La Stampa, 20 settembre 2024
Viterbo e lo stigma dei b-movie
Si mormora che Viterbo non sia stata abbastanza accogliente come bivacco per i manipoli del Generale Vannacci. In realtà lui non è andato a Viterbo, si è piuttosto manifestato a Viterbury, la dimensione parallela della Città dei Papi, che per una serie di infauste circostanze, spesso di sovrappone nella percezione della Capitale della Tuscia. A Viterbo non c’era folla giubilante solo perché Vannacci ha parlato ai cittadini di Viterbury, persone imprigionate in un paradosso spazio temporale, che le porta a credere di trovarsi in un mondo di almeno sei secoli fa.La Viterbo distopica vede la luce nel 1973, quando il regista Edoardo Re (al secolo Mario Caiano) pensò bene di colmare lacune storiche con il suo I racconti di Viterbury, che inaugura il filone dell’emulazione trash dei Racconti di Canterbury, film di Pierpaolo Pasolini tratto dal classico della letteratura medievale inglese scritto da Geoffrey Chaucer.La pellicola in breve divenne un caposcuola del genere “decamerotico”, a cui seguirono opere indimenticabili: E continuavano a mettere lo diavolo ne lo inferno, Fra’ Tazio da Velletri, Le mille e una notte di Boccaccio a Canterbury, meglio noto con il titolo Novelle licenziose di vergini vogliose.La costante di tutti questi film era nell’essere doppiati in “Viterburese”, un dialetto di fantasia che simulava il volgare del quarto e quinto secolo, o giù di lì. Anche la fortunata saga di Brancaleone di Mario Monicelli fu sempre girata nella Tuscia, a conferma di un odioso pregiudizio che era entrato nell’immaginario collettivo. Viterbo fu così assimilata a una terra di arretrati, solo per un falso storico alimentato dalla finzione cinematografica.Viterbo ebbe un’occasione per liberarsi dal pregiudizio che la vorrebbe Viterbury. Per una decina d’anni fu teatro del festival Caffeina, manifestazione di respiro nazionale inventata da Filippo Rossi, uomo di Gianfranco Fini in Fare Futuro, già coautore con Luciano Lanna di Fascisti immaginari.Rossi mi chiamò nel 2009 per chiedermi di collaborare: «Non c’entra Fini! – ci tenne a precisare – la misticanza è meglio della militanza». Fui più volte ospite di quel “Viterbury Pride”, la possibile riscossa di una città d’arte meravigliosa, che non era però mai riuscita a essere considerata luogo di cultura, come Capalbio, Spoleto o Cetona, proprio per lo stigma di burinaggine che gli aveva appiccicato addosso una scellerata stagione di b-movie. Vennero Saviano, Vauro, Grossman, Fiorella Mannoia, Mannarino, Vecchioni, Ammaniti, Capossela. Che si dividevano il palcoscenico con Veneziani, Buttafuoco, Giuli e altri di area assolutamente opposta.Fu però troppo per la destra più inflessibile. Un giorno di luglio del 2012 Gianluca Jannone, il fondatore di Casa Pound, si presentò con altri militanti negli uffici di Caffeina e atterrò con un pugno il “traditore” Filippo Rossi. Fu poi condannato per lesioni, però forse già allora qualcuno cominciò profeticamente a pensare che l’egemonia culturale della sinistra andava abbattuta sul nascere, soprattutto se minacciava i valori eterni di Viterbury.Quando la storia del Vannaccismo sfiderà i millenni, si spera che gli agiografi abbiano l’onestà intellettuale di ammettere che tutto non nacque a Viterbo, ma nella contigua Viterbury. Vannacci ha marciato sulla terra d’elezione dell’Armata Brancaleone, come pure degli indimenticabili Minchiotto, Jacopo de Monteroni, Madonna Bona e Madonna Brenda, ma anche di Chiappe d’oro, doppiato da Elio Pandolfi.