Corriere della Sera, 18 settembre 2024
Eni-Nigeria, chiesti 8 mesi per i pm milanesi
Presi dal voler «vincere a tutti i costi il processo Eni-Nigeria», l’allora procuratore aggiunto milanese Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro si sono posti «in insanabile contrasto con il ruolo del pm, organo di giustizia indifferente agli esiti del processo»: perciò la Procura di Brescia ne chiede la condanna a 8 mesi (non sospesa per pericolo di reiterazione nel loro lavoro) per «rifiuto d’atto d’ufficio», non avendo voluto nel febbraio-marzo 2021 mettere a conoscenza degli imputati gli elementi (segnalati dal pm Paolo Storari da gennaio in mail al capo Francesco Greco e alla vice Laura Pedio) «utili e pertinenti a valutare la (in)attendibilità» dell’accusatore di Eni e coimputato Vincenzo Armanna.
Per i pm bresciani Donato Greco e Francesco Milanesi il punto non è se avesse ragione Storari (come poi ha avuto) a cogliere le chat contraffatte da Armanna e i suoi taciuti rapporti economici con due testi nigeriani, perché «l’obbligo di depositare quei documenti sussisteva a prescindere dalla personale interpretazione che i pm ritenevano di dare alla rilevanza probatoria», esclusa evocando persino che i servizi segreti avessero alterato dati telefonici per tutelare Eni.
«I due pm si sono ritenuti depositari di una conoscenza enciclopedica, unici a dare l’ultima parola. Tutto può essere, i servizi segreti, gli alieni, l’imponderabile…, ma lo devi argomentare di fronte al tribunale e alle parti, non puoi selezionare tu», peraltro cercando invece di far entrare atti se favorevoli all’accusa: come la richiesta al giudice di Eni-Nigeria, Marco Tremolada, di convocare in extremis Piero Amara, sapendo che aveva verbalizzato una infondata voce sulla «avvicinabilità» dell’ignaro Tremolada.
Dalle ore 15 alle 20.30 il difensore Massimo Dinoia impegna 100 delle 350 pagine di memoria sulla «inattendibilità di Storari, la cui controinchiesta è base di questo processo senza precedenti e irripetibile», ma che «in diritto non sta in piedi». E infatti imposta il perno dell’arringa sul vivisezionare l’accusa per escludere, in scia a un parere pro-veritate dei professori Francesca Ruggieri e Stefano Marcolini, esistesse «una norma imperativa e immediatamente precettiva nell’imporre un obbligo giuridico» prevalente sulla «discrezionalità tecnica dei due pm». Che si fanno scudo più volte di Greco e Pedio: sulla condivisione di alcune valutazioni; sul mese di ritardo di Greco nell’inoltro delle mail di Storari; e anche sulla vicenda Tremolada «in cui la proposta di De Pasquale era invece informare con una lettera riservata il presidente del Tribunale di Milano. Brutto? Irregolare? Forse, ma segno che non voleva far saltare Tremolada».
«La traiettoria balistica della richiesta di ascoltare Amara – replicano i pm bresciani – portava all’astensione o ricusazione o comunque lesione dell’autorevolezza del giudice, risultato messo in conto dai due pm pur di far entrare le dichiarazioni di Amara»