Il Messaggero, 18 settembre 2024
Al lavoro per una nuova legge sull’editoria
Più fondi all’editoria e al comparto radio-televisivo. Ma anche più regole per tutelare questi settori dallo strapotere delle big tech e dalla pirateria digitale, difendendo il diritto d’autore dai saccheggi online, contrastando le fake news e provando ad aumentare la remunerazione sui contenuti web per gli editori. Sono i principi cardine attorno ai quali i leader del centrodestra dicono di voler costruire in Parlamento una riforma complessiva sul sistema dell’informazione italiana. Ieri Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi lo hanno messo nero su bianco in una nota congiunta sulla Rai, in cui spiegano che nel 2025 bisognerà recepire il Media Freedom Act approvato dal Parlamento europeo, rivedendo, forse, anche la governance dell’azienda del servizio pubblico. La maggioranza, però, vorrebbe rinnovare il consiglio di amministrazione della Rai con le regole attuali, per poi prevedere nuove modalità di elezione nella riforma complessiva, da approvare il prossimo anno. Riforma che, chiarisce a Il Messaggero il capogruppo di Forza Italia Maurizio Gasparri «punta a fare di più rispetto alla legge varata dall’Ue, disciplinando in maniera rigorosa l’attività dei giganti della rete rispetto ai contenuti informativi, arginando ancora i cosiddetti “ladri di giornali e contenuti audiovisivi” e magari allargando il Sistema integrato delle comunicazioni, considerando anche nuove tecnologie e media». Si tratta di quel contenitore identificativo del settore a cui si applicano regole e limiti per provare ad assicurare il pluralismo dell’informazione. «Riteniamo opportuno – hanno spiegato i leader del centrodestra – avviare in Parlamento il confronto per definire una nuova legge di sistema, che tenga conto di tutte le trasformazioni tecnologiche intervenute, per arginare e regolare il dominio di giganti del web e piattaforme, per fermare il saccheggio digitale e tutelare il diritto d’autore nel mondo dell’editoria e dell’audiovisivo, a garanzia di ogni espressione della cultura, del sapere e dell’informazione». «In Italia – hanno aggiunto – la Corte costituzionale ha indicato nel tempo, con varie sentenze e ordinanze, il ruolo del servizio pubblico televisivo e la fondamentale funzione del Parlamento». Il contesto generale, d’altronde, viene descritto come molto complesso per l’editoria. «L’irrompere dei giganti del web – si legge nella nota – la crescita di potenti piattaforme spesso connesse ai colossi della rete, il saccheggio digitale che investe il mondo dell’editoria e dell’audiovisivo, il dilagare delle cosiddette fake news e molto altro ancora richiedono un nuovo assetto normativo. In molti casi con regole di respiro internazionale. Come è avvenuto con le direttive del diritto d’autore emanate dall’Unione Europea e recepite dall’Italia. Analogo percorso dovrà essere affrontato per il Media Freedom Act».Il comparto dell’editoria e dell’audiovisivo è evidentemente in difficoltà in tutta Europa. Lo dimostra la notizia che arriva dal Regno Unito, dove il Guardian ha formalizzato la decisione di mettere in vendita l’Observer, sua edizione della domenica dalla metà degli anni ’90, nonché storica testata che si fregia del titolo di «più antico giornale domenicale del mondo». Serve, insomma, una inversione di tendenza. Gli editori italiani in prima battuta si sono detti «soddisfatti» per l’apertura del governo a una riforma complessiva del settore, anche se valuteranno nel concreto i provvedimenti. Sette associazioni della filiera del libro hanno poi chiesto più sostegno economico al nuovo ministro della Cultura, Alessandro Giuli, a partire dal ripristino del fondo da 30 milioni per le biblioteche e dalla modifica delle Carte cultura per i 18enni. Anche le opposizioni, nel frattempo, hanno aperto a una collaborazione con l’esecutivo sulla riforma, ma a patto che le nuove nomine Rai vengano fatte solo in un secondo momento. «Pare che finalmente – ha commentato la segretaria del Pd Elly Schlein – abbiamo convinto la maggioranza a procedere a una riforma per rendere indipendente la Rai, ma noi non siamo disponibili a nomine, lottizzazioni e rinnovi di Cda prima di aver rivisto le regole per la governance». «Mettiamoci subito al lavoro in Parlamento – ha concluso – per fare in fretta e bene questa riforma».