Avvenire, 19 settembre 2024
Dopo 1300 anni tornano a Cagliari i resti di Agostino d’Ippona
Dopo 1.300 anni la Sardegna, in particolare la città di Cagliari, ritrova le reliquie di sant’Agostino. Una di esse è stata consegnata, il giorno della festa liturgica del vescovo d’Ippona, da padre Josef Sciberras Osa, postulatore generale dell’Ordine agostiniano, all’arcivescovo Giuseppe Baturi in un artistico reliquiario in argento donato alla diocesi dalla Deputazione di storia patria per la Sardegna. Un “regalo” quasi dovuto perché i sacri resti del dottore della Chiesa prima di finire nella basilica di san Pietro in Ciel d’Oro di Pavia furono custoditi a Cagliari per oltre 200 anni. Le celebrazioni per il XIII centenario della traslazione (anno 723) delle spoglie del santo hanno favorito un incrocio di volontà e di desideri religioso-storico-artistico- culturali tra l’arcivescovo (la venerazione per Agostino è forte a Cagliari e nell’isola gli sono dedicate otto chiese, con annuali festeggiamenti solenni, mentre i Comuni di Alà dei Sardi e Belvì l’hanno eletto patrono) e la Deputazione di storia patria che ha voluto evidenziare una pagina importante nella storia religiosa e civile della Sardegna.
Con tutta probabilità le spoglie di sant’Agostino arrivarono in Sardegna nel 507–508, quando Trasamando, re dei Vandali dal 439, padroni dell’Africa settentrionale, relega nell’isola (conquistata verso la metà del V secolo), un centinaio di vescovi che si oppongono al processo di “arianizzazione” del territorio avviato dai barbari. Tra gli esiliati anche il vescovo Fulgenzio di Ruspe, leader e coordinatore di questa comunità ecclesiastica in forzata “trasferta”, e il vescovo di Ippona, l’odierna Annaba in Algeria, che nel lasciare la città porta con sé le spoglie di sant’Agostino, conservate nella Cattedrale di Santo Stefano, per non lasciarle alla mercè dei Vandali, non particolarmente teneri nei confronti dei cristiani, come risulta dalle testimonianze riportate da numerosi scrittori, compreso il futuro papa Gregorio Magno (590-604).
Per oltre 200 anni (secoli VI, VII e primi decenni dell’ottavo) i cagliaritani le hanno custodite in una antica chiesa–cappella costruita nel cuore del centro storico. In un tempo in cui la situazione mediterranea dipendeva dalle capacità piratesche degli Arabi, per i sardi non solo devastazioni e morti, ma anche l’affronto di vedersi portare via il corpo di un “campione” della Chiesa universale. Uno scippo con un’operazione di “compravendita” piuttosto costosa – “magno pretio” – avvenuta intorno al 721–725 tra un compratore, Liutprando re dei Longobardi, e un venditore: gli arabi. Il primo spinto da ragioni di fede, ma anche per aggiungere una voce prestigiosa alla rinascenza liutprandea di cui fu autore nel regno e nella capitale Pavia. I secondi per capitalizzare in moneta sonante un bene non appartenente alla loro tradizione religiosa.
Di questi due viaggi di Agostino – il primo da Ippona a Cagliari, il secondo da Cagliari a Pavia – e delle tradizioni religiose e delle testimonianze storico-artistiche (una bella chiesa rinascimentale del XVI nel capoluogo dell’isola, quartiere Marina), si è parlato durante un convegno, coordinato da Luisa D’Arienzo (Università di Cagliari), aperto dall’arcivescovo Baturi sul rapporto fra culto e cultura alla luce dell’insegnamento di san Giovanni Paolo II –«Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta» – e di Papa Francesco: «L’essere umano è sempre culturalmente situato: natura e cultura sono quanto mai strettamente connesse… La grazia suppone la cultura, e il dono di Dio si incarna nella cultura di chi lo riceve».
Il reliquiario, realizzato dall’argentiere Pier Andrea Carta, portato in processione dalla Cattedrale alla chiesa di sant’Agostino, sarà custodito nel Museo diocesano nella stessa sala che conserva i cosiddetti “paramenti” del vescovo d’Ippona.