la Repubblica, 22 settembre 2024
Federica Manzon vince il Campiello dei big
Trieste, «luogo dove la geografia ha la meglio sulla storia». L’orrore della guerra dei Balcani e un padre di cui nessuno sa esattamente cosa fa, ma che è stato vicino a Tito negli anni del tramonto. È Alma, romanzo di confini di Federica Manzon, unica donna tra gli scrittori finalisti, ad aggiudicarsi la 62esima edizione del premio Campiello, con 101 voti. Un’edizione che sarà ricordata per la qualità – altissima – dei romanzi in gara. A sorpresa Manzon stacca Il fuoco che ti porti dentrodi Antonio Franchini (arrivato secondo con 78 voti), La casa del magodi Emanuele Trevi eLocus Desperatus di Michele Mari. Nel filo rosso che ricorre in queste storie – le figure dei genitori – è la storia di un ritorno quella che Manzon – nata a Pordenone nel 1981, ha esordito nel 2008 con Come si dice addio (Mondadori) – racconta nel romanzo pubblicato da Feltrinelli. La morte del padre, che le ha lasciato in eredità una scatola piena di documenti, offre alla protagonista, Alma, diventata giornalista affermata e da tempo trasferitasi a Roma, l’occasione per tornare a Trieste da dove era fuggita per rifarsi una vita. Un lascito che le chiede di fare i conti con il sangue, il passato, la storia del ’900, i morti e le radici. Manzon, che vive tra Milano, dove lavora come direttrice editoriale per Guanda, e Trieste, dove si è laureata in filosofia contemporanea, ha intrecciato in questo romanzo identità, memoria e storia.
Padri, madri: sono le figure che più hanno segnato questa edizione del Campiello. Per esempio, Angela, la madre terribile di Antonio Franchini, protagonista di Il fuoco che ti porti dentro (Marsilio) dove l’autore – scrittore e editor, noto scopritore di talenti – si cimenta senza fare sconti, in un romanzo che ha la veste di un memoir, in un corpo a corpo con questo personaggio ingombrante. Angela è una donna con una forte personalità e un carattere impossibile (egoista, chiassosa, irrequieta e rabbiosa, sempre eccessiva), che l’autore attacca sin dall’incipit secco, durissimo, per molti versi scioccante: «Benché da molti sia considerata una bella donna, mia madre puzza», dal quale si capisce subito dove ci vuole portare.
Ed è al padre che Emanuele Trevi, terzo classificato con 66 voti, ha dedicato invece La casa del Mago (Ponte alle Grazie). Lo scrittore romano, già vincitore del Premio Strega nel 2021 con Due vite, racconta qui il padre Mario, celebre e riservato psicoanalista junghiano, che lui vede come un mago in quanto guaritore dianime. E lo fa con un romanzo intimo che si muove fra autobiografia, riflessione sul senso dell’esistenza e storia del Novecento.
Ancora il passato, in particolare quello che ci lega agli oggetti che hanno segnato la nostra esistenza, feticci accumulati nel corso di una vita intera, è al centro anche del romanzo di Michele Mari Locus Desperatus (Einaudi), altro bel titolo con 33 voti della cinquina finalista, che ha visto in gara nella storica sededel Gran Teatro La Fenice di Venezia anche Vanni Santoni, forse l’unico outsider di questa edizione, conDilaga ovunque (Laterza), 6 voti, l’opera che più si discosta dal genere narrativo. Il vincitore è stato scelto dalla Giuria dei trecento lettori anonimi presieduta da Walter Veltroni.
Mentre il Premio Fondazione Campiello alla carriera è andato a Paolo Rumiz che, in quest’occasione, ha rivolto un invito agli intellettuali a non chiamarsi fuori: «La politica, specialmente tra le anime belle della sinistra, sta perdendo vocaboli. Il compito dello scrittore è quello di rifornire di parole il quadro politico per consentirgli di riempire il discorso di emozionalità». Infine, il Campiello Giovani è stato vinto da Giulia Arnoldi, 18 anni di Dalmine (Bergamo), per il racconto Appena prima dell’ultimo accordo.