il Giornale, 25 settembre 2024
La versione di Trussardi jr: papà emarginato perché etero
Nicola non era gay. Sarebbe un bel titolo per una nuova canzone cantata da Povia, il tema di una storia al contrario per sbancare Sanremo come ai tempi di Luca. Che invece, nel titolo di quel brano, gay lo era e fece scalpore (il suo autore, per la verità continua a farlo) arrivando secondo al Festival del 2009 tra le proteste di chi non aveva capito le parole.
Ecco, in questo caso lo scalpore forse è lo stesso, e il Nicola in questione di cognome fa Trussardi, un mito della moda italiana che proprio da quella moda era trattato come «diverso». Questo quantomeno dice il figlio Tomaso, che ha rivelato nel podcast di Giacomo Freddi come appunto suo padre fosse stato messo da parte perché non era lo stereotipo di quello che il suo mondo si aspettava. Aveva successo, ma non era come loro. E soprattutto non era del giro. Tomaso insomma rivela qualcosa rimasto come un tarlo in famiglia: «Lo trattavano come un diverso e dico una cosa forte: perché non era gay. E quindi tutti gli stilisti che erano gay lo boicottavano, non lo facevano sfilare, non lo accettavano alle fiere: se si va a vedere le foto dei tempi c’erano Missoni, Armani, Versace, Krizia, Fiorucci, Ferrè, lui mai. Lo ghettizzavano perché era bergamasco, perché non era stilista, era soltanto un pellettiere». Detto che dei nomi citati c’è anche chi omosessuale non era, sotto la cenere cova un probabile risentimento per essersi sempre sentiti giudicati dall’ambiente in tono minore. Lo stesso Tomaso, in una recente intervista a Vanity Fair, si è lamentato di chi lo chiama ancora oggi figlio di papà: «Mi fa ridere, io che il padre l’ho perso quando avevo 15 anni» (Nicola Trussardi morì in un incidente stradale sulla Tangenziale Est di Milano nel 1999). Ma di certo c’è che il nome dell’azienda del levriero è passata attraverso le tempeste della vita ed è ancora qui. Come ha raccontato in passato Maria Luisa Gavazzeni, che di Tomaso è la madre: «Eravamo una famiglia che viveva in provincia, ma con un affaccio internazionale». Chissà se la provincia fosse una colpa, di sicuro la morte di Nicola fu uno choc, peggiorato dalla scomparsa dell’altro figlio Francesco, quattro anni dopo, sempre in un maledetto incidente: Maria Luisa pensò al suicidio, ma fu salvata dall’idea da Vittorio Feltri, un caro amico, «che mi chiamava di notte e mi trovava in lacrime: sognavo di arrivare in barca a vela in un’isola dove trovavo Nicola e Francesco ad aspettarmi».
Tutto questo trauma è nel cuore anche di Tomaso, ma alla fine l’insegnamento del padre resta quello da seguire: «Visto che non lo accettavano alle fiere, lui disse: sfilo fuori. Adesso chi sfila in fiera? Nessuno. È stato un precursore, ed ha capito anche che doveva creare un lifestyle, non un’azienda di moda. Qualcosa che fosse un’emanazione di quello che piaceva a lui, e tutto questo lo estrinseca proprio il marchio del levriero, il cane più elegante e più veloce che c’è». Sì, era diverso Nicola Trussardi, e lo era «perché di diceva di voler creare una società intelligente, colta, elegante», parola del celebre fotografo Giovanni Gastel. In fin dei conti, sarebbe diverso anche oggi.