Libero, 20 settembre 2024
La guerra dei droni è il nuovo business
Siamo nel bel mezzo della “guerra 4.0”. Un mix micidiale tra intelligenza artificiale e l’adozione su larga scala dei droni militari in tutte le declinazioni e tipologie possibili e immaginabili. Se la logistica dei trasporti a medio raggio ne beneficerà a breve (lo scorso agosto i cinesi hanno compiuto i primi test dell’HH-100 dell’Avic con una capacità di carico utile di 700 chilogrammi e un’autonomia massima di 520 chilometri), sicuramente il settore bellico è quello che sta macinando, necessità fa virtù e tanto business, le maggiori evoluzioni.
Con la deflagrazione del conflitto tra Ucraina e Russia abbiamo assistito in mondovisione al debutto di un nuovo tipo di conflitto. Inizialmente si era rispolverata la guerra di posizione. Una riproposizione medioevale, fatta di accerchiamenti (l’assedio dell’acciaieria Azovstal di Mariupol), trincee e bombardamenti rudimentali. Dai magazzini militari dell’ex Urss saltarono fuori bombe realizzate negli anni Settanta per dissodare i talebani in Afghanistan. Le “glide bombs” aggiornate e modificate hanno arato a morte il granaio d’Europa. Bombe (dai 500 ai 1.500 chilogrammi) che penetrano in profondità e hanno rappresentato la prima “grandinata” dello Zar Putin contro l’Ucraina.
Poi lo scontro si è fatto più sofisticato. Kiev ha cominciato a ricevere forniture militari dalla Nato il conflitto ha fatto passi tecnologici da giganti. Dai missili (costano fino a 1 milione di euro l’uno), alle batterie antimissili (non proprio a buon mercato e facilmente reperibili), si è passati all’utilizzo massiccio di veicoli a controllo remoto. Assai più economici, potenzialmente letali, spesso non indivinduabili.
Non a caso l’Iran ha messo in piedi una fabbrica internazionale di veicoli kamikaze. Il modello più famoso (rintracciato in molti esemplari anche in territorio ucraino) è lo Shahed 136. Leggero, gittata massima 2.500 chilometri, può penetrare le difese. Gli Hexbollah libanesi, come i ribelli yemeniti Houthi, hanno ricevuto consistenti forniture e la formazione necessaria per “produrli in proprio”.
Saturare i sistemi di difesa aerea, con il lancio in sequenza di centinaia di velivoli, rappresenta oggi l’evoluzione degli attacchi. Si rischia relativamente poco (le batterie di lancio sono allestite su mezzi semoventi o in fosse ben occultate), il costo è basso e l’effetto terrore è garantito.
Poi c’è il fattore umano da non sottovalutare: le stime sulle vittime militari in questi 24 mesi di guerra tra Mosca e Kiev contano oltre 400mila soldati caduti. Mosca ha precettato delinquenti, mercenari, perfino asiatici in cerca di fortuna per rimpinguare le fila. L’Ucraina ha schierato tutto il “potenziale militare addestrato”, vietato l’espatrio ai giovani, ma non può tenere testa agli organici dell’ex armata rossa.
Quindi, invece di sacrificare vite umane, è ricorsa a piccoli “incursori” caricati di esplosivo. E anche Kiev ha dirottato la produzione. Alexander Yakovenko, 34 anni, giovane imprenditore di Odessa che prima si dava da fare nel settore della logistica (spediva prodotti agricoli e carburante), è diventato in poco più di un anno uno dei primi produttori di droni in Ucraina. Segrete le fabbriche (ex tunnel o depositi riadattati), sbandierati i numeri della produzione: Kiev sostiene di aver realizzato 1,3 milioni di droni FPV (First Person View). Modelli radiocomandati che trasportano fino a 3 chili di esplosivo (il prezzo del Tnt è decollato d a2mila a 5mila follari nel frattempo) e fare molti danni con il minimo impegno.
Non è fantascienza. Ormai i veicoli radiocomandati a distanza sono piccoli mezzi terrestri, aerei e navali. Come se non bastasse la ripresa degli scontri tra Israele e i turbolenti “vicini” mediorientali ha portato alla ribalta l’ampia varietà dei nuovi sistemi difensivi di nuova generazione.
Tel Aviv la notte tra il 13 e il 14 aprile scorso non solo ha attivato il famoso scudo elettronico antimissile (Iron Dome) per fare fronte alla raffica di attacchi provenienti da Iran, Libano e Gaza, ma ha messo in azione per la prima volta l’Iron Beam. Innovativo dispositivo a colpi laser ad alta potenza prodotto dall’azienda israeliana Rafael Advanced Defense Systems, ideato proprio per intercettare missili, droni e proiettili a corto raggio. La contraerea laser – che in in verità era ancora in fase sperimentale e sarebbe dovuta entrare “in servizio” nel 2025 – ha il doppio vantaggio della rapidità di risposta e del basso costo di gestione. Ogni “colpo” laser costa al massimo qualche dollaro.
L’inquetante spettacolo “pirotecnico” nei cieli di Israele ha trasformato un terribile momento di tensione geopolitica per il Medioriente nel più gigantesco spot promozionale per l’industria militare israeliana. La capacità di reagire all’assalto iraniano – che puntava alla saturazione della capacità di reazione israeliana – ha consentito di bloccare il 90% dei razzi e dei droni. Questo, in verità, anche grazie al fuoco di sbarramento della contraerea della portaerei Usa Eisenhowere e all’intervento dei caccia intercettori americani F18 e dei jet francesi e inglesi. Tra Iron Dome, David’s Sling (Fionda di David), e le più datate batterie antimissili Patriot e Samp (da dismettere a breve) l’attacco è stato respinto.
Droni d’assalto ma anche da spionaggio ed esplorazione: a Gaza è un continuo frullare di eliche. Stormi elettronici lanciati dall’Idf per individuare i terroristi di Hamas confusi tra i gazawi. Ma soprattutto per realizzare album elettronico dei volti di tutti gli abitanti della Striscia. Immagini da riversare nei cervelloni per incrociare i tratti somatici con le banche dati di sicurezza. Un tracciamento massivo di dati che alimentano i database dell’intelligenza artificiale.
La sicurezza elettronica ha però dei limiti. La tecnologia ha subito lo smacco dell’assalto a colpi di ruspe e kalashnikov. L’intelligenza artificiale ha dimostrato di non bastare. Shin Bet (servizi interni), Mossad (esteri) e i vertici dell’Idf, pure l’Unità 8200 (intelligence militare) hanno già chiesto scusa per l’imperdonabile sottovalutazione degli allarmi lanciati dagli agenti sul terreno. Sos stati anticipati dal luglio 2023. Insomma, tutta la tecnolo del mondo non può, non ha potuto e difficilmente sostituirà l’azione umana. Probabilmente eviterà di sacrificare centinaia di miglia di vite. Ora si sta studiando come integrare le potenzialità dell’intelligenza artificiale con le nuove macchine a controllo remoto. Così da non esporre i militari addestrati. La stima prudenziale è che il valore globale possa raggiungere i 90 miliardi di dollari di fatturato globale entro il 2030.