la Repubblica, 22 settembre 2024
Giacomo, ucciso per difendere una donna rapinata
È a quest’incrocio di Mestre, dove adesso c’è una ragazza che per la rabbia e il dolore prende a pugni il tronco di un tiglio e decine di giovani piangono e si abbracciano, che poche ore fa è morto il loro amico Jack. Giacomo Gobbato, 26 anni, attivista del centro sociale Rivolta di Marghera, è stato accoltellato nel tentativo di difendere una donna rapinata.
Venerdì sera, verso le 23, era con Sebastiano Bergamaschi, un amico di tante battaglie. Tornavano da un bar, la festa di compleanno di un amico del padre di Giacomo. In corso del Popolo, un lungo viale che attraversa Mestre, hanno visto una donna che chiedeva aiuto mentre veniva picchiata da un uomo che le stava portando via lo zainetto. Non si sono girati dall’altra parte. Hanno cercato di fermare l’aggressore, ne è nata una colluttazione. L’aggressore ha tirato fuori il coltello e li ha colpiti. Giacomo è stato ferito all’addome. Sebastiano alla gamba destra, in modo più lieve. L’aggressore, un trentottenne di origine moldava, è scappato. E poco distante, in via Aleardi, in questo pezzo di città che non riesce a trovare pace per la presenza di spacciatori e persone che vivono di espedienti, ha assalito e ferito, cercando di portarle via il telefonino e la borsetta, un’altra donna. Per essere poi fermato dalla polizia.
I soccorsi ai due ragazzi feriti sono stati rapidi ma per Giacomo nonc’è stato nulla da fare: è morto 18 minuti dopo la mezzanotte mentre decine di amici, arrivati al Pronto soccorso dell’ospedale dell’Angelo, speravano di poterlo riabbracciare. «Era un figlio straordinario, pieno di passioni», le parole del papà Luca. Ieri sera doveva essere una giornata di festa. Giacomo, che suonava il basso e la chitarra, doveva salire sul palco del Rivolta con la band Flour Sound per il festival Veneto Blaze, annullato. Amava l’arte, si era diplomato al liceo artistico. «Uno studente indimenticabile, ogni lezione con lui diventava un dibattito allegro», lo ricorda la preside Maria Rosaria Cesari. Era diventato tatuatore. Lavorava allo studio Electric Tiger House di Vicenza, dove era tornato dopo aver mosso i primi passi. «Si batteva per un mondo più giusto e più equo», lo ricordano gli amici del centro sociale Rivolta che adesso, di sabato pomeriggio, sono qui – la sciarpa del Venezia, le rose e le gerbere bianche sul marciapiede – nel luogo in cui è stato ucciso. Lo vogliono ricordare, fermare le strumentalizzazioni che già stanno arrivando: «È morto perché non si è girato dall’altra parte, non ha fatto finta che tutto andasse bene perché era un fratello generoso che quotidianamente lottava contro le ingiustizie. C’è un colpevole. una persona, una singola. Non importa dove sia nato o di che colore abbia la pelle. E tutto questo succede in una città abbandonata da anni a se stessa».
«Dobbiamo continuare a lottare per i più deboli, per servizi sociali adeguati, come voleva lui, dobbiamo farlo per Jack», dice Michele Valentini, portavoce del Rivolta. Canzoni, lacrime e fumogeni. Ci sono oltre quattrocento persone, anche la madre e il fratello di Giacomo: abbracciano Sebastiano che, dopo essere stato dimesso, ha deciso di esserci. «Per Jack». L’aggressore, un senza fissa dimora che non risulta avere precedenti, dovrà rispondere di omicidio volontario. Il prefetto di Venezia, Darco Pellos, ha convocato una riunione di emergenza del Comitato per l’ordine e la sicurezza parlando di un fatto isolato. Sono arrivate le condoglianze del sindaco, Luigi Brugnaro. Ma sulla sicurezza di questa fetta della città è già scoppiata la polemica.