la Repubblica, 18 settembre 2024
Gianni Letta a 90 anni ancora trama nell’ombra
Gianni Letta l’anno prossimo compie 90 anni ed è ancora il grande facilitatore della Repubblica. Un vecchio signore con il suo alone di mistero, perché non compare: da direttore del Tempo non scrisse mai un editoriale, da uomo di governo berlusconiano non fece mai un intervento in Parlamento. Provate però a telefonargli nel suo ufficio al Nazareno, accanto c’è il Pd: vi risponderà. E se non può, richiama. Telefonate brevi, di deliziosa cortesia, nelle quali offre nell’ombra l’illusione di una soluzione. «Un uomo di pace, o di finta pace», nella definizione acuta di un uomo che conosce le cose romane.Solo che ultimamente qualcosa è cambiato.Non sfuggono più a nessuno i difficili rapporti tra Marina e Piersilvio Berlusconi e Giorgia Meloni. Una sottile disistima reciproca. Giorgia per i fratelli Berlusconi è l’emblema del populismo all’amatriciana; la premier ne diffida perché li ritiene attenti solo alla propria borsa come dimostrerebbe il no alla tassa sugli extraprofitti delle banche. Soprattutto non ha dimenticato l’avvertimento su Giambruno. Questa incomprensione viene da lontano, c’era già ai tempi dell’ultimo Silvio, che reputava «Giorgia» una maleducata che non aveva chiesto permesso.Perdipiù, a differenza di quelli che c’erano prima, Meloni ha cercato di affrancarsi da Gianni Letta. Anche Letta non ama il melonismo, non vi si riconosce, ma allo stesso tempo vuole anche piacere a tutti, non essere tagliato fuori. Giuliano Ferrara una volta gli imputò l’incapacità di «decidere con dolore». Ma stavolta se l’è legata al dito, dicono: perciò i due interessi – del Letta offeso, e dei fratelli liberal – in questo momento s’incrociano. E ora Letta ha portato Draghi a casa di Marina, una visita che è un dito nell’occhio a Giorgia. Ed è amico di Luigi Bisignani, «il suo santo protettore», esagerano a Roma, una delle anime della Dagospia anti meloniana. Ce n’è abbastanza per far appiccare un incendio.E quindi, in questa terza fase della sua vita, dopo essere stato giornalista, l’ambasciatore Fininvest nel Palazzo, Letta si scopre al centro di una tela dove non è più visto come «un uomo di pace, o di finta pace», il calligrafo della Real Casa, ma dentro una contesa: visto a Chigi come una minaccia.Lo ha capito da un pezzo Antonio Tajani, il segretario di Forza Italia. I Berlusconi non sono contenti di quel che fa. Lo ritengono troppo arrendevole con Giorgia. Lo vorrebbero più incisivo sui diritti civili. Tajani parla continuamente diius scholae, solo che nessuno riesce a prenderlo sul serio. Poi si sarebbe fatto lusingare dalla promessa meloniana, chissà quanto sincera, che sarà lui il primo presidente del centrodestra al Quirinale, dopo Mattarella. Quindi lo avrebbero ubriacato con la vanità. E in questo momento i rapporti con Letta si sarebbero guastati. Eppure, nel 1994, fu proprio Gianni Letta a portare Tajani ad Arcore. Era ancora un giornalista del Giornale, ma già desideroso d’altro, e azzimato, moderato, prudente: il Berlusca cercava proprio quei tipi là.Tajani non è andato male alle Europee (9,6%). Forza Italia è sopravvissuta alla morte del suo fondatore, solo che «Antonio» è come queimister che arrivano alla salvezza, ma non piacciono al presidente per come fanno giocare la squadra. Tajani non è Sacchi, ed è pure juventino. A torto o a ragione è poco funzionale al progetto di Marina di un partito alternativo alla destra sovranista. Come ha fatto notare ieri Roberto D’Alimonte sul Sole 24 ore non è incisivo sul piano dell’influenza politica. La presidente della Mondadori ad aprile, alla prima del biopic su Ennio Doris, stupì i cronisti con un endorsement anti populisti. E subito dopo disse alCorriere di sentirsi vicina alla sinistra di buonsenso sui diritti civili.Quindi resta da capire che farà Marina. Ma anche quello che farà Giorgia: andrò allo scontro con i fratelli, oppure si acconcerà, visto che senza Forza Italia non c’è maggioranza. Gianni Letta non è fatto per stare a guardare. La leggenda narra che durante l’università lavorava come operaio in uno zuccherificio di Avezzano, diventandone ben presto il direttore del reparto chimico. Uno che a 90 anni risponde ancora a tutte le telefonate.