la Repubblica, 20 settembre 2024
Intervista a Michele Cannoni, dello Shore team (meccanici) di Luna Rossa
Cannoni, quante ore ha dormito la notte scorsa?
«Niente. Ci siamo buttati un paio d’ore su un pouf in palestra, sono sveglio solo grazie all’adrenalina che ho in circolo ma non vedo l’ora di andare a dormire. Sto bevendo solo ora la mia prima Ichnusa».Michele Cannoni è il capo degli eroi delloshore team, la squadra che tutti hanno ringraziato per aver fatto di nuovo volare Luna Rossa. Affrontando turni massacranti per riparare in una sola notte una barca rotta, che ha poi battuto agilmente American Magic. Boat captain e shore team manager, il ligure di Recco è il tipico esempio dell’evoluzione all’interno del team di Max Sirena: sette volte campione del mondo nelle classi Maxi, componente dell’equipaggio di Luna Rossa nel 2007, si è poi trasformato in marinaio-ingegnere assumendo il comando di un settore chiave.Quindi la sua unica salvezza è stato un pouf?
«Sì, ma mi sono sdraiato giusto per aspettare il tempo di risanamento del carbonio con una determinata resina, facevamo i turni in modo che qualcuno guardasse il forno mentre altri dormivano. Beh, non era dormire, ma riposare un attimo».Avete ricostruito daccapo il pezzo rotto mercoledì?
«No, ma abbiamo dovuto rinforzarne uno di riserva perché non ce la sentivamo più di rimettere quello che si è rotto. Sinceramente in ventuno anni di regate professionali su tutti i tipi di barche non ho mai visto una cosa del genere. Il nostro design team ci ha dato le specifiche con cui avremmo dovuto rinforzare il nuovo pezzo che abbiamo iniziato a montare la mattina alle 4.30».Come ha gestito le risorse fisiche del suo team?
«Siamo arrivati a contare circa 43-44 uomini, tra velai, esperti di elettronica, idraulica, boat builder. Ma non tutti hanno fatto la notte in piedi, perché non si può uccidere totalmente lo shore team: qualcuno lo devi salvare. Ho obbligato ad andare a dormire alle 22.30 alcune persone perché dovevano essere fresche il giorno dopo. Tutti i boat builder hanno lavorato, e abbiamo tenuto con noi un idraulico elettronico, più un rigger addetto all’albero per l’installazione delle cime su quel pezzo».Lei festeggia con una birra, gli altri ci vanno giù più pesante?
«Dico la verità, ho dovuto richiamare tutti i boat builder perché il tempo che ci separa dalla finale è veramente poco, e abbiamo delle modifiche importanti da fare alla barca: purtroppo ho dovuto rovinare la festa. Sono andato al party, ho preso tutto il team, l’ho portato sotto la barca insieme a Horacio Carabelli, il capo del design team, e ho detto che si lavorerà anche nelle prossime notti».Nel suo team ci sono spagnoli, colombiani, argentini, inglesi, slovacchi: in che lingua parlate?
«I latini capiscono l’italiano, ma parliamo sempre in inglese nei meeting del lunedì. L’ultimo l’ho voluto fare in italiano perché c’erano solamente latini, per una volta ho voluto cambiare lingua perché non bisognava parlare di aspetti tecnici, ma motivazionali: eravamo in un momento di trend negativo. Volevo che tutti rimanessero coesi, e l’altra notte mi hanno dimostrato che sono veramente un gruppo stra-unito».Cosa ha visto in queste drammatiche ventiquattro ore?
«I ragazzi hanno imparato a navigare sotto stress dopo quello che gli è successo. Hanno preso decisioni molto importanti su un campo in cui il vento saltava da tutte le parti. Hanno lasciato l’avversario, e Max Sirena stava impazzendo perché non vuole che lo si faccia mai, ma loro hanno navigato solamente sul vento e lo hanno fatto benissimo. Bisogna avere le palle per navigare così, lo fai solamente quando sei conscio delle tue possibilità».Adesso vi aspetta la finale contro Ineos.
«Abbiamo battuto gli americani che erano veramente un osso duro, lo so bene io che ho lavorato dieci anni in quel team. Siamo stati battuti da Ineos, ma per errori nostri dopo averli sconfitti. A proposito, abbiamo battuto anche Team New Zealand una volta, quando si sono ritirati perché c’erano i lampi…».