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 2024  settembre 18 Mercoledì calendario

Trent’anni fa moriva Franco Fortini

“Se non trovate interlocutori tra i vivi, cercateli fra i morti”. È una delle lezioni che Giacomo Noventa impartisce a un giovane Franco Fortini. La rievoca Luca Lenzini nella sua introduzione a Traduzioni disperse e inedite, uscito per la collana mondadoriana dello Specchio. I “morti”, da Flaubert a Proust, da Kafka a Goethe, sono per Fortini tappe di una prolifica attività di traduttore. In queste pagine scorrono versi tradotti tra gli altri da Apollinaire, Breton, Éluard e un’autotraduzione dall’italiano in francese della sua Valdossola.
Se l’editoria non dimentica Fortini, il suo magistero latita nel dibattito pubblico. “Fortini giace insepolto fuori delle mura… la scena, tutte le generazioni incluse, sembra sollevata dal non sentirsene continuamente sfidata e giudicata”. Così Rossana Rossanda ne spiegava la stentata fortuna postuma. In effetti, ora che si approssima il trentesimo anniversario della scomparsa – l’intellettuale si spegneva all’età di 77 anni il 28 novembre 1994 – si ha l’impressione che la sua eredità non sia affatto contesa. Sorte condivisa con Paolo Volponi, morto fatalmente appena tre mesi prima in quello stesso anno di egemonia berlusconiana.
Il tramonto delle ideologie ha reso inservibili le coscienze critiche della sinistra militante? Lo stesso Fortini si abbandonò a un testamento inequivocabile: “Vi saluta un intellettuale, un letterato, dunque un niente”. Evidente il richiamo a un ruolo sempre più marginale. Implicito il suo capo d’accusa: se tutto è mediato dalla logica del capitale e del profitto non può esistere nessuna vera libertà. La sua intransigenza fu a tal punto proverbiale che i più beffardi lo tacciarono di “solipsismo predicatorio”. Per di più condito da una rivendicata oscurità: “Non parlo a tutti. Parlo a chi ha una certa idea del mondo”. Walter Siti ricorda che tra colleghi docenti universitari circolava la battuta: “Si spezza ma non si spiega”. Tuttavia gli allievi lo appellavano “Lattes a lunga conservazione” per la sua generosità nelle relazioni, alludendo al cognome ebraico che barattò dopo le leggi razziali del 1938 con il nom de plume Fortini, cognome materno. Proprio sulla scorta della sua identità ebraica firmerà nel 1967 I cani del Sinai, feroce e dolente atto d’accusa contro la politica di Israele.
Mancato avvocato, due lauree in Giurisprudenza e Lettere, l’autore dovrà conciliare le sue ambizioni liriche con la docenza negli istituti tecnici e negli atenei, con collaborazioni giornalistiche, traduzioni e curatele. La sua sfiducia contro l’industria culturale si sublima nel confronto continuo con il suo “fratello avverso” Pasolini al quale imputa di accettarne le regole. “Aveva torto e non avevo ragione” confesserà. Non sopporta che il poeta delle Ceneri si erga a martire: “Una voce clamante nel deserto non può avere un microfono”. La sua “non ragione” una strenua pedanteria ideologica. Secondo Mengaldo, Fortini è “sempre poeta politico, anche quando parla d’alberi e fiori”. I suoi versi indagano “la relazione fra la propria individualità e i grandi eventi collettivi”.
Da Foglio di via del 1946 a Composita solvantur del 1994 è sempre l’inservibilità della poesia il suo tormento: “Potrei sotto il capo dei corpi riversi/ posare un mio fitto volume di versi?”. Garboli, nel commentare la sua parabola finale, osservò: “Fortini portava dei brutti impermeabili scuri. Si vestiva come un uomo di oltrecortina, per una sorta di misterioso sadomasochismo”. Fofi, di rimando: “Dopo essere stato per tanti anni oppositore delle brutture del comunismo si scoprì più comunista dei comunisti”. Se Dieci inverni del 1957 è un “diario in pubblico” di un marxista eretico contro lo stalinismo, Verifica dei poteri del 1965 è l’inizio di una conversione a un’ortodossia sempre più irriducibile con il comunismo di Brecht elevato a bussola. Come gli ha rimproverato Berardinelli non intuì che per “uscire” a sinistra dal socialismo reale avrebbe dovuto abbeverarsi agli irregolari antitotalitari come Orwell, Koestler, Camus. Eppure mai come oggi l’inattualità di questo “letterato per i politici, ideologo per i letterati” ci torna indietro come un boomerang. Resta comunque il poeta di prima grandezza, unico tra i suoi pari a non avere ancora un suo Meridiano di versi. Urge risarcimento.