Corriere della Sera, 24 settembre 2024
Storie di antipapi in odore di santità
L’elenco degli antipapi entrò ufficialmente nella storia della Chiesa con Onofrio Panvinio che (anno 1557), nell’ Epitome pontificum romanorum, non solo li menzionò uno a uno accanto ai legittimi pontefici, ma citò anche i cardinali da loro nominati. L’opera per questo ricevette critiche. Severe. Ma ciò non le impedì di circolare ampiamente. Trascorsero altri duecento anni e nel 1754 l’arcivescovo di Sorrento Lodovico Agnello Anastasio diede alle stampe la prima Istoria degli antipapi. Da allora queste anomale figure di capi della Chiesa di Roma alternativi a quelli ufficiali (o conosciuti come tali) sono parte integrante della storia del mondo cattolico.
Il primo fu (forse) Ippolito, che visse nel III secolo d.C. ai tempi di papa Callisto I il santo delle omonime catacombe (pontefice nel periodo 217-222). Ippolito di Roma – a cui è attribuito La tradizione apostolica (Edizioni Paoline) curato da Rachele Tateo – contestò l’elezione di Callisto che, ai suoi occhi, era un poco di buono come il suo predecessore Zefirino. Secondo la denuncia di Ippolito, Callisto «aveva ottenuto il trono episcopale con la corruzione», era «un truffatore», un «amministratore incapace» e soprattutto un «eretico». Lo avevano eletto papa – sempre secondo quanto riportato dal suo oppositore – perché a molti, ai più, piaceva che con lui venissero autorizzati «piaceri che Cristo non avrebbe consentito». Ad esempio? Le «matrone erano autorizzate a sposare gli schiavi», «i presbiteri e i diaconi potevano avere anche due o tre mogli», ai vescovi, «anche se colpevoli di gravi mancanze», sarebbe stato perdonato tutto. Ippolito, che sopravviverà al legittimo Callisto, darà vita a una sua comunità rigorista che continuerà a esistere anche nella stagione del successore di Callisto, Urbano I (222-230). Ma, nonostante la durezza dei suoi attacchi e l’incontestabile circostanza che abbia fondato la comunità di cui si è detto, non ci sono prove che si sia proclamato antipapa. Quelli autentici, cioè coloro che si proclamarono pontefici, vennero in seguito.
La storia della Chiesa cattolica non può essere scritta senza comprendere quella dei cosiddetti «antipapi», cioè quei religiosi che, appunto, si autoproclamarono o vennero proclamati al vertice dell’istituzione cristiana in contrapposizione ai legittimi pontefici, registrati nel Dizionario storico del papato (Bompiani). Tanto più se si considera che nei primi quindici secoli, da Pietro in poi, non trascorsero mai più di cento anni senza che la pace e l’equilibrio al vertice della Chiesa venissero turbati da un’elezione contrastata. In seguito, il fenomeno si ridusse fino a diventare pressoché irrilevante. Ma in qualche modo si ripresentò. Bene ha fatto perciò Mario Prignano a intitolare il suo nuovo libro, che uscirà il 4 ottobre per Laterza, Antipapi. Una storia della Chiesa. In effetti quella degli antipapi per gli studiosi seri va considerata come parte integrante della storia dell’istituzione ecclesiastica.
Nel passaggio tra il II e il III secolo, scrive Prignano, a Roma il cristianesimo cambiò pelle. Lo descrive bene Gustave Bardy in La conversione al cristianesimo nei primi secoli (Jaca Book). Nella seconda metà del II secolo si afferma l’idea del cosiddetto mono-episcopato. Se fino a quel momento ogni Chiesa era stata governata da un collegio di presbiteri (a imitazione del consiglio degli anziani di impronta giudaica), «da ora in avanti la sola autorità riconosciuta sarà quella del vescovo, visto come mediatore unico tra la comunità dei credenti e la salvezza promessa in Cristo». Alfiere di questa battaglia che incontra molte resistenze è Ignazio di Antiochia. Ireneo di Smirne, originario dell’Asia Minore poi vescovo di Lione, indicherà in Roma la sede del capo di tutta la Chiesa.
Paul Mattei, in Il cristianesimo antico. Da Gesù a Costantino (il Mulino) spiega perché proprio a Roma. Roma è la città chiamata a resistere alle ripetute ondate di persecuzioni, è la città in cui alla fine di ogni caccia al seguace di Cristo cresce il numero dei proseliti, al cui vescovo si rivolgono i capi delle varie Chiese per mettere ordine nelle loro dispute e individuare le eresie. Ogni Chiesa locale, riferisce Prignano, in questo periodo «compilerà liste dei propri vescovi con la pretesa di farli risalire a ritroso fino agli apostoli». E una delle prime liste a essere compilata è proprio quella di Roma. Quando Ireneo intorno al 190 scrive il suo Contro le eresie, inserisce nel testo la lista romana destinata a diventare il primo «elenco dei Papi». E Roma sarà anche la città del primo Papa contrastato, quel Callisto osteggiato da Ippolito di cui si è detto all’inizio.
Il termine «antipapa» però fu coniato mille anni dopo, nella prima metà del secolo XII e spesso lasciò il passo a denominazioni ben più offensive: «apostolo dell’Anticristo», «araldo del demonio», «drago orrendissimo», «figlio della perdizione», «nemico della salvezza». Per il Dizionario storico del papato dicesi antipapa «chiunque abbia assunto il nome di pontefice e abbia esercitato o preteso di esercitarne le funzioni senza fondamento canonico». Ma, fa notare Prignano, è una circostanza molto complicata da provare. Soprattutto per i diciotto antipapi che secondo alcune catalogazioni sarebbero vissuti prima del 1059, anno in cui si passò dall’elezione per acclamazione popolare a quella per scrutinio da parte del collegio dei cardinali. Senza contare che, anche dopo quella data, prosegue lo storico, fior di pontefici (uno su tutti: Gregorio VII), pur essendo catalogati come «legittimi», furono eletti con procedure alquanto dubbie.
Ma, mette in chiaro Prignano, compito dello storico non è e non può essere quello di stabilire chi abbia meritato e chi no il titolo di Vicario di Cristo in Terra, nonché pastore della Chiesa universale. Talché lo stesso termine «antipapa» appare allo studioso anacronistico in quanto anticipa un giudizio morale che nulla ha a che vedere con il lavoro dello storico. Dal quale lo storico «farebbe bene a non farsi condizionare».
Va chiarito poi che ciò che noi sappiamo di queste figure è, perlopiù, «quello che ci è stato tramandato da chi ha prevalso». In altre parole «la versione del vincitore». In genere sono dunque racconti di damnatio memoriae per coloro che avevano osato sfidare la «legittimità» del pontefice in carica. Anche se spesso tale «legittimità» era determinata soltanto dalla vittoria dell’uno sull’altro. Il quale, dopo aver vinto, si dava carico di denigrare il nemico sconfitto. Ad esempio, Burdino (al secolo Maurice Bourdin), antipapa con il nome di Gregorio VIII dal 1118 al 1121: se ne parla nei libri di storia in funzione del trattamento umiliante a cui fu sottoposto dal «legittimo» papa Callisto II. Già il predecessore di Callisto, papa Gelasio II, aveva scomunicato Burdino nonché l’imperatore Enrico V reo di averlo sostenuto. Callisto II, appena eletto Papa, costrinse Burdino a riparare a Sutri. Poi cinse d’assedio Sutri finché gli abitanti non glielo consegnarono (1121). A quel punto Callisto II gli fece traversare Roma seduto a rovescio sulla sella di un cammello con la coda tra le mani perché il popolo potesse farsene beffe. In seguito, lo spedì in stato di semidetenzione, a Cava dei Tirreni dove tredici anni dopo l’antipapa Gregorio VIII (Burdino) morì dimenticato dal mondo.
Tanta severità è riconducibile alla paura del Papa che potesse ripetersi quel che era accaduto al più illustre tra i suoi predecessori: Gregorio VII (Ildebrando di Soana). Gregorio VII entrò in conflitto con l’imperatore Enrico IV, il quale nel gennaio 1077 si vide costretto a implorare il suo perdono nel castello di Matilde di Canossa, forse uno degli episodi più noti del Medioevo. Meno noto è che tre anni dopo, nel 1080, a Bressanone, in un sinodo che Prignano descrive come «affollato di vescovi tedeschi, borgognoni e del Nord Italia» fu eletto Papa con l’approvazione dell’imperatore Wiberto di Ravenna. Il quale Wiberto prese il nome di Clemente III. Nicolangelo D’Acunto in La lotta per le investiture. Una rivoluzione medievale (998-1122) (Carocci) racconta bene che questo evento provocò un violentissimo scossone all’interno della Chiesa. Al punto che, sostiene Prignano, «il pontificato gregoriano ricevette un colpo dal quale non si sarebbe ripreso mai più».
Nel 1081 Clemente III si presenta a Roma, accompagnato dalle milizie di Enrico IV. I romani però, scrive Prignano, «nonostante il topos che li vorrebbe volubili e opportunisti» questa volta sostengono il loro Papa. Ma l’antipapa e l’imperatore resistono fino al 1084 quando entrano nella città e ne prendono possesso. Gregorio VII si rifugia a Castel Sant’Angelo, mentre molti ecclesiastici e buona parte del sacro collegio (ben dodici cardinali su ventisei) gli voltano le spalle. Finché non giungono in soccorso di Gregorio i normanni di Roberto il Guiscardo, che metteranno in fuga i tedeschi, salveranno il legittimo pontefice, ma lo costringeranno a seguirli a Salerno (dove l’anno successivo Ildebrando di Soana morirà). Il tutto dopo che avranno messo la città a ferro e fuoco «come non avveniva dai tempi del sacco di Alarico».
Ma la storia, forse la più tragica tra quelle che opposero Papi ad antipapi, non finisce con la morte di Gregorio VII. Clemente III non solo sopravvive a Gregorio, ma anche a tre suoi successori: Vittore III, Urbano II e Pasquale II. Quest’ultimo, eletto nel 1099, sarà costretto, anche lui, a cimentarsi militarmente con Clemente III, ma riuscirà a sopravvivergli quando la morte coglierà l’antipapa a Civita Castellana l’8 settembre del 1100. A quel punto, riferisce Prignano, «Pasquale compie un’opera di demolizione della memoria storica e materiale del rivale defunto che giunge fino alla distruzione del sepolcro e la dispersione delle sue ossa nel Tevere». Anche perché – come spiega Roberto Rusconi in Santo Padre. La santità del papa da San Pietro a Giovanni Paolo II (Viella) – attorno alla figura di Wiberto-Clemente comincia a diffondersi un’aura di santità «con episodi di vera e propria venerazione». Aura che si basa su «testimonianze di eventi miracolosi verificatisi sulla sua tomba».
A tale riguardo, fa notare Prignano, uno degli episodi più clamorosi è quello che riguarda la basilica paleocristiana di San Clemente a Roma. Dopo averla fatta interrare «per cancellare ogni traccia degli affreschi che rischiavano di accostare il Papa santo e martire del I secolo all’omonimo odiato rivale», Pasquale II ne fece edificare al suo posto una nuova, «fornendo indicazioni precise affinché venisse esclusa ogni identificazione tra i due».
Miracoli a parte, cosa è che rende possibile che un antipapa arrivi a essere «in odore di santità»? Prima e dopo l’elezione, risponde Prignano, Clemente fu animato da un forte intento riformista che gli guadagnò il sostegno di una buona parte della cristianità. E che, in particolare nella lotta alla simonia e al concubinato dei preti, poco o per nulla lo distingueva dagli avversari. Tanto è vero che Nicolangelo D’Acunto ha potuto recentemente sostenere la tesi della quasi totale sovrapponibilità del suo pensiero con quello di un Pier Damiani, il cardinale ravennate che, nella Divina Commedia, Dante Alighieri colloca nel XXI canto del Paradiso.
Ciò spiega perché coloro i quali sono finiti in quella che Prignano definisce la «lista nera degli intrusi del soglio di Pietro» talvolta vengano considerate persone non meritevoli di riprovazione. Gli antipapi furono in qualche caso «sostenitori di posizioni teologiche di tutto rispetto ancorché perdenti». Alcuni «pur non meritandolo vennero abbandonati per molteplici ragioni, non tutte meritevoli di encomio, dai propri seguaci». Altri «furono battuti sul campo di battaglia». Altri ancora «morirono prima del loro competitore». Che ebbe così «la buona sorte di potersi dichiarare legittimo». Prignano riconosce che ci furono antipapi che diedero un contributo assai importante all’autoriforma della Chiesa (o almeno ci provarono). Racconta che su alcuni la Santa Sede per secoli non ha saputo prendere posizione. Su altri l’ha modificata solo di recente. E su qualcuno avanza ancora il dubbio che, dopotutto, potrebbe essere considerato legittimo a scapito del rivale dell’epoca.