Corriere della Sera, 18 settembre 2024
Il trionfo di Raffaele Fitto
In onore al profilo di ex democristiano moderato, che da qualche decennio si fa vanto di non aver (quasi) mai litigato con nessuno, Raffaele Fitto si dice «tranquillo, come ieri, oggi e domani» e «moderatamente felice». D’altronde il ritornello che ha scandito sin qui la sua lunga carriera politica suona più o meno così: «Mai esaltarsi troppo per i successi e le vittorie, per non rischiare il crollo nei momenti negativi».
Nel giorno in cui il suo smartphone si è riempito di complimenti, arrivati via whatsapp anche da tanti esponenti del centrosinistra, il ministro di FdI promosso commissario e vicepresidente esecutivo fa scongiuri e ancora non festeggia: «Adesso bisogna arrivare in fondo...». Brinderà solo dopo aver passato l’audizione, per la quale studia e ripassa compulsivamente da mesi i dossier europei in inglese. Perché sa bene che socialisti, verdi e liberali lo metteranno sotto torchio. «Sei sicuro che saranno spietati con me?», ha sdrammatizzato rispondendo a un compagno di partito.
Nel corso della sua lunga carriera l’ex «Bambino» della politica pugliese, che esordì a 19 anni dopo la morte del padre Salvatore, ha collezionato più ricuciture che strappi, nel nome del democristianissimo principio «la corda non va mai tirata fino in fondo». L’unica rottura che la memoria non può offuscare è quella con Silvio Berlusconi, anche se, come lui stesso ha tante volte ricordato, «poi ho recuperato». Se dovesse definire il suo rapporto con la presidente della Commissione pescherebbe dal vocabolario l’aggettivo «ottimo». Da quando, nel 2019, lui era copresidente del gruppo dei Conservatori e von der Leyen incontrava i capigruppo a Strasburgo una volta al mese.
«L’esperienza di lungo corso di Fitto potrà essere di aiuto per le politiche di crescita e gli investimenti», lo ha gratificato a caldo la presidente Ue. L’incarico che lei gli ha affidato dopo settimane di alti e bassi e trattative incandescenti lo ha «onorato» e il commissario italiano incaricato l’ha ringraziata pubblicamente «per la stima e la fiducia». Aver rafforzato le sue deleghe con una vicepresidenza esecutiva è «un grande riconoscimento per l’Italia». E Fitto promette che, se passerà l’esame, eserciterà il ruolo «con il massimo impegno e nel pieno rispetto dei Trattati e del loro spirito, nella consapevolezza che i prossimi cinque anni saranno fondamentali per il futuro dell’Ue e dei suoi cittadini».
Una delle novità più rilevanti, rispetto alle attese, è che Fitto dovrà gestire i fondi dei Pnrr dei 27 Paesi in condominio con il ministro europeo per l’Economia e la produttività, il veterano della squadra Valdis Dombrovskis. Il Pd parla di «sconfitta per la premier e per l’Italia» e sottolinea come Fitto non abbia ottenuto le deleghe che Giorgia Meloni voleva. Lui invece, se pur fosse deluso, non lo darebbe mai a vedere. Perché la sola delega alla Coesione vale 400 miliardi di soldi a fondo perduto nella programmazione 2021-2027 e altrettanti in quella 2028-2034 e perché pensa che Ursula von der Leyen sia riuscita a trovare un «equilibrio intelligente» tra falchi e spendaccioni: un commissario del Nord che garantisce gli Stati frugali e uno del Sud, più aperto all’idea di fare nuovo debito comune.
La giornata che sognava da mesi, Raffaele Fitto l’ha trascorsa tra il suo ufficio al ministero e Palazzo Chigi, dove ha commentato con la leader di FdI il «risultato gigantesco», ha incassato l’applauso dei colleghi di governo nel chiuso del Cdm e presenziato alla cerimonia dell’Accordo di coesione con la Campania. Una firma che ha messo fine al clamoroso scontro con il presidente della Regione, Vincenzo De Luca.
Adesso il problema di Giorgia Meloni è il dopo Fitto, che comporterà un altro tassello del rimpasto avviato con Giuli al posto di Gennaro Sangiuliano alla Cultura. Il dilemma, che la premier fatica a risolvere, è trovare ora un ministro per il Pnrr e un paio di sottosegretari a cui affidare Affari europei, Coesione e Sud.