino rimprovera al Mancini la sua politica estera inavveduta e inconseguente, soprattutto per aver rifiutato l’invito dell’Inghilterra di intervenire in Egitto e dice fra l’altro: «L’Italia non può disinteressarsi delle condizioni politiche del Mediterraneo; non può avere le stesse mire, la stessa politica, sia che le si chiudano o no gli sbocchi ai suoi commerci, e le si restringa o no il campo all’emigrazione dei suoi lavoranti e alla concorrenza dei suoi industriali, e le si tolga ogni speranza di un grandioso avvenire coloniale».
L’on. Minghetti pronuncia un forte discorso, esaminando specialmente la politica del governo nella questione egiziana
13. ma. Alla Camera il ministro degli Affari Esteri on. Mancini pronuncia un discorso sulla politica estera che dichiara basata sulla intima unione dell’Italia colla Germania e con l’Austria-Ungheria. Combatte gli sforzi dell’irredentismo, dimostrando che quel pretesto delle rivendicazioni nazionali è assurdo e che metterebbe l’Italia in guerra con tutta l’Europa. Fa quindi una lunga esposizione della questione egiziana (w. 10).
Aprile 1884.
31, l. Il nuovo Ministero risulta definitivamente composto nel modo seguente: Depretis, Presidenza e Interni; Mancini, Esteri; Magliani, Finanze; Fienaia, Lavori Pubblici; Ferrerò, Guerra; Feiracciù. Grazia e Giustizia: Coppino, Istruzione Pubblica; Brin, Marina; Grimaldi, Agricoltura.
– Alla Camera, in sede di discussione del bilancio del Ministero degli Esteri, il Ministro fa alcune dichiarazioni sulle condizioni politiche internazionali, assicurando che la nostra amicizia con la Germania e con l’Austria non potrebbe essere più intima e affermando che il riavvicinamento della Russia a quelle Potenze non può che contribuire allo scopo pacifico della nostra alleanza. Dichiara che il Governo persevererà nel programma politico di cui è pietra angolare l’accordo coi due imperi. Si giustifica di non aver consentito che l’Italia si unisse all’Inghilterra nella spedizione di Egitto.
11. me. Alla Camera desta vivissimo interesse l’interrogazione dell’on. Camporeale sulla questione del Marocco. Dopo aver esposto le vicende della questione del Marocco l’on. Camporeale dichiara essere necessario impedire qualsiasi mutazione territoriale nel Marocco e qualunque nuova perturbazione nell’equilibrio del Mediterraneo. Risponde il ministro degli Affari Esteri, esponendo gli interessi politici e commerciali delle varie Potenze e affermando che il (governo invigila e che è fermo nel proposito di opporsi a mutazioni che potessero perturbare l’equilibrio del Mediterraneo, con l’attuazione dell’idea d’un impero africano, di cui qualche giornale francese ha trattato.
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– Proveniente dalla Baia d’Assab giungono a Genova quattro indigeni con due bambini diretti a Torino, all’Esposizione, dove sono state costruite loro delle capanne. Appartengono alla tribù dei Dankali. Uno è Ibraim, figlio del Sultano ed erede al trono. Ha 31 anni. Sono osservati dal pubblico con viva curiosità.
.... L’Inghilterra, per mezzo dell’iimmiraglio Hewet, desiderando la cooperazione del- l’Abissinia per liberare le guarnigioni egiziane di Kassala, Ahmedib e Sahit, strette dai Mahdisti, stipula col Negus d’Abissinia Giovanni un trattato che ristabilisce l’amicizia fra l’Inghilterra e l’Abissinia. All’Abissinia è ceduto il paese di Bogos e data facoltà di occupare Kassala ed altre terre del Sudan e di commerciare liberamente, anche in armi, attraverso il porto di Massaua. Contemporaneamente la Francia estende la sua occupazione intorno ad Obok, tenuta fino dal 1862, costituendo la co- lonia di Gibuti, o Somalia francese.
11, V. La Gazzetta Ufficiale pubblica la legge con la quale è autorizzata sulla parte straordinaria del bilancio della Marina la spesa di lire 30 000 000 per costruzioni navali. Pubblica anche altra legge con la quale è autorizzata la spesa di 15 000 000 sulla parte straordinaria del bilancio della Marina per la difesa delle Coste marittime del Regno.
– Sir Evelyn Baring, noto sotto il nome di Lord Cromer, comunica al Console Italiano in Egitto che il Governo inglese «sarebbe stato lieto» che Massaua cadesse nelle mani dell’Italia, anziché in quelle della Francia. Cinque giorni dopo il ministro degli Esteri, Lord Grainville, fa la identica comunicazione al nostro ambasciatore a Londra. La offerta è determinata dalla probabilità, da parte dell’Inghilterra, di abbandonare il Sudan, in seguito alla sollevazione dei dervisci, guidati dal Mahdi.
OTTOBRE
1884
17, l. Da Assab Gustavo Frasca scrive a un amico annunciando il massacro della spedizione Bianchi : «Parecchie carovane di indigeni, giunte dall’interno, hanno recato tutte la stessa notizia: la spe dizione Gustavo Bianchi venne massacrata; quei valorosi sono tutti morti ad una giornata
dal confine abissino 2 ( 7 ott.).
... A Berlino conferenza coloniale nella quale Germania, Francia, Belgio e Portogallo si ripartiscono fra loro la maggiore e miglior parte dei territori liberi dell’Africa. Il Governo italiano rimane assente per voler seguire la politica delle mani nette cioè vuote.
31 di ottobre
– Ha larga eco nella nostra stampa la pubblicazione della terza parte del Libro azzurro tedesco col titolo Interessi tedeschi nell’Oceano Pacifico che riguarda in generale la politica coloniale tedesca. L’ Opinione di Roma di oggi, lamentando che l’Italia perseveri nel suo voto di castità coloniale, conclude: «..Poiché la politica coloniale agita e preme gli altri Stati in questo momento, l’Italia è messa nel dilemma o di uscir in un momento non opportuno dalla sua inerzia, di trovar già occupato o ipotecate le parti migliori delle colonie, quando le piaccia di muoversi» ( 30 novembre).
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1885
GENNAIO
– A Napoli le corazzate Principe Amedeo e Gottardo recanti le nostre truppe in Africa escono dalla rada stasera alle 8 fra l’entusiasmo popolare. Si imbarca anche il capitano Cecchi.
17, s. A Napoli i Bersaglieri della spedi-zione Africana entrano nella darsena salutati da una folla enorme la quale grida commossa: Viva l’Italia’. Viva il Rei Viva l’Esercito! Viva i Bersaglieri. Buon viaggio. Alle 9.15 la darsena si chiude e le associazioni con bandiere e musica, gli studenti e una gran folla di cittadini si sciolgono in ordine perfetto davanti al Palazzo Municipale.
Il Gottardo salpa alle 11.20 ant. salutato dalle artiglierie della darsena e dagli evviva della folla.
La spedizione italiana partita dal porto di Napoli al comando del col. Saletta, consta di circa 1500 uomini (4 compagnie di Bersaglieri, una batteria di campagna da G pezzi a 7, un drappello di Zappa- tori del genio e telegrafisti) è diretta verso il Mar Rosso. I soldati che erano stati salutati con vivo affetto nei luoghi di partenza e accolti a Napoli con vivo entusiasmo, ricevono prima della par- tenza il seguente indirizzo: «Soldati, l’Italia vi affida l’onore della sua prima spedizione in Africa, e voi e i vostri Mille, emuli di quelli di Marsala, dimostrate a quei barbari che l’Italia è veramente civile, all’Europa che è potente, al mondo che è grande».
Si diffonde la voce che l’Italia occuperà la Tripolitania col consenso della Francia, l’Egitto meridionale, le regioni africane a mezzogiorno dell’alto Nilo, d’accordo e con la cooperazione della Francia, per cui il Corpo Saletta non è che l’avanguardia di un Corpo più numeroso.
1885
GENNAIO
Parla per primo l’on. De Renzis esponendo delle considerazioni sullo svolgimento della politica coloniale dei grandi Stati e chiedendo quali siano gli intendimenti del nostro Governo. Anche l’on. Camporeale chiede quale attitudine il Governo intende prendere di fronte alle occupazioni coloniali eseguite ed annunciate da varie Potenze. È applauditissimo. Svolgono altre interpellanze in questo senso gli on. Parenzo e Oliva. – Alcune decine di marinai italiani occupano Beilul, lungo in cui fu ucciso l’esploratore Giulietti, disarmando e allontanando il presidio egiziano e inalberando il tricolore.
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27, ma. Alla Camera, l’on. Mancini, rispondendo all’on. Parenzo, dice che l’espansione è una legge naturale, a cui devono inevitabilmente soggiacere tutti i popoli navigatori e commercianti. L’esempio della Germania, che è entrata ultima nella vita marittima, costituisce la prova lampante del generale e fatale momento espansionista dei popoli. L’Italia, poi, non può non associarsi agli altri Stati in una specie di impresa comune e solidale di mondiale incivilimento, in una alta missione educatrice di tanta parte dell’umanità che abita il vasto Continente africano. Inoltre, una impresa coloniale è necessaria all’Italia soprattutto per la sua emigrazione. «Orbene – dice l’on. Mancini – se l’emigrazione esiste, se questo fatto non si può impedire, dappoiché sacra è la libertà dell’uomo, e, prima fra tutte le libertà, quella di vivere dove meglio piace a ciascuno; ebbene, sarà più vantaggioso che questa emigrazione si disperda sulla faccia del globo; che vada a caso in lontane ed ignote regioni, dove l’aspetta il disinganno, e talora la morte; o che vi siano paesi, le condizioni dei quali siano già bene conosciute, dove il suo lavoro possa essere con certa e propizia utilità esercitato, e dove sventoli la bandiera nazionale, che tuteli e protegga le industrie degli emigranti italiani?... L’Italia, secondo i convincimenti del Ministero, non può escludere completamente dal suo prognimma una saggia e modesta politica coloniale...» Ai deputati De Renzis e Camporeale i quali sostengono la tesi che il possesso della Baia di Assab è un danno sia economico, per la mancanza di scambi commerciali, sia politico, perchè il Mar Rosso, che è un lago inglese, distoglierà gli Italiani dal vero e sommo obiettivo della loro politica che è il Mediterraneo l’on. Mancini risponde: Voi temete ancora che la nostra a/ione nel Mar Rosso ci distolga da quello che -Ma perchè invece non volete riconoscere che nel Mar Rosso, il più vicino al Mediterraneo, possiamo trovare la chiave di quest’ultimo, la via che ci riconduca ad una efficace tutela contro ogni nuovo turbamento del suo equilibrio ?»
28. me. La nostra stampa dibatte appassionatamente la questione coloniale. L’Opinione di Roma di oggi cosi incomincia il suo articolo di fondo: Anche noi vorremmo innestare alla croce di Savoia l’antica aquila latina e vorremmo che si affissasse di nuovo nel Sole dell’Asia e dell’Africa e fossero i suoi voli cantati da Dante redivivo in modo ancor più divino che non facesse nel suo Paradiso: non vi è ambizione che non si nutra nell’italiana anima nostra per la grandezza della patria. E ai sublimi sogni seguirebbero gli economici: versare nelle colonie politiche, militari e commerciali, le esuberanze della nostra gioventù fiorente ed inquieta, e dei nostri prodotti, memori del detto di Tito Livio: magna civitas quiescere non potest, si foris hostem non habet, domi invenit.
FEBBRAIO.
5. g. Il Corpo di Spedizione italiano, comandato dal col. Saletta e composto di 1500 uomini fra Bersaglieri e Artiglieri, salpato il 27 gennaio da Napoli, sbarca a Massaua senza alcuna opposizione della piccola guarnigione egiziana, e innalza il tricolore italiano accanto alla bandiera dell’Egitto.
Il Governo francese tenta subito di crearci ostacoli, chiedendo all’ Inghilterra se non sia il caso di considerare l’azione italiana contraria al Trattato di Parigi (1856) che stabilisce l’integrità del ter- ritorio ottomano e dimenticando cosi che anche la Tunisia, da essa occupata quattro anni prima, apparteneva alla Turchia.
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FEBBRAIO
1885
– Il Daily-News commentando l’occupazione di Massaua dice che l’Inghilterra può fare a meno dell’aiuto dell’Italia e di qualsiasi altra Potenza per compiere la sua missione nel Sudan. Nega che il Governo inglese abbia facilitato l’occupazione di Massaua, sebbene non si sia porte della città, fingendosi mandate dal Mahdi.La settimana avanti l’arrivo degli Italiani, 4000 capi di bestiame erano stati rubati, non essendo in grado le piccole guarnigioni egiziane di difendere il paese. Il col. Saletta ha istruzioni di liberare il territorio da tali bande e di ristabilire la pubblica fiducia.
10, ma. Si ha da Massaua (telegramma Agenzia Stefani): Le condizioni morali della città si vanno rialzando. Esse erano gravissime prima dell’arrivo delle truppe italiane. Bande di predoni infestavano le vicinanze e si spingevano fino alle
FEBBRAIO
12. g. Da Napoli parte la seconda spedizione militare per l’Africa. Alle 10..35, salpa, accompagnato dal coramosso saluto ed augurio della folla, l’Amedeo. Il piroscafo Vincenzo Florio salpa alle 4.15 pom. scortato dalla corazzata Ancona. Questa seconda spedizione è composta di 42 ufficiali, 920 uomini di truppa, 70 fra muli e cavalli, 360 tonnellate di riserva che anche i giornali francesi che ci professano amicizia disapprovano la nostra politica coloniale.
– L’incaricato d’Affari di Turchia in Roma rinnova verbalmente, in occasione della occupazione di Massaua, i reclami della Sublime Porta, ritenendo quel fatto inconciliabile con le dichiarazioni del Governo italiano circa il rispetto dei diritti sovrani del Sultano.
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Granville dichiara quanto segue. 11 3 novembre scorso il Governo italiano domandò se l’Inghilterra non si opporrebbe in alcun modo all’estensione della giurisdizione italiana a nord della sua colonia di Assab, purché vi fosse compresa Beilul, come era già compresa, al sud, Racheita. Egli assicurò l’Italia che il Governo inglese non era geloso dell’estensione dell’influenza italiana su quella parte della costa del Mar Rosso, ma che al contrario gli sarebbe stata gradita; ma intanto non poteva impegnarsi a dare quello che non gli apparteneva e Suggerì essere desiderabile che l’Italia si met tesse d’accordo con la Porta a questo riguardo.
26, g. A Londra, alla Camera dei Comuni, Mac Coan domanda se l’occupazione di Massaua e le altre operazioni delle truppe italiane sulla costa occidentale del Mar Rosso abbiano il consenso e l’approvazione del Governo inglese. Campbell chiede se l’occupazione italiana di Massaua è contraria ai reclami dell’Abissinia per lo sbocco indipendente a Massaua. Gourley domanda se Gladstone sa che l’Italia inviò sul litorale del Mar Rosso, sulla costa del Sudan, tre spedizioni, all’incirca 5000 uomini, oltre navi torpediniere; se le spedizioni in questione hanno per iscopo di cooperare colle truppe inglesi, ora in viaggio per Suakin, onde soccorrere le guarnigioni egiziane; se le spedizioni abbiano la sanzione del Governo inglese, nonché quello del concerto europeo. Gladstone risponde che il (Governo italiano è un potere indipendente e non ha bisogno della sanzione del Governo inglese. Il Governo italiano ha le migliori e più cordiali relazioni con l’Inghilterra ma non vi è alcuna alleanza, alcun progetto per una cooperazione militare nel Sudan.
1885
MARZO
– Nella notte sopra oggi il col. Saletta, che aveva visto le sue truppe fin dai primi mesi dell’occupazione continuamente insidiate dagli Abissini e soprattutto da Ras Alula, e tormentate dai predoni, eccitati dagli Abissini, compie un’escursione militare nel territorio abissino.
Aprile
.
S. M. aspetta la annunciata Missione Italiana, subito dopo la stagione delle piogge, per confermare il suo desiderio di mantenere ottimi rapporti con l’Italia. È oramai accertato il luogo del massacro dei nostri viaggiatori Bianchi, Diana e Monari, oltre il confine abissino. Furono ricuperate le armi che appartennero ad essi. Il Negus promette di continuare energicamente la sua opera per la punizione dei colpevoli».
GIUGNO
– Giunge notizia che due torpediniere italiane hanno occupato l’isola di Dahlak, distante 25 miglia da Massaua ed abitata da circi 1500 indigeni dediti alla pesca. Sulle spiagge è piantata la bandiera tricolore, salutata dalle salve dell’equipaggio delle torpediniere. Gli indigeni, raccolti in dodici
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villaggi di capanne, non oppongono alcuna resistenza, ma si sottomettono di buon grado, immolando un bue...
– Da una corrispondenza da Massana risalta che la popolazione di quella città, esclusa la guarnigione, è approssimativamente di 52-26 persone. Indigeni 3302; Arabi.858; Abissini 2.35: Dankali, Sikan 468; Indiani 30; Baniani 62; Turchi 25; Armeni 15; Tedeschi 1; Maltesi 2; Sudanesi 275; Greci 51; Francofili; Italiani 4d. Si contano 13 moschee; 3 minareti; 22 caffè arabi e 5 europei; 10 nuove costruzioni.
2, mercoledì. Il gen. Gene, sostituito al col. Saletta, proclama l’annessione di Massaua al Regno d’Italia, assumendone il governo civile, rimandando le poche truppe egiziane e licenziando gli impiegati egiziani. Con ciò viene a cessare l’ibrido condominio che durava da un anno a Massaua.
5, s. Alla Camera il nuovo ministro degli Esteri, conte di Robilant, manifesta per la prima volta le sue idee relativamente alla politica coloniale e manifesta l’intendimento di voler procedere, per quanto è possibile, sulla via battuta da P. S. Mancini.
1886
MARZO
Abissinia, destinata a tornare in Italia. Il ministro degli Affari Esteri risponde: «La missione è differita perchè il Negus trovasi a 50 giornate di cammino da Massaua, chiamato da una ribellione nelle province meridionali del suo regno e perchè il sopravvenire della stagione delle piogge renderebbe impossibile il troppo lungo e faticoso viaggio della missione. Questo differimento non altera punto le nostre relazioni con l’Abissinia».
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1887
GENNAIO
24, l. Alla Camera infelice discorso del ministro Di Robilant affermante non essere il caso di preoccuparsi di «quattro predoni che l’Italia può avere tra i piedi in Africa».
– Ras Alula, capo dei Tigrini, riuscita vana l’intimazione di sgombrare Saati, alla testa di 10 mila Tigrini assale Saati; è respinto valorosamente dal piccolo presidio comandato dal maggiore Coretti, che chiede rinforzi al presidio di Monkullo.
1887
– A Saati, in un nuovo scontro con Ras Alula, periscono 300 soldati italiani.
– Da Monkullo una colonna dì 540 soldati italiani e 50 bascibuzuk con cammelli, al comando del tenente col. De Cristoforis, viene attaccata da 5 mila Abissini armati all’europea e comandati da Ras Alula. Epica resistenza degli Italiani che lasciano sul terreno 26 ufficiali e 47 soldati morti, oltre a 82 feriti. Il nemico ha un migliaio tra morti e feriti. Da.Saati il magg. Boretti, con una marcia notturna rimasta famosa, riesce a condurre (il 28 mattina) a Monkullo il suo presidio.
30, D. Alla Camera il ministro Depretis pallido, sconvolto e tremante legge il telegramma annunciante l’eccidio della colonna De Cristoforis. Qualche deputato reclama il ritiro delle truppe da Massaua.
– Le tribune della Camera sono affollate. Dopo una dichiarazione del ministro della Guerra, il quale, rispondendo all’on. Sant’ Onofrio, smentisce che il Governo voglia ordinare lo sgombero del forte di Monkullo, comincia la discussione generale del progetto di legge pel credito di cinque milioni per le spedizioni africane.
1887
FEBBRAIO
– A Roma violenti dimostrazioni di piazza per i recenti fatti di Saati.
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4, V. La Camera, dopo una seduta agitatissima, e un patriottico discorso dell’on. Crispi, convinta della necessità di difendere il prestigio nazionale in un saluto ai soldati italiani in Africa e stanzia la somma di lire diecimila in favore delle famiglie dei soldati morti.
– A Bologna dimostrazione in Piazza Vittorio Emanuele per i fatti di Saati. Si operano alcuni arresti.
5, s. Il Senato approva ad unanimità il progetto di legge sul credito di cinque milioni. Invia inoltre parole di compianto ai prodi soldati caduti combattendo...
2, M. Avendo l’on. Depretis rassegnato il mandato di comporre il nuovo Ministero, il Re affida lo stesso incarico al conte di Robilant, e successivamente agli on. Biancheri e Farini che pure ricusano.
5, s. La crisi ministeriale è risolta perché il Re ha deliberato di non accettare le dimissioni del Ministero.
19, s. I giornali pubblicano l’epigrafe dettata da A. Conti da porsi in Santa Croce per i morti di Dogali e Saati : «A Saati e a Dogali | ove affrontatisi con migliaia d’Abissini | caddero il 25 e il 26 gennaio 1887 | cinquecento Italiani | fu sospiro ultimo dei prodi | Va peregrino in Italia e narra | che noi siamo morti per suo amore | e qui nel tempio delle grandi memorie | all’addio estremo risponde la Patria | Benedette in eterno anime care | che deste a’ figli miei esempio non perituro».
1, l. I giornali pubblicano oggi una lettera di A. Salimbeni da Massaua, 5 febbraio, in cui sono dati i più minuti particolari sulla spedizione Salimbeni.
23, me. Oggi si comunica che il col. Oreste Barattieri si reca in Africa col generale Saletta quale comandante in seconda.
Aprile
18, l. Si riapre il Parlamento.
Le tribune sono affollate. L’on. Depretis, Dell’annunziare la costituzione del suo ottavo Ministero, dichiara di confidare che il Parlamento acconsentirà ai nuovi sacrifici richiesti dall’impresa coloniale. «Del valore dei nostri soldati abbiamo – egli dice – avuto testé splendida prova nella gloriosa ecatombe di Dogali, che l’Italia non può lasciare invendicata senza offesa della dignità nazionale». La Camera discute quindi ed approva il progetto di legge per l’erezione in Roma di un monumento a Marco Minghetti.
1887
– A Massaua il generale Saletta pubblica la dichiarazione del blocco della costa in vicinanza di Massaua.
s. La Gazzetta Ufficiale annuncia la morte di Agostino Depretis con le stesse parole ili cui.s’era servita per dare la notizia della morte di Cavour: «Un grande lutto ha colpito il Paese. Agostino Depretis, cavaliere del Supremo Ordine della SS. Annunziata, Presidente del Consiglio dei-Ministri, Ministro degli Esteri, deputato al Parlamento Nazionale, è morto ieri sera (29 luglio) alle ore 8.20 a Stradella».
24
1887
OTTOBRE
1, sabato. Da Massaua giunge a Napoli il piroscafo San Gottardo con a bordo 136 militari e Ohwoku, nipote del Re Menelik.
Il Negus, alla testa di 80 mila uomini, scende dall’altipiano, accampandosi nella conca di Sabarguma, a breve distanza dalle linee italiano, difese da 20 mila uomini. 26, l. Il Negus Giovanni indirizza al generale San Marzano una lettera nella quale egli «Re dei Re dell’Etiopia, Re di Sionne, profeta mandato da Dio» lamenta che gli Italiani non siano stati fedeli al trattato Hewett, invita il Generale a ritirarsi, a lasciare il porto di Massaia.
2, s. Alla Camera F. Crispi dice, fra l’altro: «Le colonie sono una necessità della vita moderna.
Noi non possiamo rimanere inerti e far sì che le altre potenze occupino sole tutte le parti del mondo inesplorate; imperocché chiuderemmo per sempre le vie alle nostre navi e i mercati ai nostri pro- dotti... Dissi che noi cominciamo oggi, e male si comincerebbe quando, al primo ostacolo, si fug- gisse dai punti che abbiamo occupati. Siamo a Massaua e ci resteremo».
1, mercoledì. Si riapre la Camera. a, g. Trattalo di Uccialli (chiamato così dagli incivili abissini), si stabilisce che da Massaua, possesso italiano, non passeranno altre armi all’infuori di quelle destinate all’Imperatore di Etiopia. Da parte sua Menelik abolisce la tratta degli schiavi e nell’articolo 17 dice di acconsentire di servirsi del Governo del Re d’Italia per tutte le trattazioni di rapporti che avesse con altri Governi. Questo articolo non tu poi mai ratificato.
FEBBRAIO
ma. Alla Camera discussione sull’Africa. Notevoli i discorsi del conte Antonelli e Franchetti. Le dichiarazioni di di Rudini che rivela essersi spesi per l’Africa, dal 1885 ad oggi, 114 milioni 376 523 lire 80 cent. L’Antonelli riepiloga la storia dell’Africa Italiana, esponendo quanto aveva fatto nelle trattative con Menelik...
25
DICEMBRE
1891
8. g. Il col. Baratieri assume il governo della Colonia Eritrea, in sostituzione del gen. Gandolfi e viene poco dopo nominato generale. Egli si dà ad una fervida ed intelligente organizzazione della Colonia.
1895
GENNAIO
F. Crispi scrive a Baratieri, promosso tenente generale per merito di guerra: «Mi felicito con te e con l’Italia per la vittoria riportata sugli Abissini; dobbiamo lodarci non solo del valore dei soldati, ma della strategia del capitano, che seppe, da vero Garibaldino, vincere con forze minori un nemico più forte. Ormai il Tigre è aperto all’Italia, sarà indulgenza nostra se non vorremo occuparlo».
1895
MAGGIO
Il Governo dichiara che Menelik prepara la guerra per rimettere in piedi il suo grande feudatario Mangascià e che in tali condizioni di cose non vi è altra via di uscita che essere pronti a fron- teggiare il nemico nel prossimo ottobre.
Ad Amba Alagi il maggiore Toselli con 2000 uomini, di cui 20 ufficiali e 47 sottufficiali, si scontra con 36 mila uomini di Kas Makonnen, resiste fino a mezzogiorno alle orde nemiche, e poi cade gloriosamente con quasi tutti i suoi soldati. Si salvano solo 300 uomini con tre ufficiali: il nemico ha perduto 3 mila uomini. Il valore degli Italiani riempie di ammirazione Ras Makonnen che dà onorata sepoltura al Toselli.
26
16. 1. Alla Camera prende la parola l’on. Crispi per dichiarare che il fatto di Amba Alagi non è che uno dei tanti episodi che si verificano in tutte le guerre coloniali e dice fra l’altro: «Io mi prostro, e tutti ci prostriamo davanti ai caduti di Amba Alagi. Tutti ammiriamo il valore italiano e la splendida figura di quel Toselli che, disperando di poter vincere, volle morire».
V. A Napoli, nell’Università, appena un professore si accinge a commemorare i caduti di Amba Alagi,, molti studenti inveiscono contro Crispi e la politica africana, onde ne seguo un vero conflitto.
1896. GENNAIO.
6, Incominciano gli attacchi abissini contro il villaggio di Enda Jesus e contro la cisterna del forte di Macallè che deve essere abbandonata con una delle due sorgenti a cui possono attingere i soldati del forte. Esso è costituito da una cinta perimetrale di circa 700 metri e da un ridotto elevato. Lo presidia il maggiore Galliano con circa 1200 uomini. Mancano legna, foraggi, acqua.
7, ma. Continua l’eroica difesa del forte di Makallè contro i nemici che sono circa 100 mila!
S. me. Baratieri telegrafa al ministro della Guerra: «Difficoltà approvvigionare truppe europee lontane dalla base fra montagne, con aspri sentieri invece di strade, con scarsità di bestie da soma, senza magazzini avanzati precedentemente riforniti in larga misura, sono infinite cosicché il numero anziché giovare potrebbe essere imbarazzante. Riunite Adigrat forze provenienti Italia ho ferma fiducia battere nemici uniti o divisi. Dopo un successo, inseguimento potrà disorganizzare le forze; magari darmi modo proseguire. Ma, come scrissi, campagna a fondo contro Abissinia esige preparazione di qualche mese e mezzi che non si possono improvvisare in un paese desolato da guerre, dalle orde che vi vivono da tanto tempo. Non è per soverchia fiducia, non è per riguardo al paese che non chiedo maggiori rinforzi: è perchè non ho modo di assicurare loro vettovagliamento».
– Gli Abissini sferrano un violentissimo attacco che produce la perdita definitiva di Enda Jesus e dell’unica sorgente di acqua rimasta. L’avversario che dispone di vari pezzi produce gravi danni alle sistemazioni difensive e i suoi nuclei riescono a spingersi in un angolo morto fin sotto il forte.
, g. Intorno al forte di Macallè ha luogo un combattimento accanito dove gli Abissini fanno uso per la prima volta di artiglieria e di armi perfezionate. Dall’alto del forte i difensori vedono stendersi un ampio accampamento, in mezzo al quale si «scorge una gran tenda rossa: segno non dubbio dell’arrivo del Negus Menelik.
Il gen. Baratieri dà l’ordine di abbandonare il forte non appena definite le modalità dello sgombero.
22, me. Nel pomeriggio di oggi, dopo un colloquio fra Galliano e Makonnen, si inizia l’uscita delle truppe dal forte di Macallè. Esse sfilano armate e con i pezzi al seguito fra le masse avversarie.
25, s. Partono per l’Eritrea tre battaglioni col. gen. Ellena.
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25. ma. Crispi invia al Comandante in capo delle truppe in Africa il seguente dispaccio: «Codesta è una tisi militare, non una guerra: piccole scaramucce nelle quali ci troviamo sempre inferiori di nu- mero dinanzi il nemico: sciupio di eroismo senza successo. Non ho consigli da dare perché non sono sul luogo, ma constato che la campagna è senza un preconcetto e vorrei fosse stabilito. Siamo pronti a qualunque sacrificio per salvare l’onore dell’esercito e il prestigio della Monarchia».
Febbraio 1896
Ì9. s. Il generale Baratieri dirama l’ordine di avanzata generale per questa sera stessa verso Adua su tre colonne: a destra la Dabormida, a sinistra l’Albertina con gli Indigeni, al centro l’Arimondi seguita dalla riserva comandata da Ellena e dal Quartier Generale.
Situazione dei due eserciti oggi: 20 mila Italiani con 50 cannoni; 100 mila Abissini con 9 mila cavalli e 62 cannoni.
MARZO.
1. Domenica. Battaglia di Adua. Ad essa partecipano da parte italiana 15875 uomini, di cui 7 mila indigeni.. La ritirata, iniziatasi alle ore 16, mutasi in rotta per i molteplici attacchi nemici alle spalle e sui fianchi. I superstiti riparano ad Adi Cuè. I nostri combattono con tale valore, che in molti luoghi i morti risultano schierati come in battaglia (corsivo mio). Le atrocità degli Abissini sono cosi orribili e tali da provocare su di loro il castigo di Dio.
Combattenti presenti alla battaglia: Italiani 15875; Abissini 110 000. Rapporto 1 a 7. Caduti Italiani: 2 generali (Arimondi e Da Bormida); 260 ufficiali (tra cui Galliano), 46%; 3772 graduati e soldati, 38%; 2 600 ascari. Totale 6 6.S4 uomini. Caduti Abissini: oltre 9000 uomini. Feriti Italiani: circa 500 Italiani e 1000 ascari. Feriti Abissini: oltre 10 000. Prigionieri Italiani : 1 800 Totale perdite italiane: 7 900 uomini; totale perdite abissine: 17 000 uomini.
– Stasera giunge al Governo a Roma la notizia dell’infausto avvenimento che soltanto domani sarà noto alla città. Seguono dimostrazioni in tutte le città italiane.
MARZO
3, ma. A Milano dimostrazione per la sconfitta di Adua. Il Sindaco deve presentarsi al popolo rumoreggiante e promettere che farà noto al Governo il dolore e l’indignazione della cittadinanza.
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4, me. Sbarca a Massaua il gen. Baldissera, mandato a sostituire il Baratieri ad insaputa di questi, nella speranza, da parte del Governo, di impedirgli di e fare un colpo di testa». Pare, effetti- vamente, che da un telegramma giunto prima della battaglia di Adua per il generale Baldissera, il Baratieri abbia saputo dell’imminente sostituzione e perciò siasi deciso ad agire a fondo (21 febbraio).
Enzo Sardellaro, professore di Lettere Italiane e Storia
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