il Fatto Quotidiano, 24 settembre 2024
Petrucci VI, l’eterno padrone del basket fra trucchi e vassalli
Gianni Petrucci è presidente della Federazione Pallacanestro praticamente da sempre: fu eletto per la prima volta nel ’92, oltre 30 anni di onorata carriera con in mezzo la guida del Comitato Olimpico tra il ’99 e il 2013 (il diretto interessato si offenderebbe: per lui è stato il basket una lunga parentesi prima e dopo il Coni). L’anno scorso, quando era in vigore il limite di tre mandati per le cariche sportive, aveva promesso: “In ogni caso non mi candiderei”. Era l’aprile del 2023, il basket italiano viveva un momento di discreto entusiasmo, dopo le semifinali sfiorate all’Europeo, i Mondiali all’orizzonte e la prospettiva di vedere in azzurro Paolo Banchero, n° 1 al draft Nba e promesso sposo dell’Italia. Da allora le cose sono andate un po’ diversamente: Banchero ovviamente ci ha preferito Team Usa (e ci ha pure umiliato ai Mondiali), la nazionale non si è qualificata alle Olimpiadi e il movimento annaspa su tutti i fronti. Ma intanto quel limite di mandati è caduto. E Petrucci ha cambiato idea: si ricandida per l’ennesima volta, la sesta. E come i suoi colleghi presidenti federali ha tutta l’intenzione di tenersi la poltrona.
La stagione elettorale dello sport fin qui è stata una farsa. I boiardi sono riusciti a cambiare la legge, complice una sentenza favorevole della Consulta e un emendamento compiacente del parlamento. E i paletti fissati come contrappeso dal ministro Abodi (essenzialmente il quorum dei due terzi per chi va oltre il terzo mandato) non sono serviti a nulla. I presidenti inanellano una riconferma dopo l’altra con percentuali bulgare, agli avversari restano le briciole, o nemmeno quelle perché spesso non riescono nemmeno a candidarsi. Nella pallacanestro ci prova Guido Valori, avvocato romano in diritto sportivo noto nell’ambiente (è stato tra gli esperti di Giorgetti a Palazzo Chigi quando era sottosegretario), che può contare sull’appoggio del senatore M5S, Stefano Patuanelli. Valori fino a ieri lavorava anche per la Fip, e ha avuto come testimone di nozze lo stesso Petrucci, che ha preso la sfida come un tradimento personale. Forse anche così si spiega l’acrimonia con cui viene giocata la partita del basket, tra cavilli, sgambetti e ritorsioni: un piccolo campionario di ciò che limita la democrazia nelle Federazioni e impedisce sistematicamente un ricambio ai vertici dello sport italiano.
Prendiamo la Lega femminile, componente marginale ma neanche troppo considerando i 5 delegati che manderà all’assemblea: lo statuto prevede che ci vogliono le firme di 6 club per candidarsi, ma la Serie A ne ha solo 11. Vuol dire che il candidato unico è ineluttabile: sarà il n° 1 attuale, Massimo Protani, che si è già schierato con Petrucci. Stesso metodo in Sicilia: la candidata del presidente ha raccolto così tante deleghe (123 su 160) che la competizione è chiusa in partenza; il sito ufficiale ne ha anche dato pubblicità, tanto per scoraggiare gli avversari. Nella Lega Nazionale Professionisti (le serie minori del basket), tiene banco il caso di Massimo Faraoni, che è contemporaneamente: presidente del Comitato regionale Toscana, consigliere e segretario della Lnp, socio di una squadra livornese di Serie C il cui amministratore ha sua volta incarichi nel Comitato regionale che rappresenterà alle urne. Un intreccio contrario allo statuto (per cui i ruoli nella Lega sono incompatibili con cariche federali), finito al centro di un’interrogazione parlamentare del Movimento 5 stelle. La Federazione, per cui la Lega è privata, non ha detto nulla.
Su queste e altre vicende, come già raccontato anche dal blog StorieSport, è stato presentato persino un esposto da Giorgio Maggi, l’ex presidente del Comitato Lombardia, a cui Petrucci aveva promesso l’indicazione del suo successore. Una conseguenza l’ha avuta: l’apertura di un procedimento a carico del denunciante, per un paio di affidamenti, spiccioli, a una società vicina ad un suo familiare, su cui in maniera del tutto irrituale è stata coinvolta anche Sport e Salute (una società pubblica), chiamata a dare un parere non si capisce a che titolo, e che si è concluso col deferimento. La squalifica è stata notificata in copia ai consiglieri regionali, avviso ai naviganti.
Piccoli esempi delle incrostazioni di potere così difficili da rimuovere nelle Federazioni. In un’elezione indiretta, dove le componenti si esprimono tramite delegati, 100 in totale, ogni voto sarà decisivo, specie quelli dei patron della derelitta Serie A. Ma chi ha il coraggio di schierarsi contro l’ordine costituito. A Petrucci servono 67 preferenze per essere rieletto, ma dovesse fermarsi sotto al quorum sarebbe ancora lui a gestire le nuove elezioni, dove non potrebbe ricandidarsi ma comunque schierare un suo vice (gentile concessione del ministro Abodi, che ha scritto così le regole). Si vota il 21 dicembre: già a inizio ottobre, però, saranno noti i nomi di tutti i delegati, con 70 giorni d’anticipo sulle urne, abbastanza per aprire un suk elettorale, semmai dovesse servire. Poi, fra quattro anni, magari ci ritroveremo ancora a contare i mandati di Petrucci &C.