la Repubblica, 22 settembre 2024
Il punto sul mondo del lavoro
Li hanno definiti “choosy”, esigenti, ma anche “bamboccioni”. Sono stati invitati ad alzarsi dal divano e andare a lavorare nei campi. Ma la realtà con cui i giovani italiani si scontrano ogni giorno è fatta di lavori sottopagati, contratti precari, abuso di tirocini. Chi può permettersi di dire no ha deciso che il paradigma è cambiato: lavorare per vivere, non il contrario. E così negli ultimi due anni in centomila hanno fatto i bagagli e sono fuggiti dall’Italia.Non è un Paese per giovaniNonostante il record di occupazione al 62,2% registrato a luglio e trionfalmente rivendicato dall’esecutivo, questo non è ancora un Paese per giovani. A provocare il balzo in avanti, lo rivelano gli stessi numeri Istat, sono stati gli over cinquanta, mentre i lavoratori under venticinque sono sempre di meno e la crescita di quelli fino a trentaquattro è rallentata. Se per i figli del boom economico l’ingresso nel mondo del lavoro era un passaggio lineare, la Generazione Z e gli ultimi Millennial sanno benissimo che per loro, invece, è «molto difficile», come racconta un’indagine Ipsos.Con una laurea in Lingue e letterature straniere in mano, Valentina, 24 anni, non ha perso tempo: «Ho mandato subito migliaia di candidature nel mio settore. Ho anche attraversato Milano a piedi per consegnare il curriculum. Mi ha risposto solo una casa editrice: 300 euro al mese full time. Ho detto di no, la passione non basta». Anche perché, rivela ancora Ipsos, per i giovani il lavoro è prima di tutto «una fonte di reddito» e solo dopo un «mezzo di realizzazione personale».Lavoro nero e sottopagatoPeccato che in un sistema che glorifica il sacrificio e la gavetta a tutti i costi, retribuzioni da pochi euro l’ora e lavoro in nero siano spesso la normalità. Quando Marco, 25 anni, agrotecnico, ha iniziato a cercare lavoro, l’offerta più allettante era da 600 euro al mese per 40 ore settimanali senza contratto, in una rinomata enoteca di Catania. «In mancanza di altro avevo accettato. Ma presto il mio capo ha iniziato chiedermi anche straordinari e turni di notte. Per giunta pagava con mesi di ritardo, nonostante fatturasse parecchio. Quando mi ha proposto un finto part-time a 900 euro ho rifiutato per la mia salute mentale e fisica».Anche se al sud Italia la disoccupazione giovanile è pari a tre volte quella del Nord, più della metà di tutti gli under 35 ha svolto almeno una volta un lavoro in nero, secondo un’indagine Eures per Consiglio nazionale dei giovani. «Dopo il diploma ho lavorato per sei anni senza contratto in una cartolibreria in provincia di Brescia – racconta Erica, 25 anni – Mi davano 400 euro al mese per sei giorni alla settimana, dalle 9 alle 20. Quando per l’ennesima volta hanno risposto di no alla mia richiesta di essere messa in regola ho preso coraggio e mi sono licenziata. Ma adesso non trovo nulla. Sapevo di non poter sognare in grande senza una laurea, ma mi basterebbe un lavoro dignitoso».Tirocini e contratti precariNemmeno un’istruzione universitaria è però una garanzia. Il numero di laureati è inferiore ad altri paesi europei, ma comunque troppo alto per essere assorbito dal mercato. Tra loro c’è anche Marta, 26 anni e una laurea in Scienze politiche. «Ho subito iniziato a cercare lavoro per essere indipendente, ma continuo a trovare solo stage fuori dalla mia città, Caserta, con stipendi da 400 a 800 euro al mese. Come si fa a vivere lontani da casa in questo modo?».Ma più che nello skill mismatch(il gap tra competenze e richieste del mercato), «il problema è da rintracciare nella domanda di lavoro – sostiene Marianna Filandri, sociologa e autrice di “Lavorare non basta” – La scarsità di posizioni dipende dalle politiche industriali su cui il nostro Paese è molto debole. Questo non vuol dire che non si possa investire di più anche su strategie di inserimento o formazione, dato che la spesa pubblica per l’Università è tra le più basse d’Europa». Dopo due anni di ricerche a vuoto, anche a Valentina hanno offerto un tirocinio per 500 euro al mese, ma in una catena di supermercati a Milano. «Ho rifiutato, non concepisco l’idea di uno stage del genere. Ne ho trovato un altro in un ufficio tirocini: speravo nell’assunzione, ma dopo sei mesi mi hanno detto che non c’era spazio». Questo perché gli stage, più che vera formazione, «sono spesso un modo per mascherare lo sfruttamento», denuncia Gianluca Torelli, responsabile Politiche giovanili della Cgil.Fuga all’estero e NeetAdesso Valentina, come tanti coetanei, sta valutando di lasciare l’Italia per il nord Europa. «Vorrei un lavoro vero, senza dover abbandonare per forza la mia passione per i libri. Lo stipendio per un bibliotecario in Germania è sui tremila euro». Più del 43% degli under 35 in Italia, invece, percepisce uno stipendio inferiore ai mille euro mensili. «Negli ultimi 5 anni le retribuzioni per i giovani nel privato sono scese sempre di più, toccando i 9mila euro annui per gli under 24 – ha commentato i dati la presidente Cng, Maria Cristina Pisani – Quello che chiedono i giovani è solo un lavoro stabile per costruirsi una vita autonoma».E invece l’Italia è l’unico Paese in cui Millennials e Gen Z guadagnano meno dei propri genitori, mentre il costo della vita continua ad aumentare. «Il problema del lavoro povero ricade sul nostro governo, che ha rifiutato di introdurre il salario minimo legale», punta il dito il referente Cgil. E chi non può permettersi di partire, trasforma spesso la delusione in un rifiuto assoluto, aggiungendosi alla schiera di Neet: il 17,5% di chi ha tra i 18 e i 29 anni.«La retorica del divano non esiste, le ricerche ci dicono che tanti diventano Neet dopo essere stati sfruttati», sottolinea Torelli. «Non esiste una soluzione facile – riassume Filandri – Da un lato un salario minimo è un intervento plausibile, ma servono anche misure di irrigidimento del mercato e investimenti pubblici. Invece continuiamo con i tagli all’istruzione».