Robinson, 22 settembre 2024
Zerocalcare parla della sua nuova collana
Si chiama proprio così Cherry Bomb ovvero Bomba Carta la nuova collana di Zerocalcare.
E parte col botto, è il caso di dirlo: «L’ho chiamata in questo modo perché quando mi capitava di scoprire un fumetto che mi piaceva, a tutti quelli a cui lo consigliavo dicevo: “Leggilo: questo è una bomba!”. E poi perché la bomba carta, quando esplode fa molto rumore e quindi richiama l’attenzione di tutti, il che è proprio quello che vorrei fare perché si tratta di titoli che ne hanno bisogno perché sono un po’ fuori dalle rotte tradizionali. E poi c’era anche l’idea del cherry picking, cioè di andare a pescare cose che possono contraddire idee preconcette, capaci di mettere in discussioni visioni consolidate del mondo». Insomma Zerocalcare usa il suo nome e la sua fama, anche se lui è troppo understated per dirlo in questi termini, per far conoscere autori e storie di grande qualità ma, forse proprio per questo, spesso al di fuori delle logiche commerciali. Ma a chi è venuta l’idea? «A Bao, la casa editrice, perché capitava che spesso io gli dicessi “Oh, leggete questa cosa, è davvero bella!”. Forse anche per togliersi dagli impicci a un certo punto mi hanno detto “Senti ma siccome ci regali queste idee non è che ti va di farla tu una collana?” (ride). Comunque se non sono convinti possono anche dire di no».
Il primo volume pubblicato è The Grocery, una serie iniziata nel 2011 e conclusa nel 2016 la cui edizione integrale, in Francia è stata pubblicata nel 2023. Ed è proprio questa l’edizione proposta al pubblico italiano. Si tratta di un’opera monumentale di oltre 400 pagine ma che si legge tutta d’un fiato, capace di intrattenere pur parlando di temi molto complessi e attualissimi, dall’occupazione delle case alle carceri, che, non a caso, Calcare ha affrontato insieme a Ilaria Salis pochi giorni fa alla Fabbrica del Vapore di Milano. Qui in particolare si parla della questione delle detenute incinte o con bambini. Nel nostro Paese «il nuovo pacchetto di legge (il ddl sicurezza, ndr) apre alla possibilità di ingresso in carcere anche per le donne incinte e per le madri con i bambini di meno di un anno di età. E comunque in Italia ci sono dei bambini in carcere dall’anno in su. Non sono molti casi per fortuna, ma ci sono». Tornando a The Grocery, una cosa che colpisce è il contrasto tra l’efferatezza di molti momenti della storia e il segno grafico che sembra quello di storie per bambini. In questo c’è sicuramente comunanza con il lavoro di Calcare. «Io sono proprio in fissa con questa cosa, mi piace tantissimo perché è un modo per arrivare a tutti. E poi mi ha colpito molto il modo in cui hanno costruito l’affresco di quel pezzo di società: un mosaico in cui le loro vite si intrecciano. Per quello e per i temi trattati, mi ricordava una delle mie serie preferite di sempre, The Wire».
Un alto tema, anch’esso molto attuale è quello dei nazisti con cui il protagonista Elliott quasi inconsapevolmente costruisce un rapporto umano. «A Venezia ho visto un documentario molto interessante sui Proud Boys, una di quelle organizzazioni trumpiane che poi hanno partecipato a Capitol Hill, che mostra come incredibilmente, nella parte diciamo meno politica, alcuni di loro abbiano collaborato con parti di Black Lives Matter. Poi c’è l’orrore certo, ma dimostra come il tema sia molto più complesso di come lo percepiamo noi in Italia e che bisogna cercare di capire meglio questo tipo di cose. Su un fronte completamente diverso ma simile per complessità, sto leggendo il libro di Percival Everett, James, che è la visione immaginaria della storia dell’amico nero di Huckleberry Finn. Mi ci ha portato American Fiction, il film basato sull’altro romanzo dell’autore, Erasure, che parla di un professore nero e del suo difficile rapporto con la cultura woke». Ma invece, tornando a The Grocery conosci gli autori? «Sì solo in video per adesso, ma presto succederà».
Lo chiediamo anche a Aurelién Ducoudray e Guillaume Singelin. Conoscete Zerocalcare?
A. D.: «Non di persona ma seguo il suo impegno sui temi sociali e sono un grande fan dei suoi libri… dopo aver scoperto Kobane Calling li ho presi tutti! Ma proprio tutti, eh!».
C’è qualcosa del suo lavoro in cui vi riconoscete?
A. D.: «Sono particolarmente affascinato dal modo in cui riesce a raccontare anche le situazioni più difficili con leggerezza e umorismo… questa miscela di diversi registri linguistici è un aspetto che anche io cerco di mettere nelle mie storie! E poi, certo, adoro il modo in cui disegna: un tratto dinamico e non realistico, ma carico di emotività!».
Come è nata The Grocery?
G. S.: «All’epoca dei blog ero molto attivo e postavo tantissimo materiale, tra studi di personaggi e scene brevi. Un giorno, Aurélien mi ha scritto per farmi i complimenti per dei disegni che aveva visto. E mi ha chiesto se mi andasse di immaginare una storia con quei personaggi. Siamo partiti attingendo a uno dei capisaldi del nostro immaginario, la serie The Wire, che ci ha fatto da base per immaginare un mix di critica sociale verso gli Stati Uniti usando però personaggi cartooneschi».
A. D.: «All’epoca avevo pubblicato solo due fumetti, e tutte le settimane dedicavo un’intera giornata a vagare tra i blog dei disegnatori. Per caso mi sono imbattuto in quello di Guillaume… ed è stato un vero e proprio colpo di fulmine! Mi ricordo di una storia in quattro vignette, quattro emozioni diverse, l’umorismo grottesco, paura, violenza, tristezza… e tutto con dei personaggi dalla testa di pesce! E così l’ho contattato! Da quel momento le cose sono state molto veloci, lui mi ha detto di sì, io ho scritto il prologo, a lui è piaciuto. Rapido e indolore… se non fosse che io avevo solo il prologo e non avevo pensato al resto! Ah! Ah! Sono andato nel panico… ma per me panico vuol dire creatività!».
Perché ambientarlo negli Usa e non in Francia?
G. S.: «L’influsso di The Wire ha giocato un ruolo importantissimo. Come tanti altri, sono stato influenzato dalla cultura americana, e, lavorare su una storia lontana dalla mia vita quotidiana è stato molto stimolante per me».
A. D.: «Perché negli Stati Uniti è tutto estremo… ed era un aspetto che avevo particolarmente voglia di esplorare! Il meglio e il peggio in un solo angolo di strada!».
Una delle cose più interessanti è che nessuno in questa storia è del tutto buono o cattivo...
A. D.: «Lo sceneggiatore che è in me ama molto quel periodo dell’infanzia in cui niente è ancora definito, in cui il bene e il male sono concetti vaghi, le conseguenze delle azioni non ancora chiare… è il momento in cui buone azioni possono avere esiti catastrofici e le strade tortuose essere lastricate di bellissimi fiori! Elliott, il protagonista della storia per esempio, è il Candido di Voltaire: attraversa le vicende con lo stesso candore di quando era un bambino, non capisce sempre tutto ciò che gli sta succedendo attorno e resta sempre sé stesso. Lo adoro».
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