la Repubblica, 22 settembre 2024
Genitori contro i figli bamboccioni
Che fosse finita da tempo l’epoca dei “bamboccioni”, figli soprattutto di coppie separate che vorrebbero contare all’infinito su un congruo e sicuro aiuto dei genitori (e soprattutto del padre), era ormai giuridicamente certo. Pur tra sentenze altalenanti che dai tribunali arrivano a piazza Cavour con un sì all’assegno che poi però viene cassato. È un fatto che dal 2020 i cordoni della Cassazione si sono stretti, com’è avvenuto in tema di divorzi, dove la donna per garantirsi l’assegno mensile spesso fa fatica a dimostrare di meritarselo davvero.
Giusto il 16 settembre ecco un’altra sentenza che segna la sconfitta di una figlia di 24 anni che chiede di essere sostenuta dal padre negli studi anche se per cinque anni li ha interrotti facendo lavori precari. Su Repubblica l’anticipa Alessandro Simeone, l’avvocato specializzato in diritto di famiglia che assiste Ilary Blasi nella separazione da Francesco Totti. La sua lettura conferma i tempi durissimi per i giovani che chiedono il mantenimento. Tant’è che Simeone parla di «un figlio maggiorenne che non ha diritto sempre e comunque di essere mantenuto ma ha l’onere di attivarsi, una volta compiuti 18 anni, per trovare la sua strada». Insomma, il suo è uno stop certificato ai cosiddetti “bamboccioni”. Su cui grava ormai l’onere della prova che, secondo Simeone, «è tanto più rigorosa quanto più il figlio è grande». E fa un esempio: «Uno studente di giurisprudenza che a 27 anni non si è ancora laureato e da almeno 3 anni è fuori corso non può gravare sulle spalle di padre o madre».
Esistenza assai grama per i figli delle coppie divorziate che finiscono per vivere come le loro madri che magari non possono garantire al figlio gli studi e un futuro lavoro di buon livello e consono alle sue aspirazioni. Tant’è che la giudice Franca Mangano, presidente di sezione della Corte d’Appello di Roma, ci tiene a sottolineare come «benché non sia indicata un’età, il genitore è tenuto a mantenere il figlio in base al suo percorso, se continua a studiare va mantenuto, ma se lo interrompe e lavora, anche in modo precario, naturalmente no perché ormai è entrato nel mondo del lavoro ed è uscito dall’economia familiare». Ovviamente toccherà ai giudici «accertare se l’età del figlio sia coerente e proporzionale con la strada compiuta, ma se hai ormai 35 anni il sostegno finisce lì».
Proprio questo ormai è l’orientamento della Cassazione, come dimostrano via via le sentenze. Eccoci nel 2020 quando la Corte boccia la richiesta di un’insegnante di musica precario che ha 33 anni e non può più pretendere di essere mantenuto anche se non ha ancora raggiunto un traguardo professionale pienamente soddisfacente. E ancora, un anno dopo, il caso di una donna di 35 anni che chiede il mantenimento in quanto affetta da un “disturbo borderline”, ma si vede respingere l’istanza perché il suo non sarebbe “un handicap grave”. E l’anno scorso la Corte respinge la richiesta di un ultratrentenne che cambia corso di studi all’università perché ha dovuto assistere la madre vittima di una patologia psichiatrica. Le sentenze dimostrano via via che c’è maggiore disponibilità verso studenti giovani e assai meno verso gli attempati.
Le parole chiave, le stesse che valgono nei divorzi spesso penalizzando le donne, sono «ragionevolezza e proporzionalità». Le usa Filippo Danovi, che all’università Bicocca di Milano insegna diritto processuale penale ed è un avvocato specializzato in diritto di famiglia. Che dice: «Il figlio ha il dovere di dimostrare che sta facendo il suo percorso di studi perché non si può pretendere di avere un diritto se non se ne dimostrano i presupposti». Esclusi allora gli ultratrentenni? «Non esiste una deadline anagrafica assoluta. Se studi medicina hai più margine, se a 26 anni ti mancano 4 esami puoi ancora avere il mantenimento, ma se alla stessa età hai fatto solo 4 esami, rischi di non poterci contare. Nel primo caso meriti la protezione economica, nel secondo no». La stretta funziona così.
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