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 2024  settembre 18 Mercoledì calendario

I mancati investimenti affondano la Germania

I dati più recenti sulla situazione economica tedesca e le elezioni nei Länder di Turingia e Sassonia hanno riacceso i riflettori sulla crisi di Berlino.
Sebbene la Germania abbia portato a casa una recessione tonda tonda lo scorso anno segnando una contrazione del suo gigantesco Pil di 0,3 punti percentuali, la questione è sembrata così paradossale che l’allarme è suonato ma costantemente mitigato dalla speranza che si trattasse di un fenomeno passeggero. Invece la Germania continua a collezionare segni meno: ad agosto l’indice Zew Economic Sentiment che dà la misura della di fiducia degli investitori tedeschi si è dimezzato scendendo di oltre 20 punti rispetto al mese precedente, a settembre è precipitato da 19,2 a 3,6 punti. La produzione industriale scende e l’inflazione sembra raffreddarsi per il rallentamento dell’economia. Le previsioni di primavera della Commissione europea già davano una crescita limitata allo 0,1 per cento quest’anno ma molti centri di ricerca, come Diw e Ifo di Monaco, puntano nelle loro stime allo zero. Svetta solo l’orgoglio tedesco di un basso debito: secondo l’Ocse nel 2024 sarà del 64 per cento, inutile dire tra i più bassi tra in grandi Paesi, sicuramente più di Francia, Italia e Spagna che stanno sopra il 100 per cento.
C’è da chiedersi a questo punto quale sia la malattia di cui soffre la Germania che da locomotiva d’Europa si è trasformata nel malato del Vecchio Continente. Certamente lo scenario geopolitico ha influito: il modello dell’energia a basso costo anteguerra si è inceppato e la le difficoltà del commercio internazionale si sono fatte sentire su un Paese fortemente esportatore. Ma i guai per la Germania, secondo alcuni osservatori e politici, sono cominciati ben prima. Dall’alto del suo bottino elettorale, l’unico in grado di contrastare la destra neonazista, Sahra Wagenknecht, moglie dell’ex leader socialista Oskar Lafontaine, e guida di Bsw, un partito di sinistra che ha preso percentuali a due cifre in Turingia e Sassonia, fa capire che le ragioni vanno cercate altrove. Lo ha detto già un paio di anni fa nel suo libro-manifesto, “Contro la sinistra neoliberale” (prefazione di Vladimiro Giacché): la colpa è di come è stata fatta la riunificazione tedesca nel 1990 che stroncò l’economia dell’Est e che oggi lascia in eredità salari più bassi del 21 per cento rispetto all’Ovest. Un aspetto che ha influito molto sul voto di protesta nei due lander, ex Est, come Turingia e Sassonia.
Certamente la questione salariale è cruciale, come sono da considerare le ragioni congiunturali. Ma il dato più sorprendente è che questa deriva di declino poteva essere contrastata da una lungimirante politica di investimenti pubblici. Cosa che invece, sorprendentemente, non c’è stata: gli investimenti pubblici tedeschi sono in discesa dal 1991: in oltre trent’anni, come testimonia uno studio di Bruegel di Bruxelles, il capitale al netto degli ammortamenti è passato da una crescita dello 0,8 quasi a quota zero. Si può dire che le scelte di politica economica, nel comparto dell’auto e delle tecnologie, non sono state adeguate o che gli investimenti non si sono tradotti in produttività. Resta il fatto che le politiche dell’austerità permettono oggi a Berlino di sventolare la bandiera del basso debito ma non quella dello sviluppo