Corriere della Sera, 23 settembre 2024
Il Latino è vivo
Non si tratta di una tediosa e saccente dissertazione sull’importanza della lingua di Virgilio, Catullo e Ovidio, bensì di una veemente e autentica attestazione d’amore per il latino, tuttora capace di dare un senso all’identità degli italiani. È lo strumento espressivo che permette di apprezzare maggiormente numerosi aspetti della realtà per una migliore comprensione del presente. Aggiungendo l’immancabile ironia mordace, che gli è consona, contro le meschine consuetudini contemporanee, Vittorio Feltri (Bergamo, 1943) si schiera apertamente a tutela del linguaggio degli antichi Romani nel volume Il latino lingua immortale (Mondadori, da domani in libreria), che si avvale di una cristallina prefazione di monsignor Giulio Dellavite. Indiscutibile il coinvolgente fascino del latino: è la lingua della storia occidentale, di imperatori, re, papi, ecclesiastici, letterati, scienziati, matematici, di documenti, leggi, trattati, studi. E ancora oggi fa parte della nostra vita quotidiana, anche se spesso non ce ne accorgiamo, anzi si cade a volte nel tragico errore di considerare un termine latino quale imprestito anglofono. Pensiamo a surplus (eccedenza), focus (centro d’interesse), ex (preposizione che indica separazione, origine), status (condizione), forum (piazza), auditorium (luogo ove ascoltare), campus (territorio), iter (viaggio), media (mezzo). Nell’incipit della prefazione Giulio Dellavite elogia l’autore che «con la sua penna egregia – da ex-grege, fuori dal gregge –... mostra come il latino non sia una lingua morta, ma un lievito madre».
Il libro si apre con un’introduzione avvincente intitolata «Come Cicerone e Seneca mi hanno cambiato la vita». Qui Feltri – giornalista di razza, inviato speciale, direttore di diversi quotidiani, politico e opinionista – confessa di appartenere alla fazione dei conservatori, si schiera a difesa di un insegnamento da non eliminare a ogni costo dai programmi scolastici. D’altronde l’italiano si è sviluppato quale diretta derivazione dal latino similmente a tutte le lingue romanze (francese, spagnolo, portoghese, romeno). L’autore spiega il proprio incontro con il linguaggio dei Romani antichi durante le medie inferiori nel tradurre il De bello Gallico di Cesare. Rievoca la preparazione alla maturità, protetto dall’anziano monsignor Angelo Meli in veste di aio alla maniera di Giuseppe Parini che, facendogli «il sedere letteralmente quadrato» e costringendolo per diverse ore tutti i giorni a studiare in seminario, riuscì a insegnargli un metodo intensivo del latino per appropriarsi dell’eloquenza nell’uso adeguato delle figure retoriche. Tanto che il giovane Feltri capì di poter affrontare l’esame di maturità senza alcun timore, poiché per lui fronteggiare una versione di Cicerone, Quintiliano o Seneca si era trasformato in divertimento. Da qui nasce l’invito a leggere e apprezzare Virgilio, Tacito oppure Ovidio direttamente dal testo originale e non nelle traduzioni. L’autore riflette quindi sul Carpe diem di Orazio, concludendo che «il significato della vita è in realtà negli attimi che il destino ci regala, uno dopo l’altro».
Nel volume, suddiviso in tredici capitoli, Feltri confida di divertirsi assai a essere imitato da Crozza, il suo alter ego (l’altro me stesso), svela il significato giornalistico dell’espressione in camera caritatis (una confidenza da non pubblicare), si dichiara ebreo ad honorem, provando ribrezzo contro i terroristi di Hamas e tutte quelle nazioni che hanno deciso di programmare l’eliminazione dello Stato di Israele. Evidenzia di seguito parole latine sotterranee, che giungono filtrate dall’inglese: nel marketing sponsor (patrocinatore), in ambito educativo tutor (difensore); in campo economico bonus (vantaggio extra) e deficit (mancanza di risorse). Per proseguire con Mario Draghi, l’infinito curriculum vitae (corso della vita) e la sua agenda (cose da fare). E ancora durante la pandemia le costrizioni da virus (veleno), fino ai significati originari di monitor (ammonitore, consigliere), alibi (altrove, per estensione sinonimo di giustificazione), mica (briciola di pane ossia qualcosa d’insignificante). Analizza poi alcuni motti passati alla storia: per aspera ad astra (attraverso le asperità fino alle stelle), che appartiene all’etica del cristianesimo, ma si adatta perfettamente alla sofferenza delle vittime da Covid; alea iacta est (il dado è tratto) attribuito da Svetonio a Giulio Cesare, mentre, seguendo Erasmo da Rotterdam, per Feltri sembra più valida la versione con «esto» («sia lanciato», imperativo futuro) nel senso di gettare il cuore oltre l’ostacolo, evitando tentennamenti. Inoltre l’apparente slogan dell’arroganza, capolavoro di essenzialità di un generale vincente: veni, vidi, vici (venni, vidi, vinsi), attribuito a Cesare da Plutarco, riassume per l’autore il lavoro nei quotidiani dell’inviato.
In correlazione con il proverbio homo homini lupus (l’uomo è un lupo per l’uomo), che deriva dalla commedia L’asinaria di Plauto, commovente è il ricordo di Walter Tobagi, che Feltri ritiene sia oramai dimenticato da molti. E la cieca atrocità degli anni di piombo nei confronti dei nemici del popolo. Con semplici ma schiette parole Feltri rivive la brutale esecuzione: «Fu assassinato da una gang di deficienti che si ispiravano al comunismo, figli di papà che si atteggiavano a bolscevichi». Infaticabile lavoratore, inviato speciale, Tobagi entrò nel comitato di redazione del «Corriere della Sera», scegliendo una linea moderata: si parlava di lui come del possibile prossimo direttore del giornale. «Gliela fecero pagare» esclama Feltri, che lavorava al suo fianco, ne divenne amico e testimone della tragedia. «Il 28 maggio 1980 quelle carogne lo ammazzarono… Ero distrutto dal dolore, e pensai a quanto sia idiota, immotivata, gratuita la ferocia degli uomini, di alcuni uomini». L’autore conclude con una riflessione filosofica di straordinario impatto emotivo: «I lupi ci sembrano sempre altri, ma in fondo abbiamo paura che il gene della ferocia dorma dentro ognuno di noi. Forse il senso della vita è provare a non svegliarlo».