La Stampa, 23 settembre 2024
La lezione di Baricco su Fenoglio per i 30 anni di Holden
Dovevo fare una lezione, mi è parso giusto quando me l’hanno chiesto. Perché tirarsi indietro, da buon piemontese? Naturalmente, però, non voglio farla troppo seria e sacra, per carità.Ho scelto una cosa, ma più che altro in modo ironico, lo giuro. Ho scelto una roba che da noi è quasi obbligatoria. Prima ho pensato, faccio una bella lezione su Benjamin, ma lì diventava veramente troppo serio.Perché qui ci sono i grandi classici. È come se mi mettessi a cantare Sapore di sale. Ci sono dei classici in questa scuola. Uno dei classici è Il gorgo di Beppe Fenoglio. Credo che tutti quelli che insegnano qui abbiano fatto una lezione su Il gorgo, anche perché è breve. E quindi cosa facciamo oggi? Una lezione su Il gorgo. Ce la subiamo di nuovo. Non che io abbia poi molto da dire in più rispetto ai vostri insegnanti, perché non l’ho mai studiato troppo. Mi è sempre piaciuto moltissimo, però ho scelto lui perché è breve, è un grande classico della scuola, quindi è più un divertirci a rifare una lezione che avrete già fatto. Ma anche perché, come sapete, c’è molta piemontesità in questo racconto. Il Piemonte, Torino, i torinesi, i piemontesi, questo Nord è sicuramente una delle cose che tutti voi avete imparato. Comunque, è stata un’occasione che avete avuto nella vita, cioè vedere questi strani umani, questa strana civiltà. Alcuni di voi si sono trasferiti qui, hanno sposato torinesi o comunque aver conosciuto questa gente penso sia stato un passaggio di vita. Questo racconto dice di questa gente cose immense, nel modo giusto. Noi piemontesi non sappiamo raccontarci, ma abbiamo narratori di noi stessi di livello immenso. Nessuno racconta i napoletani come Fenoglio racconta i piemontesi. Il più grande di tutti, Paolo Conte, ha raccontato noi piemontesi, però nei bar parliamo d’altro. Diciamo, è una cosa che tendiamo a nascondere. Qui a scuola, però, siamo abbastanza fieri di questo. Ecco perché l’ho scelto. Ok? Si va.«Nostro padre si decise per il gorgo e in tutta la nostra grossa famiglia, soltanto io lo capii che avevo nove anni ed ero l’ultimo».Bellissimo inizio, perché è come prendere il cuore di un racconto e metterlo subito sul tavolo. Tra l’altro, è abbastanza furbo perché non spoilera. Non dice «mio padre si decise per il gorgo e io lo salvai», ma lo dice in un modo più bello.«Il padre decise di andare al gorgo e io fui l’unico ad accorgermene, perché ero il più piccolo».Questo è uno dei cuori della storia. Lui lo prende pulito pulito e lo mette lì. Da subito, è dritto dritto, con un’andatura bella. Piemontese, direi. Non voglio fare il tecnicista che in questa scuola non va molto, ma la prima frase è bellissima: armonica, equilibrata.«Nostro padre si decise per il gorgo e in tutta la nostra grossa famiglia soltanto io lo capii che avevo nove anni ed ero l’ultimo».Notate come la prima e la terza parte della frase abbiano lo stesso numero di sillabe: dodici. Fenoglio non le ha contate, ma evidentemente cercava un’architettura. Sapeva che era l’ingresso e l’ha voluto disegnare bene. Poi magari gli è venuto naturalmente. È armonia pura. Ecco perché queste frasi ci rimangono impresse.«In quel tempo, biblico-evangelico, stavamo ancora tutti insieme, salvo Eugenio che era via a fare la guerra d’Abissinia».Bellissimo cambio di tempo, di velocità, che mi fa godere fisicamente. Fenoglio cambia registro con naturalezza. È italiano molto parlato, colloquiale. Poi, d’improvviso, usa il tempo presente:«Quando nostra sorella penultima si ammala».È una delle poche volte in cui usa il tempo presente.«Mandammo per il medico di Niella e alla seconda visita disse che non capiva niente. Chiamammo il medico di Murazzano ed anche lui non riconobbe il male. Venne quello di Feisoglio e tutte e tre dissero che la malattia era al di sopra della loro scienza».Questo è un giro di preghiera. Come quando si dice: Maria delle quattro preghiere, no? «Andammo dal medico di Niella..., andammo dal medico di Murazzano..., andammo dal medico di Feisoglio...». Questi nomi del nostro Piemonte, che suonano meravigliosamente. Come quando leggo romanzi sudamericani, questi nomi bellissimi, per loro sono nomi di località e per noi invece suonano meravigliosamente bene.«Deperivamo anche noi accanto a lei, e la sua febbre ci scaldava come un braciere, quando vegliavamo su di lei per cercare di capire a che punto era».Vorrei far notare come Fenoglio si affidi rocciosamente allo schema tripartito. Di nuovo una frase in tre, i medici sono tre. Se vogliamo proprio analizzarla, ci sono delle virgole qui. Non sono virgole come le insegniamo a mettere in questa scuola il primo anno, sono virgole come le insegniamo a mettere il terzo anno. Sono pause che alludono a una respirazione, a una lettura a voce alta. Fenoglio ci sta dicendo: «Va letto così». È un’indicazione di musica, non un’indicazione di topografia.«Fra quello che soffriva e le spese, nostra madre arrivò a comandarci di pregare il Signore che ce la portasse via; ma lei durava».«Fra quello che soffriva» non è italiano, forse non è neanche piemontese. È un modo scorretto di parlare italiano, ma molto dritto. La parola “durava” è perfetta: verbo scelto benissimo. Lui deve dire un sacco di cose con quel verbo.«Solo più grossa un dito e lamentandosi sempre come un’agnella. Come se non bastasse, si aggiunse il batticuore per Eugenio dal quale non ricevevamo più posta. Tutte le mattina accorrevo in canonica a farmi dire dal parroco cosa c’era sulla prima pagina del giornale e tornavo a casa a raccontare che erano in corso con i mori le più grandi battaglie. Cominciammo a recitare il rosario anche per lui, tutte le sere, con la testa tra le mani».Era un mondo di sfighe, La malora, un mondo duro quello che ha raccontato. Molto squattrinato. Nessuna soddisfazione, poche gioie. Il Piemonte non è questo, voglio dire, ma lo era molto quel Piemonte lì. Oggi andate nelle Langhe, nelle sue terre e non lo trovate più. Ma in qualche modo è rimasto in noi piemontesi. Io dico: «Vado a ritirare il Nobel», e mia madre risponde: «Stai attento alle correnti». Noi stiamo sempre un po’ con le spalle su, ci aspettiamo il colpo. Qui vi faccio notare una piccola cosa: fino ad adesso è stato su un livello che ha un certo livello di definizione, non ci sono dettagli. Non troverete la descrizione di un volto, non c’è un aggettivo. In questa frase «con la testa fra le mani», invece, per la prima volta li vedi. Questo tipo di letteratura non ha attrito, non è veloce ma dà un senso di grande fluidità. Non c’è bisogno di dire di più, ci basta quel dettaglio per capire la sofferenza e la fragilità del personaggio.«Uno di quei giorni nostro padre si leva da tavola e dice con la sua voce ordinaria: “Scendo fino al Belbo a voltare quelle fascine che mi hanno preso la pioggia"».Sono le uniche parole che pronunciano in questo racconto. Una delle ragioni per cui è incauto leggere Il gorgo è che non c’è una voce al mondo con cui leggere questa battuta perché Fenoglio dice «con la sua voce ordinaria» ma chissà quale sarà. E poi c’è il fiume Belbo. Il fiume per questa gente è il fresco, è il divertimento, sono i corpi nudi, non c’è il mare, ma il fiume è anche l’assassino perché ci sono questi gorghi che si conoscono bene. «Decidersi per il gorgo» era un’espressione bellissima perché significava uccidersi.«Non so come, ma io capii al volo che andava a finirsi nell’acqua, e mi atterrì guardando in giro vedere che nessun altro aveva avuto la mia ispirazione».Qui è di nuovo l’inizio del racconto. Lo atterrisce non che il padre si voglia ammazzare, ma il fatto che è l’unico a capirlo. È orrendo essere l’unico che si accorge. È una solitudine che ti atterrisce. È tanto forte questa roba che tira fuori il secondo dettaglio.«Nemmeno nostra madre fece il più piccolo gesto, seguitò a pulire il paiolo. E sì che conosceva il suo uomo come se fosse il primo dei suoi figli».Tra l’altro annotazione bellissima di come le donne possono conoscere gli uomini.«Eppure non diedi l’allarme, come se sapessi che lo avrei salvato solo se facessi tutto da me».Frase ignobile dal punto di vista dell’italiano. E qui davvero non ho spiegazioni. Non so, aveva bevuto… Cioè, non si può dire che Fenoglio non conoscesse l’italiano. Che lui stirasse la consecutio temporum, lo faceva sì. Non amava il bello scrivere. Amava la scrittura bella, ma non era quello del gran galateo letterario, ma aveva un taglio dell’accetta tutto suo. Ma qui non è tirare dritto, qui è «Santo cielo, rileggi».«Gli uscii dietro che lui, pigliato il forcone, cominciava a scendere dall’aia. Mi misi per il suo sentiero, ma mi staccava solo a camminare, e così dovetti buttarmi a una mezza corsa. Mi sentì, mi riconobbe dal peso del passo, ma non si voltò e mi disse di tornarmene a casa con una voce rauca ma di scarso comando. Non gli obbedii. Allora venti passi più sotto mi ripeté di tornarmene su ma stavolta con la voce che metteva con i miei fratelli più grandi quando si azzardavano a contraddirlo in qualcosa».Una cosa che voglio sottolineare è che lui in questo pezzetto fa una cosa che non sarebbe permessa in questa scuola, nemmeno al terzo anno: in otto righe ci sono tre “ma”. Se non ve lo avessi detto, non è detto che ve ne sareste accorti. Questo perché a questo punto del racconto noi siamo dentro la vita.«Mi spaventò ma non mi fermai. Lui si lasciò raggiungere e quando mi sentii al suo fianco con una mano mi fece girare come una trottola e poi mi sparò un calcio dietro che mi sparò tre passi più su. Mi rialzai, e di nuovo dietro. Ma adesso ero più sicuro che ce l’avrei fatta a impedirglielo. E mi venne da urlare verso casa, ma ne eravamo già troppo lontani. Avessi visto un uomo lì intorno mi sarei lasciato andare a pregarlo: “Voi per carità, parlate a mio padre, ditegli qualcosa”, ma non vedevo una testa d’uovo in tutta la conca. Eravamo quasi in piano, dove si sentiva già chiara l’acqua di Belbo correre tra le canne. A questo punto lui si voltò, si scese il forcone dalla spalla e cominciò a mostrarmelo come si fa con le bestie feroci. Non posso dire che faccia avesse, perché guardavo solo i denti del forcone che mi ballavano a tre dita dal petto, e soprattutto perché non mi sentivo di alzargli gli occhi in faccia per la vergogna di vederlo come nudo».E qui, la lezione del Piemonte. Fin qui tutto il resto lo potevano fare molti scrittori italiani. Ma qui c’è la ragione per cui molti di noi pensano che lui sia il più grande. In quel frammento di tempo lui coglie una cosa immane che riguarda tutti gli uomini. Lui in quel frangente lì non vuole vedere il volto di suo padre. E sappiamo qual è il frangente. Ci sono delle persone nella tua vita che sono delle autorità e che a un certo punto della tua vita rischi di vederli nudi. Perché non alzi lo sguardo? Se chiedi a uno scrittore romano ti darà una risposta, ma se lo chiedi a uno scrittore piemontese, come me, è diverso: non alzi lo sguardo perché ti vergogni. Ti vergogni per lui. La vergogna è la categoria portante dell’esistenza di noi piemontesi. I più evoluti di noi impiegano l’intera esistenza per toglierci la vergogna di dosso. Mia madre non se la toglierà neanche morendo. Infatti morire, che è un gesto un po’ così di cui tendenzialmente ci vergogniamo, mia madre non lo fa.«Ma arrivammo insieme alle nostre fascine. Il gorgo era subito lì dietro un fitto di felci e la sua acqua ferma sembrava la pelle di un serpente».L’unica similitudine di tutto il racconto. Lui era molto rigoroso. Ne usa una per descrivere il centro del racconto: il gorgo».«Mio padre, la sua testa era protesa, i suoi occhi puntati al gorgo e allora allargai il petto per urlare».Molto bella. Mio padre virgola la sua testa era protesa è un italiano molto bello. È scrivere da Dio.«In quell’attimo lui ficcò il forcone nella prima fascina e le voltò tutte ma con una lentezza infinita, come se sognasse. E quando le ebbe voltate tutte tirò un sospiro tale che si allungò d’un palmo. Poi si girò, stavolta lo guardai, e gli vidi la faccia che aveva tutte le volte che rincasava da in festa con una sbronza fina».Questa volta lo guarda, non si vergogna più. Ammetto di non aver mai visto questa faccia che descrive. Punto a capo, ci sono le ultime cinque righe che sono tra le più famose della letteratura italiana ed era anche la ragione di questo racconto.«Tornammo su, con lui che si sforzava di salire adagio per non perdermi d’un passo, e mi teneva sulla spalla la mano libera dal forcone ed ogni tanto mi grattava col pollice, ma leggero come una formica, tra i due nervi che abbiamo dietro il collo».Questo passaggio dal punto di vista tecnico è straordinario per pulizia e coerenza, perché riesce a far convergere in un unico punto un universo. Io non conosco quasi nessuno che arrivato a questo punto non si commuova. Persino se lo legge Scurati. Soprattutto noi piemontesi ma in generale gli umani ciò che percepiscono, perché lui vi sta distraendo con la bellezza del gesto tecnico, è quel che in queste righe non c’è. E il fatto che non appaia in nessun modo tutto quel che non c’è è di devastante tristezza. Cosa non c’è? Tutto quello che il padre dovrebbe fare. Parlare, ringraziando: «Ti devo la vita». In Fenoglio troverete una cosa lacerante: la vita che non abbiamo vissuto. Fenoglio ha detto alla sua gente ma anche all’umanità tutta: voi non vi abbracciate, siete fuori? Lui per primo che era un uomo così. Penso che irrompa questa commozione irresistibile in chiunque quando vede che la vita muore. Non la vita dei corpi, chi se ne frega, ma la vita di quando si è vivi: quando accade la vita e tu non la fai. Noi ci portiamo dietro il lutto di ciò che noi non facciamo. Non è una cosa solo piemontese. Gli umani la conoscono. Sappiamo cos’è quando la vita muore, quando muore da viva. E se uno te la dice bene come Fenoglio sapeva fare allora ti commuovi. Quindi se adesso io scendo e non vi abbraccio completamente tutti come vorrei fare è solo perché ho l’influenza. Non vorrei che ci fosse il cluster della festa della Holden. Però io ci ho lavorato e abbraccio molto di più adesso. E tutte le volte che leggo questo finale mi commuovo anche pensando a me, perché forse adesso sono andato oltre a questo pollicetto. Qualcosa di più sono riuscito a ottenere. Tra le altre cose questa splendida scuola. —