la Repubblica, 22 settembre 2024
Medio Oriente, come cambia il volto della deterenza
In attesa di conoscere gli sviluppi del conflitto fra Israele e Hezbollah, l’operazione che ha fatto esplodere a distanza, in Libano e Siria, migliaia di cercapersone dei paramilitari filoiraniani segna il debutto di una inedita tattica militare ibrida: l’uso combinato di alta tecnologia e intelligence a fini di deterrenza strategica.
La deterrenza serve a tenere lontani i nemici. Nel deserto, fatto di sabbia, è la tattica più antica delle tribù rivali perché consente ad avversari feroci di coesistere in spazi ristretti senza confini delimitati. A livello globale, durante la Guerra Fredda, Usa e Urss si affidarono entrambi al nucleare per sancire la deterrenza reciproca grazie alla dottrina della “mutua distruzione assicurata” mentre in Medio Oriente, Israele dal 1967 ha puntato sulla netta superiorità militare nei confronti degli Stati nemici per convincerli a rinunciare ad attaccarlo.
Ma la deterrenza israeliana si è progressivamente indebolita: prima per l’attacco a sorpresa subito da Egitto e Siria nel 1973 e poi, in maniera più significativa, per l’incapacità di mettere sulla difensiva, nel corso degli ultimi 18 anni, due organizzazioni terroristiche, Hamas e Hezbollah, presenti in forze lungo i propri confini.
Tale incapacità si è manifestata per la prima volta in maniera netta nel 2006 in Libano, quando al termine del conflitto con Israele, la milizia filoiraniana si impegnò a ritirarsi oltre il fiume Litani, nel Sud, ma poi fece l’esatto contrario rafforzando la presenza militare davanti alla Galilea: facendosi beffa non solo della risoluzione 1701 dell’Onu e del contingente Unifil ma anche dell’esercito israeliano lungo i confini. Fino al punto di posizionare proprie tende a cavallo della frontiera, nella zona contesa di Shebaa, nell’estate 2023, e di vantarsi, negli ultimi mesi, di poter colpire con missili e droni ogni angolo dello Stato ebraico, incurante di ritorsioni. Con l’attacco del 7 ottobre 2023 Hamas ha poi inferto il colpo più duro alla deterrenza israeliana, dimostrando di poter invadere il Negev Occidentale, fare strage di civili e rapirecentinaia di ostaggi violando un confine che si immaginava superprotetto e beffando l’esercito di Gerusalemme.
La difficoltà di Israele nel fronteggiare la doppia sfida di Hamas e Hezbollah è diventata da quel momento ancor più evidente perché si tratta del confronto fra uno Stato sovrano e due organizzazioni terroristiche dove il primo – essendo anche una democrazia – deve rispondere alla propria opinione pubblica ed anche alle regole del diritto internazionale – come sta avvenendo davanti alla Corte dell’Aja – mentre Hassan Nasrallah e Yahia Sinwar non hanno alcuna restrizione. Perché il loro unico obbligo è seguire le indicazioni dell’Iran che li arma e finanzia.
Da qui il fatto che la deterrenza israeliana si è molto indebolita per il lampante motivo che il nemico non è più costituito da uno o più Stati ma da organizzazioni paramilitari, che sfuggono ad ogni regola: non si curano della protezione dei civili, non hanno Paesi di cui rispondere e non hanno leggi internazionali da rispettare. Tanto il Libano per Hezbollah che la Striscia di Gaza per Hamas sono solo delle piattaforme territoriali da sfruttare in ogni modo al fine di far sanguinare Israele per raggiungere l’obiettivo strategico di Teheran di annientare “l’entità sionista”.
La feroce guerra di Gaza, con un alto bilancio di vittime civili palestinesi, è lì a testimoniare proprio la difficoltà che Israele ha di difendersi ricorrendo alla superiorità militare classica.
L’esplosione a distanza dei cercapersone di Hezbollah è la contromossa con cui Israele cerca di modificare tale dinamica perché vede l’impiego di una miscela di intelligence ed alta tecnologia per esercitare deterrenza nei confronti dei singoli combattenti nemici, al fine di indebolire dal di dentro l’organizzazione paramilitare. Colpire personalmente, nell’arco di poche ore, migliaia di miliziani Hezbollah significa aver messo a segno la più estesa operazione di antiterrorismo finora conosciuta. La cui finalità non è la sconfitta militare di tipo tradizionale dell’avversario ma la sua implosioneinterna, diffondendo panico e incertezza. Tantopiù che per Hezbollah la segretezza dell’identità di militari e comandanti è sempre stata uno degli elementi di maggiore forza. Se dunque Hezbollah e Hamas hanno indebolito, dal 2006 in poi, la deterrenza di Israele dimostrando che uno Stato tradizionale è in difficoltà a difendersi con l’esercito convenzionale dall’assedio di gruppi terroristi, ora lo Stato ebraico risponde facendo leva su una miscela di hi-tech e intelligence per generare una nuova tipologia di deterrenza: il cui obiettivo non sono più gli Stati ma gli individui nemici, ed il fine non è spingere gli eserciti a fermarsi ma convincere i singoli del fatto che sono talmente vulnerabili da essere spinti a cessare di combattere.
È certamente presto per affermare se tale deterrenza hi-tech – molti aspetti della quale restano sconosciuti – avrà effetto su Hezbollah e Hamas ma quanto afferma Yoav Gallant, ministro della Difesa di Israele, sull’inizio di una “nuova fase del conflitto” ci dice che il campo di battaglia del Medio Oriente sta diventando il laboratorio di metodi ibridi di fronteggiare la sfida terrorista.
Così come la cooperazione fra Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Paesi sunniti per contribuire alla difesa antiaerea di Israele in occasione dell’attacco iraniano con centinaia di missili e droni nella notte fra il 13 e 14 aprile ha attestato la possibilità dell’alta tecnologia occidentale di proteggere i cieli di un singolo Paese.
Ovvero, come già avvenuto durante la Guerra Fredda anche ora il Medio Oriente si dimostra essere il laboratorio di metodi di difesa da pericoli senza precedenti: deterrenza ibrida – hi-tech e intelligence – contro organizzazioni terroristiche, scudo antiaereo multilaterale per fermare una pioggia di droni e missili. Per l’Unione Europea che ora ha, per la prima volta, un commissario alla Difesa si tratta di importanti spunti di riflessione strategica su quanto sta avvenendo nello scacchiere del Mediterraneo.