Robinson, 22 settembre 2024
Raffaello Baldini, poeta emiliano
Uomo e poeta di raffina ta discrezione, Raffaello Baldini è stato un autore in dialetto tra i più originali del Novecento. Nel prossimo mese di novembre avrebbe compiuto cento anni, ma se ne è andato nel 2005.
Nato a Sant’Arcangelo di Romagna, scrive nel dialetto della sua terra, come Tonino Guerra e Nino Pedretti. Esordisce tutt’altro che giovanissimo: nel 1976, infatti, a 52 anni, pubblicando una prima raccolta, È solitèri(I solitari) da Galeati, un piccolo editore di Imola, ma i lettori più attenti ben si accorgono del suo carattere molto originale, dell’efficacia speciale della sua narrazione in versi, che emergerà nettamente, suscitando decisi consensi da parte dei maggiori critici, nel 1982, con La nàiva ( La neve), edito da Einaudi (che pubblicherà anche le sue opere successive) e comprendente anche il volumetto d’esordio.
Era il tempo in cui si parlava, con grande attenzione, della cosiddettapoesia neo- dialettale, un fenomeno che aveva imposto alcune figure divenute poi centrali – a dispetto della marginalità della lingua utilizzata – nella vicenda poetica del periodo. Basti pensare che Pier Vincenzo Mengaldo, nel 1978, chiudeva la sua importante antologia dei Poeti italiani del Novecento ( Meridiani Mondadori) proprio con un dialettale: Franco Loi, che scriveva in milanese.
Ma non si trattava di un’operazione letteraria per questi autori che venivano affermandosi, piuttosto della loro necessità di esprimersi nella reale concretezza di una lingua venuta dal basso e purtroppo, un po’ ovunque, a rischio evidente di declino, già in quegli anni Settanta e Ottanta. In tutto questo non poteva certo dirsi estraneo un grande autore milanese che li aveva di molto preceduti, Delio Tessa, che aveva posto come epigrafe del suo libro più importante,L’è el dì di mort, alegher!,
questa speciale, indimenticabile dichiarazione: “Riconosco e onoro un solo Maestro, il popolo che parla”.Ma Tessa morì nel 1939, nel tempo in cui la gente comune era ancora la maggiore creatrice del linguaggio, un tempo che ci appare ormai remotissimo.
Ma veniamo al nostro Baldini, i cui versi si muovono in senso contrario rispetto al sempre, comunque, diffuso principio dell’io lirico che tende a esprimere essenzialmente sé stesso e i propri affanni. Il poeta santarcangiolese crea infatti una moltitudine varia di personaggi, figure della realtà più umile, di cui coglie nel dettaglio anche minimo, considerato spesso altrove ( e pure autorevolmente) non degno di poesia, un senso sotterraneo, comune ma al tempo stesso sempre complesso, dell’esserci, con la presenza dell’assurdo, con la descrizione di certi aspetti sordidi della quotidianità, magari fino alla fisicità anche squallida o sinistra del suo manifestarsi, come in quel tizio che si interroga a lungo sul significato della chiavica o della fogna o del tombino. Il suo modo espressivo prevalente è quello del racconto in versi, spesso di molto ampio respiro. La lingua che adotta non è di facile fruizione per chi non sia romagnolo come lui, ma va anche detto che nella traduzione d’autore la particolare energia interna del suo procedere si rivela in modo netto.
Appaiono anche animali, come nella poesia in cui un soggetto narrante teme l’invasione dei pipistrelli, o in quel bellissimo, crudele e beffardo testo, questa volta molto breve, intitolato Il gatto,che in traduzione dell’autore stesso suona così: «Quel gatto che ci siamo dimenticati, non ci abbiamo pensato / quando siamo venuti ad abitare a Mercatino, / dopo ci hanno detto che è stato giorni e giorni / a girare intorno a casa, a miagolare nell’orto, / a raspare alla porta, / finché non l’ha raccolto Rigo di Faréll / e l’ha portato a casa e se l’è mangiato».
Siamo nella prima fase del lavoro poetico di Baldini, La nàiva, quella che lo rivela, e che verrà seguita poi daFuristìr, nel 1988. Vi si confermerà la sua lontananza netta da un lirismo come quello del suo stesso conterraneo dialettale Tonino Guerra e dunque la sua predilezione per situazioni realistiche tutt’altro che elevate, da rendere in percorsi narrativi carichi di coloriture varie e opache, legate a tratti dell’esperienza in genere trascurati, persino nelle tradizionali o realistiche narrazioni in prosa. In ogni caso i personaggi di Baldini appaiono spesso in difficoltà, come incapaci di procedere in modo razionalmente consapevole, spesso turbati dalla loro inadeguatezza di fronte all’esperienza che li condiziona. Ci troviamo a tu per tu con innumerevoli maschere grottesche nelle cui vite si manifestano tracce di crudeltà e assurdo, persino di orrore, in contesti a tratti beckettiani o a volte quasi scenici. E, del resto, lo stesso Baldini è stato anche autore di un monologo teatrale, Zitti tutti,pubblicato nel 1993. La sua produzione poetica proseguirà poi nel segno dei suoi caratteri essenziali, con evidente coerenza interna, in opere come Ad nòta (Di notte, 1995), nel riassuntivo Ciacri( Chiacchiere, 2000), in Intercity( 2003). Dalla terra d’origine si era trasferito nel 1955 a Milano, dove poi aveva lavorato come giornalista culturale del settimanale Panorama.
Ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente, di considerarmi suo amico e di ammirare, dunque, accanto all’unicità della sua figura di poeta, la limpida e delicata nobiltà semplice del suo tratto umano.