Il Messaggero, 17 settembre 2024
La doppia mossa di Macron: rafforzare il governo Barnier e contare di più in Europa
Tutto è bene quel che finisce bene: è questa l’interpretazione che l’Eliseo voleva far passare ieri dello “switch” di commissari francesi a Bruxelles. Via Thierry Breton, dentro Stéphane Séjourné. Exit il commissario francese uscente che Emmanuel Macron aveva ricandidato in fretta e furia il 25 luglio, durante la tregua politica decretata per le Olimpiadi: potrebbe essere più utile come Ministro a Parigi nel nascente governo di Michel Barnier che come Commissario del futuro esecutivo von der Leyen, con la quale i ponti sono rotti da tempo. Lascia invece Parigi e il ministero degli Esteri (dove non si è distinto per un’attività frenetica) Stéphane Séjourné: lui al contrario potrà essere più utile a Bruxelles, dove Macron ha interesse a piazzare una personalità di comprovata fedeltà e non invisa a Ursula. Così almeno assicurava ieri una fonte dell’Eliseo, confermando che nuova nomina e esonero sono stati decisi tra Macron e von der Leyen: «La posta in gioco è sempre stata quella su che tipo di portafoglio avere. Da quello, cioè il ruolo, deriva il nome. Thierry Breton ha preso atto del risultato di queste discussioni e ha presentato le dimissioni. È in questo contesto che è arrivata la scelta di Stéphane Séjourné. Le discussioni in realtà sono andate avanti per tutta l’estate e a un certo punto è apparso chiaro che per avere il portafoglio europeo che il presidente voleva che fosse attribuito alla Francia era necessario avere una personalità che avesse tutta la fiducia del presidente francese ma anche della presidente Ue». Macron avrebbe dunque sacrificato Breton per avere un dicastero di ampio perimetro e anche la vice presidenza della commissione: a Séjourné dovrebbe andare un portafoglio che comprende il mercato interno, ma anche la sovranità economica e industriale dell’Europa, temi cari a Macron fin dal suo solenne discorso della Sorbona del 2017 sullo stato dell’Unione. Da vice presidente, Séjourné andrebbe a coordinare quattro commissari (Ricerca, Commercio, Affari Economici e Servizi finanziari) e piloterebbe direttamente il futuro «fondo per la competitività» annunciato da von der Leyen il 18 luglio. Alla vigilia della nomina (sofferta) del nuovo esecutivo di Barnier, ha sicuramente pesato nella decisione di Macron anche la volontà di dimostrare che l’Europa e la politica estera restano saldamente prerogativa del presidente. Il neo premier ha comunque fatto sapere che la decisione di inviare Séjourné a Bruxelles al posto di Breton è stata presa di comune accordo tra Eliseo e palazzo Matignon. Mancano in compenso conferme di un arrivo di Breton nel nuovo governo, anche se nessuno ieri si sentiva di negare che sarebbe un perfetto candidato per guidare l’Economia e le Finanze, soprattutto nella delicatissima e imminente fase di approvazione della manovra finanziaria. «Non c’è nessuna decisione» diceva ieri sera un fonte vicina a Barnier, sottolineando comunque che il neo premier e Breton «si conoscono da lungo tempo e si stimano». Per il presidente della Fondazione Robert Schuman, Jean-Dominique Giuliani, la non conferma di un commissario come Breton, che a detta di tutti ha svolto egregiamente il proprio compito a Bruxelles, testimonia in realtà l’indebolimento di Macron in Europa dopo i risultati punitivi delle elezioni in Europa e in Francia. Non sono mancate le critiche in casa, in particolare dalle opposizioni: «Macron invia un suo clone alla Commissione senza consultare nessuno e in spregio del voto dei francesi» ha commentato Manon Aubry della France Insoumise. Ironico il comunista Ian Brossat: «tranquilli, perdete le elezioni, ma continuate a guadagnare incarichi» All’estrema destra, l’eurodeputato Thierry Mariani ha denunciato «l’arte di riciclare i baroni macronisti» mentre il suo collega del Rassemblement National in Parlamento Laurent Jacobelli si è accontentato di presentare al pubblico «la nuova République degli amichetti».