La Stampa, 22 settembre 2024
Biografia di Marco Tardelli
«Che cosa mi direbbe Bearzot? Auguri Vecio e mi abbraccerebbe».
Marco Tardelli compie settant’anni tra due giorni. Se porti all’orecchio una conchiglia senti il mare, se guardi una sua fotografia senti l’Urlo. L’unico rumore che ha fatto il tempo.
Marco, cos’è il tempo che scorre?
«Settant’anni sono tanti, non è una banalità. Ma non mi sento ancora nonno, nonostante lo sia di due splendidi gemelli».
Guardi indietro, chi vorrebbe qui per festeggiarli?
«Le persone che non ci sono più. Paolo, Gaetano, Bearzot, papà Maldini. E i miei genitori». (Paolo è Rossi, Gaetano è Scirea).
Che tipo di genitori ha avuto?
«Mamma si chiamava Maria, è mancata a 93 anni, una tosta. Anche manesca. Sberle, ma soprattutto tirate di capelli».
E papà?
«Domenico, se ne è andato a 74 anni. Faceva l’operaio all’Anas e gli piaceva coltivare la terra. Ecco a lui bastava uno sguardo per farsi capire. Mi ha insegnato a non arrendermi mai. Era un grande lavoratore, voleva rispetto e dava rispetto. Ecco, il rispetto per le persone è stato il suo insegnamento più importante».
L’ultimo di quattro fratelli, che famiglia erano i Tardelli?
«Molto unita. I nostri genitori ci hanno sempre dato da mangiare, ci hanno fatto studiare e con loro abbiamo riso tanto».
Mai sofferto per essere il più piccolo in casa?
«Mai. Anzi. Se ho fatto il calciatore è anche grazie all’aiuto dei miei fratelli maggiori».
Spieghi.
«Tutti e quattro avremmo voluto fare i calciatori. Danilo, il più grande, piaceva al Torino, ma non ebbe il permesso di andarci. Flavio era bravo, ma troppo pigro per fare carriera. Tullio era un tipo alla Gattuso, ma poi ha smesso».
Insomma, i genitori li ha presi per sfinimento?
«Un po’ sì, ma anche se non avessero voluto avrei continuato lo stesso. E i miei fratelli mi hanno regalato la valigia per il primo ritiro, mica me la potevo permettere».
La sua prima palla?
«Di stracci e carta, nel corridoio di casa. Allora si usava così».
Il suo primo pallone?
«All’oratorio Lanteri di Pisa. Con padre Bianchi, un prete che ci voleva bene. Ci portava al mare e ci faceva divertire molto».
Pentito di non aver studiato?
«Guardi, a Pisa sono arrivato alla terza geometri. Poi a Torino, quando ero alla Juventus, ho preso il diploma alle serali».
Geometra Tardelli, suona strano. Lo impose la Juventus?
«Lo feci per i miei genitori. La Juventus? No, di geometra c’era già Boniperti...».
L’ultimo calcio al pallone quando l’ha dato?
«Subito dopo essermi ritirato. Ho fatto un paio di comparsate per beneficenza e poi stop. Non mi è mai piaciuto tirare avanti certi show».
Il suo primo stipendio da professionista se lo ricorda?
«A Como. Dodici milioni all’anno, premi partita e presenze esclusi».
Un milione al mese: stordito dalla cifra?
«Mi sembravano un sacco di soldi. A Pisa guadagnavo 200mila lire al mese, l’anno prima ne portavo a casa 33mila da cameriere all’hotel Duomo».
Che cosa fece con quei milioni, li diede ai genitori?
«No, mio padre non ha mai voluto i miei soldi, mi comprai una Renault 5. Che dovetti vendere subito, sa com’è, in quell’estate mi prese la Juventus».
Il primo giorno alla Juve?
«Mi riceve Boniperti nella sede di allora, in Galleria San Federico. Io arrivo molto emozionato, lui mi guarda e mi dice: “si tagli i capelli, si tolga il braccialetto e la collanina e poi si ripresenti”».
E lei?
«Zero scelta. Mi tagliai i capelli e tolsi braccialetto e collanina. E mi ripresentai».
Lo stile Juventus?
«Si è fatta molta leggenda su questa definizione. Lo stile della Juventus era quello dell’Avvocato Agnelli e di Boniperti, dal carattere fumantino, un toscano più che un piemontese».
E quindi?
«Quindi mi hanno insegnato a comportarmi con le persone. Io l’ho imparato, altri no e di loro si è detto che non erano adatti a giocare con quella maglia. Ci stava».
Tardelli e l’Avvocato?
«Mi è stato molto vicino nei momenti di difficoltà. Ero appena diventato padre, dormivo pochissimo di notte per badare a mia figlia Sara. Mi allenavo male e finii per stirarmi. L’Avvocato mi chiama e mi dice che mi avrebbe mandato il suo massaggiatore».
La guarì?
«Vengo guardato male dagli altri, vado in campo e dopo venti minuti mi rifaccio male. Stiramento. L’indomani mi ritelefona l’Avvocato e gli dico “guardi questa gamba me la taglierei”. E lui: “lo dice a me...”. Non ci siamo sentiti per un po’».
Quanto contava nelle scelte della Juve?
«Si intrometteva poco. Se l’avesse fatto di più Maradona sarebbe arrivato alla Juve. Gliel’aveva segnalato un funzionario della Fiat argentina, ma Boniperti non credeva un dirigente d’azienda potesse saperne di più di lui. E così non se ne fece nulla».
Che cosa è stata la Juventus per lei? Padre o madre?
«Nessuna dei due, una maestra di vita».
Suona un altro telefono, “aspetti, è Falcao che mi chiama”, ed è un tuffo al cuore oltre che negli anni Ottanta. Riprendiamo dopo dieci minuti. Falcao? Vi sentite spesso?
«L’ho contattato per invitarlo all’Onu con la mia iniziativa nella prossima primavera».
Falcao chiama il 1982: lei avrebbe comunque vinto il mondiale, ma senza l’urlo sarebbe diventato ugualmente Marco Tardelli?
«Diciamo che mi ha aiutato un pochino».
Interviene Myrta Merlino, la sua compagna: «È stato l’urlo dell’Italia che voleva liberarsi di un periodo buio. E Marco, che è un passionale, ha impersonato quella voglia».
Ma nella vita, l’uomo dell’Urlo urla o ha urlato?
«L’ho fatto quando sono nati Sara e Nicola. Lo faccio a volte con Myrta, ma senza volerci male. In una coppia ci scappa ogni tanto».
Che cosa la manda in bestia?
«I suoi ritardi. Io sono puntuale. Anzi, gioco in anticipo come ho sempre fatto».
Tardelli il compagno di. O Myrta la compagna di?
«Diciamo che gli uomini fermano me. E le donne lei. E me di nascosto».
Vero che è geloso?
«Ma no. Con Myrta sto benissimo, sono innamorato di lei e vorrei, anzi sono certo, che sarà l’ultimo amore della mia vita».
Che idea ha dell’amore?
«Quando cresci capisci che non è più solo sesso e passione, ma affetto, intesa, comprensione, confronto. Con Myrta è così».
Con Moana Pozzi come fu allora?
«Moana era bellissima e intelligente. Ci siamo conosciuti, sono stato bene con lei. La sua morte? Penso sia andata come la raccontano».
Con i social certe avventure sarebbero state più complicate, pensi a lei instagrammato sui tetti per andare da Moana...
«A parte che era di notte, e non mi avrebbero visto, ma sì per una persona nota oggi è un po’ più complicato».
Che voto si dà come padre?
«Spero di aver trasmesso ai miei figli un esempio positivo. Non sono stato un padre speciale e forse avrei potuto essere migliore, ma un 6 me lo merito».
E come figlio?
«Sette. Ho sempre avuto molto rispetto per i miei genitori».
Maradona o Platini?
«Diversi. Michel non si faceva mai picchiare, Diego teneva la palla e prendeva sempre un sacco di botte».
Rispetto ai fenomeni di oggi?
«Perché oggi ci sono fenomeni?».
Può ringiovanire e tornare in campo: dice di sì?
«Chi non vorrebbe essere giovane? Una volta ho litigato con Giovanni Malagò, sosteneva che con il mio fisico non avrei potuto giocare oggi. Ero troppo gracile».
E lei?
«Gli dissi che si sbagliava. Ai miei tempi quando ti facevi male non avevi le cure e gli staff medici di oggi. A me il calcio continua a piacere, ma è venuto a mancare l’entusiasmo. Che ne sanno i fondi del nostro campionato? Per loro un giocatore in nazionale è un problema, per i presidenti della mia epoca era un onore».
La critica che più l’ha ferita?
«Prima del mondiale Brera scrive che ho le ruote sgonfie. Lo vedo al bar del nostro hotel a Vigo e dico a Marco Bernardini, inviato di Tuttosport che era con me, “andiamo via, sento puzza di merda”. Ero convinto di aver fatto una gran cosa, capii solo dopo che mi ero comportato da scemo. Mi scusai successivamente con il figlio di Brera, non riuscii a farlo con lui».
Ha perso prematuramente due compagni di viaggio: Scirea e Rossi (nel profilo whatsapp c’è una delicata foto di Tardelli con Pablito). Chi e che cosa sono stati per lei?
«Di Paolo non mi lascia mai il suo sorriso, a volte pensavo fosse sulle nuvole. Era un grande amico. Di Gaetano ricordo le notte insonni passate a parlare. Non l’ho mai visto arrabbiato. Un esempio incredibile».
Quanti amici ha nel mondo del calcio?
«Tanti. La maggior parte del periodo Juve. Prenda Zoff, mi ha sempre aiutato, andavamo in vacanza insieme a Punta Ala. Dino è una persona su cui puoi contare e spero che venga alla festa dei 70 anni. Dice sempre di sì, poi magari cambia idea».
Il pantheon calcistico di Tardellli?
«Risposta impossibile. Paolo Maldini, Maradona, Platini, Zoff, Pirlo. E Vincenzo D’Amico».
Vincenzo D’Amico?
«Un talento incredibile. Che ha creduto troppo poco in sé stesso».
Schlein o Meloni?
«Ho sempre votato a sinistra. Ma rimpiango Berlinguer».
Crede in Dio?
«Credente, ma non praticante. Pregavo per i miei genitori, ora non lo faccio più».
Oltre al posto delle vacanze che cosa è Pantelleria?
«Il mio rifugio dal mondo. Mi isolo e zappo la terra. Proprio come faceva mio padre».
Atterra un marziano e le chiede chi è Marco Tardelli?
«Uno che ha fatto sempre quello che ha voluto».