la Repubblica, 19 settembre 2024
L’ars poetica di papa Francesco
Il tema della comunicazione pontificia al tempo di Francesco è molto controverso: sono stati versati fiumi d’inchiostro sull’argomento, che certamente si presta ad approfondimenti ulteriori. Accanto ai generi classici e alle formule tradizionali, questa comunicazione si è espressa in generi propri, originali, inediti. L’intervista non fa parte di queste novità, basti pensare all’“incontro in Vaticano” del 1959 tra Montanelli e Giovanni XXIII. Poi, nel 1965, il Corriere della Sera poté scrivere dell’intervista concessa da Paolo VI ad Alberto Cavallari. E ancora, nel 1994 ricordiamo il libro-intervista di Giovanni Paolo II curato da Vittorio Messori. Fu quindi Paolo Frajese, volto storico del Tg1, a ottenere una breve intervista, sempre con il pontefice polacco, davanti al suo presepe nell’appartamento pontificio. Conosciamo inoltre le conferenze stampa dei pontefici durante i viaggi apostolici. Ma una comunicazione così intensiva con il mondo è un tratto caratteristico e peculiare di Francesco, che decide, mette in agenda e organizza interviste per lo più in modo autonomo.Era il 14 giugno 2013. Durante una udienza nel Palazzo apostolico, gli proposi l’intervista che poi avrei realizzato per La Civiltà Cattolica e le altre riviste dei gesuiti. Lui mi rispose immediatamente che non l’avrebbe fatta e, come a giustificarsi, mi confidò una grande difficoltà a rilasciare interviste. Ma lì, pochi istanti dopo ebbi l’impressione che non fosse così sicuro della risposta che mi aveva dato. Lo vidi in discernimento, come se si rendesse conto che quella delle interviste avrebbe potuto essere una strada degna di essere percorsa. E in effetti finì col comunicarmi che accettava di rispondere, per iscritto, a una serie di domande da me preventivamente preparate, sempre per iscritto.Le cose tuttavia andarono in maniera un po’ diversa. Ebbi la possibilità di consegnargli le mie domande a mano in Brasile, durante la sua visita per la Giornata Mondiale della Gioventù, una mattina dopo la messa. Dopo averle lette però, una volta tornati a Roma, mi chiamò per dirmi che preferiva rispondere a voce, in un dialogo a tu per tu. Fissammo quindi una data: 19 agosto. Poi trascorremmo insieme tre pomeriggi per realizzare l’intervista. Da quel momento il Papa ha sempre amato conversare, specialmente con i giornalisti, anche per diffondere alcuni suoi messaggi forti.Le sue risposte originali raramente si limitano a brevi frasi di risposta a una domanda precisa. Francesco è vulcanico, ama entrare nel dialogo, aprire porte e finestre, tornare sui propri passi, ma soprattutto entrare in dialettica, ricordare fatti personali. Non dialoga senza fare riferimento a qualche esperienza concreta. Quando scrive, può talvolta prediligere l’astrazione, ma quando dialoga, no: il suo non è un ragionamento di concetti astratti, ma una riflessione e unoscambio sul vissuto. Questa, almeno, è stata la mia esperienza nel corso di due lunghe interviste con lui e poi di altre conversazioni, raccolte nel primo libro-intervista con i bambini e in quello con gli anziani.Ma Francesco ha inaugurato almeno due generi davvero nuovi. Se T.S. Eliot aveva fatto riferimento, a proposito di una sua poesia, a «parole private dette in pubblico», nel caso di Bergoglio dovremmo parlare di «parole pubbliche dette in privato». Due forme di discorso dirette a persone specifiche e in forma sostanzialmente riservata, ma che in un secondo momento vengono rese pubbliche. Si tratta delle omelie da Santa Marta e delle conversazioni con i gesuiti durante i suoi viaggi apostolici. La caratteristica fondamentale di entrambi i generi è l’oralità di una parola “spezzata” per essere condivisa nel momento in cui viene proferita. C’è anche un logos “spezzato”, cioè non un discorso pulito, levigato, rimeditato e poi confezionato a dovere. No: il lettore troverà un logos che accoglie in sé tutta la forza dell’oralità: le sue metafore, gli anacoluti. C’è una tensione vitale che non può essere addomesticata con unlabor limae, con un lavoro di cesello da laboratorio. Bisogna prendere le sue parole per come sono state proferite. Siamo davanti a una vera e propria “dottrina orale”: lo stesso Giovanni Reale, grande esperto di Platone e delle sue “dottrine non scritte”, ne era consapevole e così si è espresso con me in un’occasione.Francesco ha compreso che la comprensibilità non è la stessa cosa della chiarezza. Si può essere molto chiari, ma non essere capiti. I discorsi astratti possono essere semplici e chiari, ma non davvero compresi da chi li ascolta, perché capaci solo di sfiorare la superficie della consapevolezza. A volte la chiarezza – in alcuni casi anche della dottrina – può essere anzi inversamente proporzionale alla credibilità. L’uomo di oggi, più che di discorsi semplicemente “chiari”, che non fanno una piega, ha bisogno di discorsi che siano credibili, portatori della complessità delle situazioni, delle esperienze, della vita che a volte non è e non può essere così “chiara”. Il linguaggio chiaro è quello della norma. Se il pastore lo assume come modalità comunicativa finisce per confondersi e vestire i panni del legislatore e del giudice.Il linguaggio bergogliano è ricchissimo di metafore, proverbi, idiomi, neologismi e figure retoriche che vengono non dal culto della parola elegante, ma al contrario dal gergo, dal porteño, dal parlato di strada assorbito dalla quotidianità o dal rapporto pastorale con i fedeli. Francesco affronta il guazzabuglio del linguaggio e le sue trappole. L’obiettivo è la liberazione dell’energia propria del logos evangelico. Non solo: il linguaggio teologico rischia di diventare un prodotto della debolezza del logos occidentale, per cui la ricerca di un linguaggio che dia ragione della razionalità della fede rischia, alla fine, di condurre lontano rispetto alla questione del reale futuro della fede e del suo compito di annuncio kerygmatico.Esiste un legame molto intrigante tra il linguaggio di Bergoglio e la poesia di Pier Paolo Pasolini, intellettuale profetico e popolare, e tradurre Bergoglio è difficilissimo, più di quanto ingenuamente si possa pensare. Quante cantonate sono state prese da chi ha tradotto credendo di aver ben capito! Più che della grammatica, la prosa di Bergoglio ha bisogno di un’analisi poetica e linguistica.A ben vedere, dunque, la conversazione bergogliana si interroga sull’orizzonte stesso della possibilità della comunicazione del cristianesimo. Questo è il suo vero nodo critico.