La Stampa, 21 settembre 2024
Vita da sfollati per l’alluvione
Il fiume si è aperto un varco, indifferente a tutte le case che ha portato via con sé. Circa un terzo dei 900 abitanti di Traversara, la frazione più colpita dall’alluvione, se n’è andato prima che l’argine esplodesse. Un altro terzo è stato prelevato con gli elicotteri e i gommoni giovedì, quando già il Lamone infuriava in strada. Per i restanti trecento, non c’è stato verso di convincerli a evacuare. La notizia migliore è che le piene non hanno causato morti, né feriti. Anche i due dispersi segnalati qui, si sono salvati in qualche modo e nessuno manca più all’appello. Per tutti, ieri è stato il giorno del fango. I più fortunati devono pulire i pavimenti. A quelli a cui è andata peggio, il pavimento è tutto ciò che resta. Ma i romagnoli sono gente di sangue, anche quelli acquisiti. Piangono, ridono e bestemmiano sulla tragedia senza vergogna. E allora, a Traversara si piange, si ride, si bestemmia e ci si abbraccia. Si spala. Si smontano le automobili ficcate nei balconi. Si raccoglie una foto imbrattata di un ragazzino che sorrideva settant’anni fa e la si mette in tasca per ricordo di un momento felice. *Silvia e Antonella: Col buonumore delle ragazze, Silvia e Antonella sono corse subito, appena la loro amica di Traversara ha chiesto se potevano darle una mano. Per arrivare in paese, hanno dovuto lasciare la macchina un paio di chilometri fuori, come tutti i primi volontari del giorno dopo. Una volta lì, poi, le loro pale, gli stivali e gli spazzoloni li hanno messi al servizio di chiunque lo chiedesse.Una donna di 75 anni, per esempio, che vive sola, si è affacciata e le ha chiamate. Ne parlano come chi ha fatto un’amicizia che ha l’aria di durare. Non è la prima volta, d’altronde, che affrontano situazioni del genere. Sono di Massa Lombarda, che il Sillaro ha allagato all’inizio di maggio del 2023.La sorella di Antonella abita a Sant’Agata Santerno. Molte volte l’alluvione che ha colpito la Romagna in questi giorni è stato paragonato alle inondazioni di un anno e mezzo fa. Ma nessun posto si assomiglia tanto, quanto Traversara assomiglia Sant’Agata.«Se siamo arrabbiati? Certo che lo siamo – dicono sorridendo – guardate questa casa. Era completamente nuova. Appena rifatta. Vedete cosa c’è dentro?». Dentro, c’è una strana amalgama di vegetazione e manufatti incastrati. *Don Giovanni Samorì: Modi spicci, pochi convenevoli. Don Giovanni Samorì non si è mai sognato di abbandonare la nave, anche a rischio di affondare con lei.Dice di aver saputo fin da subito che il Lamone sarebbe straripato, che lo avrebbe fatto esattamente nel punto in cui l’ha fatto, ovvero a trenta metri dalla sua chiesa.«È ovvio, quello è il lato più debole dell’argine – protesta – C’è il ponte che fa ostruzione. Lo sapevamo tutti, ma a cosa è servito?». È uno di quelli che non ha mai evacuato. È rimasto al primo piano della canonica, col suo vecchio Nokia già senza batteria che incassava chiamate a vuoto del vescovo di Faenza e Modigliana, Mario Toso, che si era preoccupato per lui.L’acqua è arrivata fino all’altare, ma questo è un prete che non ha bisogno di quattro mura per dir messa o di una tonaca per parlar di Dio.Infatti, indossa un maglione fradicio, gli stivali imbrattati, e un grembiule strappato. È coi suoi parrocchiani. Ha 75 anni. Il vescovo ha dovuto spedire sua sorella fin lì, perché smettesse di pulire e dicesse: «Tranquilli, sto bene». *Florin Bazsta: Il paradosso di Florin è che l’unica stanza ancora integra è un ripostiglio in cui accumulava cose senza valore. Quelle, sono tutte più o meno a posto. Il resto di casa sua è stato sradicato alla base ed ora è solo un grande spazio a cielo aperto. A dire il vero, gli rimane anche una piccola toilette, dove la sabbia ha sommerso i sanitari. Le condotte di quella che lui chiama «mensa», ed era il suo salotto con cucina, spruzzano l’acqua potabile e la mischiano con quella torbida che allaga tutti i dintorni.«Verso le 23 della notte di mercoledì, la mia vicina di casa urlava, diceva che stava arrivando la piena – racconta – Sono uscito a controllare, ma non succedeva niente e sono tornato a dormire. Qualche ora dopo, ho sentito un gran rumore ed è l’ultima cosa che ricordo». È scappato con la macchina e ci ha dormito dentro. Ieri è tornato. Fa il trasportatore per una ditta di Bagnacavallo. L’azienda è proprietaria dello stabile, ma le cose dentro, naturalmente, erano sue. Quello che a lungo è stato il suo cruccio, ora è la sua consolazione migliore:«Grazie al cielo sono solo qui, la mia famiglia è tutta in Romania e non devono vedere tutto questo». *Mattia Guidi: Mattia ha l’atteggiamento dello spaccone e il piglio dello storico.Usa un falcetto a mano, uguale a quello del simbolo del Partito Comunista, per trascinare fuori le cose. Quelle che gli sembrano più belle, le accumula in un cartone a parte. «Non è mica che me le voglio tenere – dice – è che mi viene da pensare a di chi erano e magari le rivuole indietro». Per ora c’è un disco di Milva, una canna da pesca e uno stivale da donna.Coi suoi amici sta svuotando quello che descrive con competenza «un teatro agli inizi, poi un cinema, in seguito una balera, infine una sala polivalente in cui si facevano feste di ogni genere». In una piccola frazione come questa, è sinonimo di centro del mondo. Gli dispiace soprattutto perché l’avevano appena ristrutturato. «Era finito da due mesi, ma non l’abbiamo mai usato perché mancava la l’inaugurazione».Mostra il soffitto insonirizzato ed espone una teoria che spiega la portata del dramma vissuto da Traversara: «Tutte queste macerie, non vengono dal tetto che è crollato. È il pavimento. Il fiume si è infilato sotto e l’ha fatto esplodere verso l’alto».