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 2024  settembre 21 Sabato calendario

LA SERA CHE LUCIANO RE CECCONI MORÌ PER QUEL MALEDETTO SCHERZO, MI DISSE: “ANDIAMO DAL GIOIELLIERE”. CHISSÀ SE CI FOSSI ANDATO” - PAOLO BERTOLUCCI RICORDA GLI ANNI DA TENNISTA NELLA CAPITALE: “ABITAVAMO AL FLEMING. AVEVO IL NEGOZIO DI ARTICOLI SPORTIVI E VENIVANO A TROVARMI DIVERSI CALCIATORI. CHINAGLIA ERA INGESTIBILE. UNA VOLTA SI PRESENTÒ DA ME CON UNA BOTTIGLIA DI WHISKY, CHIVAS. E..." -

L’Arena intervista Paolo Bertolucci. Di certo non ha bisogno di presentazioni. Al momento è impegnato con Sky per la Coppa Davis. Il quotidiano veronese però lo ha intercettato. Gli ha chiesto dell’Hellas: «I gialloblù partono sempre con l’acqua alla gola ma poi zitti zitti mandano in Serie B le altre. Merito del club e di Sogliano. Lo scorso gennaio ha fatto un miracolo».

«Io milanista da sempre, Tonino Zugarelli e Panatta della Roma. Barazzutti, credo, Lazio» Il rapporto di Bertolucci con il calcio? «Bel rapporto. Quando giocavamo seriamente al tennis, Tommaso Maestrelli ci faceva fare una ventina di minuti a Tor di Quinto con quel gruppo magico della Lazio. Io, Adriano e gli altri».



A proposito il tifo com’è distribuito tra i miti del nostro tennis? «Io milanista da sempre, Tonino Zugarelli e Panatta della Roma. Barazzutti, credo, Lazio».

Erano amici con Chinaglia…

«Certo abitavamo tutti al Fleming a nord di Roma. Avevo il negozio di articoli sportivi e loro venivano a trovarmi».

Più facile Panatta o «Giorgione»? «Adriano senza dubbio. Grandi personalità ma Chinaglia era ingestibile. Una volta si presentò da me con una bottiglia di whisky, Chivas. Se lo scolò tutto da solo».

Un altro aneddoto dei tempi d’oro? «Triste. Quella sera che Luciano Re Cecconi morì per quel maledetto scherzo, passò prima da me. Mi disse: «Andiamo dal gioielliere». Avevo clienti in negozio e non ci andai. Poi andò tragicamente. Chissà se ci fossi andato…».

Il suo Milan? Non bene..

«Direi malino. Sono finiti i tempi dei vari mecenati. Penso a Moratti dell’Inter o a Silvio Berlusconi. Loro per amore ci mettevano i soldi di tasca propria. Ora ci sono i fondi ma chi li gestisce deve rendere conto a chi ha investito denari nei club. Non si possono fare sempre spese pazze senza avere ritorno. E poi in Italia siamo ridicoli. Per rifare uno stadio ci vogliono vent’anni. Ecco perché siamo così indietro».