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 2024  settembre 21 Sabato calendario

«Ho sedici anni, studio al liceo e sono un fallimento»

Ho sedici anni e mi sento un fallimento. Non dovrei sentirmi così perché sono una ragazza giovane, una ragazzina, bambina per certi versi. Frequento un liceo scientifico. Mi dovrebbe piacere andare a scuola, soprattutto perché credo che dovrebbe essere un posto pieno di sorrisi e di crescita, a differenza di quel che è. Ogni mattina sono costretta ad andare in quell’edificio dove l’unico raggio di sole sono i miei amici. Le ore scorrono e ogni adulto che si trovi lì fa ciò che vuole, senza badare al fatto che davanti a sé ha ancora dei ragazzi che devono crescere. Vengono assegnati compiti su compiti che non ti permettono di goderti quello che c’è fuori, un pomeriggio di sole, una giornata con gli amici o in famiglia. Spesso ho la settimana completamente occupata: il lunedì studio per il mercoledì, il martedì che esco alle due ho poi ripetizioni per matematica e fisica dalle tre e mezza per due ore e poi alle sei nuoto, la sera di questo giorno non studio perché spesso devo spostarmi a casa di mia madre, il mercoledì studio per il giovedì e così anche il giovedì quando spesso ho la psicologa, il venerdì che invece ho solo nuoto alle 18, tento di avvantaggiarmi sui compiti ma quasi sempre cado nel sonno, e poi il fine settimana è una rincorsa per finire tutto in tempo per il lunedì. E in tutto questo, anche se la scuola è un inferno, anche se ho la settimana piena, anche se vorrei tutto tranne questo, io mi impegno, ma sono un fallimento. Studio, faccio ripetizioni, non esco tentando di fare di più. Ma poi arrivo al compito e mi prende il panico. Arriva l’insufficienza e crollo... (Continua domani con la risposta di Aldo Cazzullo)
Lavinia

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22.9

...a scuola non faccio temi, la mia professoressa di italiano preferisce approfondire la grammatica, ma credo che sarebbe molto bello chiedere agli studenti cosa vorrebbero essere, che vorrebbero diventare. Per cui oggi, oggi io me lo chiedo da sola. Sono sempre stata una ragazzina vivace, incapace di contenersi con la parlantina a volte, dolce e sì, mi reputerei anche gentile. Sfortunatamente non sono santa: ho la tendenza a innervosirmi facilmente e a non saper controllare la rabbia o l’ansia. A volte mi sento vuota, a volte mi vedo male allo specchio e vomito. Io non vorrei essere più così, ma non mi posso cancellare. Vorrei diventare una persona dall’animo buono come quello di mio padre, con il coraggio di mio fratello. Vorrei diventare una donna di successo come mia madre, avere la pazienza della mia migliore amica quando mi arrabbio. Vorrei fare un lavoro che mi permetta di stare a contatto con la gente, farla sorridere, e sentirmi d’aiuto per questa. Voglio imparare a non abbattermi più per un’equazione non riuscita, o un brutto voto. Voglio imparare a fare pace con ciò che c’è fuori e ciò che non posso cancellare. Voglio tranquillizzarmi perché la vita è questa e ho solo sedici anni, voglio assaporarla morso dopo morso senza amaro.

Lavinia
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Cara Lavinia,

ieri abbiamo pubblicato la prima parte della tua lettera. Dicevi in sostanza che hai giornate pienissime, e questo ti genera ansia e malessere anche fisico. Non sei l’unica adolescente che confida al Corriere questo genere di problemi. Da quando le lettere arrivano soprattutto via mail, molti giovanissimi scrivono al nostro giornale, e questo ci conforta. Da genitore, mi preoccupa invece l’angoscia che sembra divorarti. Credo di parlare a nome della mia generazione, o comunque dei miei compagni di classe: quando avevamo la tua età, l’ansia non sapevamo cosa fosse. Ci è venuta molto più tardi. Ho ripensato a quando sono andato a dare l’esame di maturità: avevo un padre al lavoro, una madre in ospedale ad accudire una nonna e un nonno morenti, nel mio liceo eravamo troppo pochi per avere diritto a una commissione d’esame, così sono andato in macchina a farmi interrogare in un’altra città, ma senza che questo sinceramente mi creasse angoscia. Non voglio con questo porre la mia generazione a modello. Al contrario. Voi siete molto più in gamba di noi e avete molte più opportunità di noi. Purtroppo avete vissuto anche prove molto dure, come la pandemia. E il telefonino, che ci vuole sempre connessi, crea dipendenza. Quanto alla scuola, vigono due regole. Gli studenti non sono mai contenti degli insegnanti. E per gli insegnanti era sempre meglio la classe dell’anno prima. Poi, con il tempo, molte cose si stemperano, e ricorderai gli anni della scuola superiore come bellissimi. Parafrasando il titolo di un libro fortunato, un giorno tutta quest’ansia ti sarà utile.