la Repubblica, 23 settembre 2024
Biografia di Roberto Giacobbo
Riuscirà a infilarsi nel cunicolo?
Davvero si arrampicherà sui gradini ripidissimi? Roberto Giacobbo, 62 anni, gigante gentile della tv, due metri di altezza e non sentirli, si muove con sprezzo del pericolo.
«Sono prima di tutto uno spettatore, da divulgatore mostro quello che mi piacerebbe vedere». Nel sabato tv dei varietà, con Freedom-Oltre il confine, su Rete4, va sul serio oltre: esplora, crea suspense, mostra abissi, vette, scheletri, scogliere, monasteri e tombe egizie. Un Indiana Jones formato famiglia (braccio destro la moglie Irene Bellini, produttrice del programma), che si diverte e vuole divertire. «Il pubblico che mi apprezza equivale all’indice di gradimento. Sono onorato. Compio 25 anni dalla mia prima serata: Stargate nel 1999. Venticinque anni passati attraverso i tre network: La7, Rai e Mediaset».
Gli inizi?
«Sono un ragazzo degli anni 60 cresciuto con le radio private, lavoravo a Rds. Poi mi sono impegnato come autore televisivo, amico di Bonolis, Frizzi, Fiorello, di Conti. Lillo Tombolini mi portò a Tmc in prima serata, dopo avermi visto da Maurizio Costanzo dove presentavo il mio primo libro. Pensavo di andare da autore, chiesi: chi conduce? Tu».
Freedom va in onda il sabato: le sembra la serata adatta?
«È una collocazione che mi onora, ho sposato il progetto del direttore di Rete 4 Sebastiano Lombardi: la rete fa programmi di produzione dal lunedì alla domenica. Quelli di divulgazione sono l’alternativa agli show. A Rai2, in una settimana, andai due volte in onda contro le finali dei reality, e mi misero contro la finale di Sanremo».
È stato tanti anni in Rai, nel 2009 fu nominato vicedirettore di Rai2. Considera il passaggio a Mediaset nel 2018 una svolta?
«A Mediaset hanno fiducia in me, sono libero e ho condiviso ogni scelta. In azienda c’è attenzione ai problemi delle persone, anche quando lavori l’umanità conta. Lo dice uno che è andato via dalla Rai offrendo un brindisi per 400 persone».
Chi è il suo pubblico?
«Recentemente dal marketing mi hanno detto: “Non riusciamo a individuare il tuo spettatore, va dai 4 anni ai 100 anni, dalla prima elementare al Nobel”. Mi fa piacere che mi seguano i ragazzi, è un pubblico trasversale e curioso».
Lei lo è ancora?
«Sempre. Smontavo i giocattoli e li rimontavo per capire come funzionavano, mio padre era ingegnere dell’Ibm e la curiosità per tutti i meccanismi mi è rimasta. Il dietro le quinte della vita mi piace, amo ascoltare. Ho tre figlie, la più grande ha 28 anni, la più piccola 23, ci mettiamo a tavola per mangiare, e soprattutto per parlare. Ci alziamo dopo due ore».
Notevole resistenza.
«Le donne della mia famiglia sono la mia forza, le figlie sono stupende, tutte e tre laureate, da loro imparo. Poi ci sono i sei bassotti: erano una coppia, abbiamo tenuto i cuccioli».
Nel Mulino bianco Giacobbo, mai una discussione?
«Parliamo, più che discutere. Con Irene non celebriamo gli anniversari di matrimonio, sono feste della famiglia. Per stare bene bisogna trovare persone risolte che vogliono confrontarsi. Non abbiamo la stessa visione su tutto: c’è la mia, la sua, e la terza è la somma delle due».
Per seguirla faticano anche gli operatori: mai un dubbio?
«Ci mettiamo la passione, tutti. Il nuovo operatore, Camillo, fa la Spartan race, chilometri di percorsi a ostacoli. Una volta in Sardegna mi sono rotto una costola uscendo da un pertugio strettissimo della montagna spaccata a Morgongiori. Ci aiutò un gruppo di speleologi».
L’avventura più spaventosa?
«Un volo al ritorno da Boston, l’aereo al decollo stava precipitando. Ho acceso il cellulare pensando fosse l’ultimo saluto a mia moglie. Grazie alla bravura del comandante siamo atterrati con le gomme che esplodevano. Poi nel 2013, nel mar del Giappone, l’arrivo di due squali».
Nel 2020 ha rischiato di morire di Covid.
«Fui ricoverato in condizioni disperate al Policlinico Gemelli, uno dei primi a mettere il caschetto dell’ossigeno. Eravamo in cinque – tutti più giovani di me – e la mattina dopo ero solo. Sono stato in ospedale 42 giorni. So che ogni attimo della vita è meraviglioso. Ricordo la sensazione in barca, nel Golfo di Alghero, quando ho respirato a pieni polmoni: è la cosa più bella del mondo. Qualche fantasma riaffiora, torniamo alla tv».
Come si cattura il pubblico?
«Col rigore scientifico e lo spettacolo, la gente va anche intrattenuta. La divulgazione deve attrarre, credo nella fantasia applicata alla conoscenza. Conta l’empatia, giro per le scuole. Gli studenti mi dicono: “Con un prof come lei, sarei andato bene”. Capitò anche a me al liceo, poi arrivò un altro insegnante; alle ragazze piacque subito perché era il sosia di Jack Nicholson, a noi perché era bravissimo. La matematica diventò bella. Ci sapeva coinvolgere».
Però è stato criticato perché lo spettacolo prevaleva sulla scienza: le è dispiaciuto?
«Quello che non ti uccide ti fortifica, si prendono le misure. Chi l’ha detto che la cultura deve essere grigia e polverosa e che solo un professore triste può essere autorevole? Chi non sa sorridere non sa essere serio».
Il rapporto con Alberto Angela?
«Intanto sono dell’avviso che i divulgatori dovrebbero essere tutelati come i panda. Io per attirare il pubblico ho fatto qualsiasi cosa, tanti anni fa decisi di mettere il titolo fisso del programma sullo schermo per intercettare le persone. Con Alberto ci siamo incontrati anche col papà, Persone cordialissime, la rivalità è una creazione dei giornali».
Segue la politica?
«Mi sento un alieno. Sto talmente tanti giorni fuori casa che quando riatterro non capisco cosa sia successo».
È il centenario della nascita di Mike Bongiorno: che ricordo ha?
«Con lui mi sono sentito Forrest Gump, testimone degli eventi. A 20 anni sono stato concorrente a Bis con un ragazzo della Valtellina, a un certo punto sentiamo la voce del regista: “Mike, puoi venire su in regia? Anzi, venite tutti”. In un angolo dello studio c’erano Giacinto Facchetti e Fabrizia Carminati. Arriviamo e, c’era Corrado: lo conoscevo per caso, avevamo lo stesso barbiere. Aveva portato a Mike la cassetta della puntata zero del Pranzo è servito,voleva il suo parere. Sembro Minà: “Eravamo io, Facchetti, Bongiorno, un ragazzo della Valtellina...”».
E a Bis vinse.
«Quattordici milioni di lire, assegni da spendere alla Standa e alla Rinascente. Mi madre fece una grande spesa: forme di parmigiano, prosciutto. Alla Rinascente comprammo i mobili della mia stanza e i vestiti. Il resto dei buoni li ho venduti a metà prezzo agli amici e con i pochi contanti, mi comprai una moto usata».
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