la Repubblica, 18 settembre 2024
Decimata la linea di comando degli Hezbollah
All’inviato americano Amos Hochestein, che lunedì l’ha incontrato a Tel Aviv, Benjamin Netanyahu l’aveva detto esplicitamente: sul confine Nord serve «un cambio radicale». Dal 9 settembre, in rapida successione, Israele ha sferrato una serie di attacchi alla catena logistica, di forniture militari e di comando di Hezbollah, prima con l’assalto di Masyaf, in Siria, al centro missilistico gestito dai libanesi con l’aiuto degli iraniani, poi spostando nuovi battaglioni a Nord e inserendo il “ritorno degli abitanti” in Galilea tra gli obiettivi della guerra. E infine con l’operazione di ieri, che ha fatto letteralmente saltare in aria i quadri intermedi del partito di Dio. In mezzo, il caso dei volantini che invitavano i residenti della regione di Wazzani, nel Sud del Libano, a evacuare, che Israele ha attribuito alla poco probabile”iniziativa individuale” di alcuni comandanti di brigata, ma a che a Beirut viene letta come un’operazione di guerra psicologica contro i combattenti sciiti per costringere Hezbollah ad accettare un accordo separando il destino del Libano da quello di Gaza.Per il governo Netanyahu, il problema del Nord è diventato assillante. I quasi 100mila sfollati della Galilea chiedono di rientrare nelle loro case, l’economia risente del fermo imposto alla zona più produttiva del Paese. L’establishment israeliano però è diviso, tra chi sostiene un’operazione militare su vasta scala, che implichi anche una invasione di terra in Libano, e chi ritiene che questa opzione porterebbe a una guerra regionale con il coinvolgimento degli Houti se non anche dell’Iran, e dunque con conseguenze disastrose anche per Israele, a cominciare probabilmente da nuovi sfollati nel Nord. Di qui la necessità di contenere e negoziare. Gli israeliani non hanno rivendicato gli attacchi ai cercapersone, come spesso accade, ma per gli analisti è evidente che si tratta di un altro pezzo di quella guerra alle supply chain che intelligence e militari stanno conducendo per fiaccare la rete logistica e di approvvigionamento di Hezbollah, danneggiarne l’operatività – dimostrando la propria superiorità tecnologica e di intelligence – e per impedire attacchi su larga scala. Scrive Haaretz: l’esercito israeliano «sta lavorando per contenere mentre negozia un accordo di sicurezza attraverso intermediari in Libano, e considerando la necessità di un attacco preventivo per impedire a Hezbollah di ottenere un vantaggio militare o propagandistico». La sequenza esplosiva di ieri aveva anche l’obiettivo di mostrare l’interconnessione dei miliziani sciiti con la società libanese (molti sono stati feriti al mercato, alle fermate dell’autobus) con una operazione che ha terrorizzato tutto il Paese, facendo almeno 11 vittime, tra cui una bambina di 11 anni, e 4mila feriti, anche tra operatori sanitari, e gettato nel caos molti ospedali. Decine se non centinaia di cercapersone – forse manipolati con microdosi di esplosivo – sono la più grande violazione di sicurezza della storia di Hezbollah. L’ipotesi è che appartenessero a una partita consegnata di recente ai combattenti sciiti da una società di Taiwan.I nuovi apparecchi potrebbe essere arrivati in Libano mesi fa, secondo fonti della sicurezza, ma la distribuzione dei nuovi dispositivi potrebbe essere stata decisa dopo l’assassinio di Fuad Shukr, il numero due del movimento, il 30 luglio scorso, un enorme smacco per Hezbollah perché ha rivelato la capacità di penetrazione di Israele ai livelli più alti della catena di comando. In un anno di guerra, gli israeliani hanno individuato e ucciso 400 membri dell’organizzazione, decine di comandanti. Shukr era un fantasma, vicino al leader Nasrallah. Non usava il telefono cellulare da anni, la famiglia non conosceva i suoi spostamenti. È stato centrato da un missile al terzo piano di una palazzina a Dahieh, Beirut Sud, secondo alcune fonti anche grazie ai telefoni della sua scorta.Il movimento libanese ha da tempo messo al bando gli smartphone: «Buttateli, seppelliteli», tuonò Nasrallah a febbraio. I leader non li hanno, usano corrieri e messaggi in codice per comunicare. Molti operativi invece utilizzano i cercapersone e l’attacco di ieri voleva piegare proprio i quadri intermedi del movimento. «Questo nemico perfido riceverà la giusta punizione», promette ora Hezbollah. È presto per capire se il sabotaggio cambierà l’equazione della guerra che Israele e il gruppo libanese combattono da un anno. Hezbollah non vuole un conflitto aperto che danneggerebbe le sue capacità militari e il consenso già declinante del movimento. Non lo vuole l’Iran, interessato a proteggere il suo asset più pregiato. Non lo vogliono gli Usa, che hanno chiarito di non essere stati messi al corrente di alcuna operazione invocando ancora un accordo sul fronte Nord. Ma il cambio di passo di Israele potrebbe essere inevitabile. Per Hezbollah a quel punto ci sarebbe una sola risposta: allargare il fronte.