la Repubblica, 22 settembre 2024
Ucciso il macellaio di Madaya
Il 20 settembre verrà ricordato dai libanesi per uno dei peggiori massacri della storia recente del Paese: 37 morti finora, tra cui 7 donne e tre bambini, oltre a un lungo elenco di esponenti di Hezbollah, 16 almeno. Ma nella memoria dei vinti, ovvero dell’opposizione siriana stritolata dalla repressione di Assad, la strage a Beirut Sud evoca altri fantasmi. Nella palazzina di Dahieh colpita dai missili israeliani era in corso una riunione della Radwan, l’unità d’élite di Hezbollah: tra le vittime figura anche il nome di Hussein Ali Ghandour, nato nel 1962 a Nabatiye, nel Sud del Libano, entrato nell’organizzazione armata fin dalla sua nascita.
Gli oppositori siriani lo chiamano “il macellaio di Madaya” perché fu tra i responsabili dell’assedio alla città siriana, a un’ora di auto da Damasco,che fece decine di morti e si concluse con uno scambio di popolazione con la provincia ribelle di Idlib. L’assedio durò due anni. I ribelli avevano conquistato la città sottraendola al controllo governativo nel luglio del 2015, nel pieno della guerra civile siriana. Hezbollah e l’Iran erano corsi in aiuto di Assad. I lealisti circondarono la città, impedendo l’accesso anche alle organizzazioni umanitarie. Quando, dopo una lunga trattativa, i primi operatori riuscirono a entrare si trovarono di fronte immagini scioccanti: «A Madaya vedi scheletri che camminano», raccontarono alcuni ad Amnesty International. In Libano le immagini dei bambini emaciati e costretti a mangiare erba e foglie provocarono un’ondata di indignazione e rabbia contro Hezbollah, accusato di partecipare ai massacri dell’opposizione siriana, non solo quella armata, per difendere il sistema di potere di Assad.