La Stampa, 25 settembre 2024
Intervista a Carolina Crescentini
In un mondo di parenti, amici e vicini di casa che ripetono «non sospettavamo nulla», «era un bravo ragazzo», c’è una serie, Tutto chiede salvezza, che scoperchia il vaso di Pandora del disagio giovanile: chiama i dolori per nome – depressione, dipendenza, pensieri di morte –, entra nei Tso ma sempre tenendosi ben stretta, nel fondo del vaso, la Speranza. La seconda stagione (da domani su Netflix), sottolinea la coprotagonista Carolina Crescentini, è ancora più attuale. A lei tocca il ruolo più duro: quello di Giorgia, la mamma di Nina che, per l’appunto, non capisce. «Invece è proprio lei la responsabile del malessere di sua figlia».
Il disagio giovanile è lo specchio di un cancro più grande, che riguarda gli adulti?
«Certo un legame c’è e il mio personaggio lo dimostra bene: Nina è un’adolescente problematica ma anche Giorgia ha una serie di problemi che riversa su sua figlia. Da qui, la catena: Giorgia è maleducata, anche Nina lo è. La madre è aggressiva, e pure sua figlia».
Serve più dialogo?
«Troppo a lungo i ragazzi non sono stati visti né ascoltati. C’è un problema di dialogo ma anche di grande solitudine. I social amplificano il senso di inadeguatezza: vedi continuamente come gli altri vivono e ti senti diverso. Se nessuno ti ascolta o ti tiene la mano è tosta».
A ogni femmicidio o famiglicidio, qualcuno : «Era un ragazzo modello». Miopia o viltà?
«Viltà. Tutti in apparenza siamo favolosi e risolti. Se si vuole davvero capire chi è l’altro, cosa sogna, cosa prova, bisogna scavare oltre la superficie. Il problema è tutto qui: non ne abbiamo più voglia. Ci fermiamo alla prima impressione».
Le serie tv invece scavano. Ma cosa serve per passare dalle parole ai fatti?
«Serve la vita. Le serie danno il titolo, accendono riflettori su realtà che preferiremmo ignorare (penso a Mare fuori e al carcere minorile), ma poi la realtà deve approfondire e sviscerare».
Il bonus psicologo aiuta?
«È un primo passo. Ma le sedute sono molto costose: rischiano di essere un lusso. C’è chi non può permettersele o chi preferisce usare quei soldi per un viaggio».
Lei va in analisi?
«Sì, è un gran regalo che faccio a me stessa, per essere una persona sempre in asse».
Particolari fobie?
«I topi. E i rettili. Sono terrorizzata».
Momenti di buio profondo?
«Depressione mai. Ho avuto delle crisi ma non ho mai concesso loro di buttarmi giù».
Tutto chiede salvezza si interroga anche sul senso della vita: lei crede?
«Non sono praticante, ma nemmeno completamente atea. Penso che ci sia Qualcosa sopra di noi e ogni tanto mi intrufolo nelle chiese: sono dei luoghi di grande pace e serenità».
Dopo i 40 anni i ruoli diminuiscono per le attrici, eppure lei lavora quasi più di prima. Come se lo spiega?
«Dipende dalle storie che raccontiamo ma fa sempre comodo una 40enne nei paraggi».
Quasi sempre il ruolo d’elezione è la mamma. Non le pesa?
«Prima era la “fidanzata di": non è che cambia molto».
Condivide l’invito di Nanni Moretti a mobilitarsi contro la nuova legge sul cinema?
«Lo sottoscrivo: c’è un’intera filiera ferma. L’attuale legge agevola solo le grandi produzioni che hanno già una distribuzione e un budget di partenza: vuol dire ammazzare il cinema piccolo e medio».
Finora non si è però prodotto fin troppo?
«Sì, ma non è questo il modo di fare selezione. Ora siamo ai titoli di coda».
È testimonial di Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati: come si mette fine all’emergenza nel Mediterraneo?
«Non si vuole capire che l’emergenza nei nostri mari non finirà mai. Il fenomeno migratorio esisterà sempre: se non prendono l’aereo usano il barcone. Purtroppo mi sembra che il governo non stia facendo grandi cose. A Lampedusa vidi invece cittadini e associazioni locali rimboccarsi le maniche: le persone sono sempre migliori dei governi».
Tranne quando votano?
«Il problema è che non ci vanno a votare... Dovremmo interrogarci su questo». —