Corriere della Sera, 19 settembre 2024
In morte di Totò Schillaci
Salvatore Schillaci, Totò, l’eroe in maglia azzurra nelle notti magiche di Italia ’90, se ne è andato. A lui bastò solo una, di quelle notti, per diventare campione. Aveva 59 anni, era ammalato da tempo. All’inizio di settembre il ricovero a Palermo. Due interventi, l’addio.
Caro Totò Schillaci, sei stato un grande re venuto dal popolo, una persona rimasta semplice nonostante la grandezza. Riapri gli occhi, ovunque tu sia
Gianni Infantino Presidente della Fifa
PALERMO È una teoria di famiglie con bambini che non possono averlo mai visto giocare, fra gente semplice, operai e professionisti all’uscita dal lavoro, tutti in fila per rendere omaggio a Totò Schillaci nella sua casa d’elezione dove Palermo lo ricorda, lo Stadio Barbera. Ultimo approdo rosanero per il goleador dei Mondiali che commuove pure Giorgia Meloni: «Ci ha fatto sognare e sventolare il Tricolore, buon viaggio campione». Messaggio che rimbalza con una valanga di note, post e meme arrivati da tutto il mondo in questa camera ardente aperta fino a domani, quando alle 11.30 la bara con la maglia azzurra n. 19 sarà già in Cattedrale.
Sapeva che non avrebbe potuto segnare l’ultimo rigore e ha lasciato il campo «Totò Gol». Chiudendo ieri mattina gli occhi davanti a medici e infermieri della Pneumologia. Dopo un calvario cominciato alcuni anni fa con due interventi per un tumore al colon e una fine che sembra uno scippo, perché avrebbe compiuto 60 anni il primo dicembre. Ha lasciato così il campo dopo avere combattuto una estenuante battaglia al Civico di Palermo, la città che lo amava come Santa Rosalia. In fondo, Totò, il miracolo l’aveva fatto non solo innalzando il Tricolore, ma anche costruendo una speranza nei quartieri poveri dove era cresciuto. Come il Cep. Un agglomerato periferico di caseggiati popolari, fra cortili dove da bambino passava le giornate giocando a pallone. Mentre il padre muratore s’arrangiava, una sorella a casa, i tre fratelli che s’industriavano com’è successo a lui via via, facendo il gommista, il garzone di pasticceria, l’ambulante.
Ma sempre con quella passione che gli permise di accostarsi ai primi veri campi di calcio, girando poi il mondo, l’assedio dei tifosi in ogni piazza. Fino agli avventurosi viaggi di Pechino Express, il reality proposto quando già il male s’era mostrato. Decisione sofferta. Poi, incoraggiato dai medici, accettò partendo con l’amata moglie, Barbara Lombardo, certa anche lei che la partecipazione fosse «una rivincita su malattia, depressione, pensieri cattivi...».
E così fu per lungo tempo, con Totò che la ringraziava: «Sei la mia arma in più». In lacrime lei, come la figlia Nicole. Come Mattia e Jessica, avuti dal primo matrimonio, tutti vicini: «Hai giocato benissimo l’ultima partita della vita».
E il fratello Giovanni Schillaci: «Sei e resterai la leggenda del calcio italiano».
Forte il senso di un’intera famiglia coinvolta nell’attenzione verso i quartieri popolati dai senza niente dove rilevò una scuola di calcio, la «Louis Ribolla». Lì a due passi dal Cep. Impegnato a scovare nuovi campioni, ma soprattutto dedito a trasformare l’apprendimento della tecnica in una occasione «per crescere moralmente, civilmente».
Un impegno offuscato da una storiaccia che portò nel 2008 l’attuale procuratore di Palermo Maurizio De Lucia a contestargli in un processo l’intervento di un boss mafioso per bloccare una serie di furti subiti al «Ribolla». Una macchia decisamente diluita dalla dedizione riversata fra i campetti popolati negli anni da migliaia di giovani per i quali è stato e resta un idolo. Un amore ricambiato. Lo ripeteva sempre di adorare Palermo: «Mi dà molto fastidio vederla associata solo alla criminalità, ma bisogna investire sui quartieri togliendo i ragazzi dalle strade». Come faceva dando l’esempio. Con un ottimismo specchiato in una vita serena, poi offuscata dal male, dai controlli, dai ricoveri. Come quello del gennaio 2023 alla «Maddalena», la stessa clinica dove era in cura Matteo Messina Denaro, il boss che vide arrestare «in una scena da Far West», commentò contento che i carabinieri avessero liberato la Sicilia dal più pericoloso dei latitanti di Cosa nostra.