La Stampa, 18 settembre 2024
I 5 Stelle sono al capolinea. Così finisce una rivoluzione
Sic transit gloria mundi. Anche se non era precisamente vera gloria. E, di sicuro, a dispetto dei tanti roboanti annunci passati, si è dissolta ogni supposta volontà di rivoluzionare il detestato “sistema”, sfarinatasi in polvere di (cinque) stelle. Tutto ciò che è solido svanisce nell’aria, diceva Karl Marx a proposito delle incessanti trasformazioni del capitalismo, mentre dalle parti del Movimento – a dispetto del nome – è sempre andata per la maggiore la conservazione degli assetti di potere esistenti, al punto che Grillo, che aveva fatto di tutto per blindare il controllo sulla sua creatura, mai avrebbe immaginato di arrivare al capolinea. E, invece, Conte, l’antagonista autentico di questa storia che non finirà in gloria (giustappunto), dopo essere stato insultato con gli epiteti più svariati dal Garante, ha risposto per le rime – apostrofandolo anche come «sopraelevato» –, e minaccia di levargli la fumosa consulenza da centinaia di migliaia di euro. Trecentomila, per la precisione, coincidenti con i motivi – così vaticinava, sbagliandosi, Luigi Di Maio – per cui Grillo se ne sarebbe dovuto stare in silenzio senza generare l’ennesima escalation di una battaglia che ha tutta l’aria di essere quella (per davvero) finale. Invece il cofondatore del M5S si è tuffato nella mischia e nella gazzarra con tutto sé stesso, anche se si ritrova adesso molti meno supporter di quelli che lo avevano sorretto in canotto durante il gremitissimo comizio-show di piazza Maggiore a Bologna del marzo 2010, «anno II» della Rivoluzione grillina.Nelle scorse ore ha replicato rabbiosamente all’ex premier, rigettando la fondata accusa di nutrire una «visione padronale del Movimento» e richiamando contestualmente l’avversario al rispetto dell’«impegno contrattuale» relativo ai compensi. Insomma, volano gli stracci e i pezzi di carte (bollate). Un percorso inatteso, se non una nemesi vera e propria: da fazione (e anche un po’ setta) rivoluzionaria a partito del “legalese” e delle diffide in tribunale. La storia della politica ha dato la possibilità di assistere con una certa frequenza alla parabola di chi, nato incendiario, si è riscoperto (o reinventato) pompiere dopo un certo lasso di tempo. Ma la conversione del barricadiero e dell’agitatore in leguleio (tendenza azzeccagarbugli) ed esegeta del cavillo contrattuale costituisce un inedito. Come, innegabilmente, in origine aveva rappresentato una novità assoluta il M5S, il maggiore (nei numeri) e più postmodernistico partito neopopulista europeo di quest’ultimo decennio. E proprio in quanto populista fino al midollo – e, dunque, connotato strutturalmente dall’ambiguità e dall’ambivalenza, innanzitutto ideologica (il mantra «oltre la destra e la sinistra») –, il Movimento poteva risultare rivoluzionario solo in modo sedicente e virtuale, e non negli atti e nelle (rare) politiche. Una rivoluzione a parole – spesso “eversive” e offensive («Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno») – e puramente immaginaria senza saper neppure essere immaginifica, come nel futile saccheggio a più riprese della terminologia di quella francese, tra piattaforma Rousseau, supposta volontà generale degli iscritti e «avvocato del popolo». Né sarebbe bastato il tanto invocato «pauperismo francescano», e nemmeno il rifiuto dei processi di istituzionalizzazione e strutturazione partitica. Il M5S è stato, in verità un (mai dichiarato) «partito bipersonale» nella sua fase trionfale, e (mono)personale in quelle successive, compresa l’attuale, guidata dal CamaleConte.La spinta propulsiva rivoluzionaria è durata, quindi, lo spazio di un mattino o, per essere meno severi, ha comunque ballato per non più di una stagione, mentre i suoi portavoce descamisados assaporavano più rapidamente del previsto le dolci tentazioni dello stare dentro gli emicicli della vituperata casta, sia pur da “integerrimi” oppositori. La rivoluzione, si sa, non può essere un pranzo di gala, e adesso volano pentole e piatti e, in caso di potenziale divorzio, tutti vogliono accaparrarsi l’argenteria e il servizio buono. Archiviata definitivamente la presunta carica rivoluzionaria, rimane sempre quella antisistemica e antipolitica, che continua ad avere un suo mercato elettorale. E, dunque, non siamo invece ancora arrivati ai titoli di coda del possibile grillismo scissionista