il Giornale, 17 settembre 2024
Tanti auguri, Reinhold Messner
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uello che avete sentito o letto su Reinhold Messner è tutto vero, anzi: è più vero e drammatico di quanto forse immaginate. In genere le leggende viventi e i «più famosi del mondo» scontano esagerazioni celebrative e caricature romanzate dei loro primati, nel caso di Messner no, è lui ad aver dovuto scontare gli scetticismi e le invidie per un personaggio davvero Controvento (titolo della sua ennesima uscita editoriale per Corbaccio) e che è stato davvero, come è scritto sulla copertina di alcuni suoi libri, Oltre il limite, Everest solo, Sopravvissuto, Il re dei ghiacci, Solitudine bianca e soprattutto La montagna a modo mio.
Molte sue imprese hanno impiegato anni per essere riconosciute: per poi magari essere liquidate anni dopo come assodate o come notizie vecchie. Esempio: Messner andò per primo sul Everest senza ossigeno (con Tony Habeler) e lo fece quando tutta la scienza mondiale aveva prestabilito che non fosse possibile: ripetiamo, tutta. Messner si era limitato a provarci (riuscendoci) anche se, prima di farlo, si era fatto portare da un aereo non pressurizzato a 9mila metri per vedere se avrebbe perso i sensi: non li perse. Ma, anche dopo l’incredibile ascesa, lo accusarono di aver utilizzato di nascosto delle mini-bombole: allora lui, per mettere a tacere le polemiche, raggiunse di nuovo la vetta dell’Everest in periodo monsonico (cosa mai rifatta) in solitaria, e sempre senza ossigeno. Impiegò 4 giorni, senza aver preallestito campi di alta quota, precipitò pure in un crepaccio. Salì da solo anche sul Nanga Parbat, una montagna gigantesca: il Monte Bianco ci starebbe dentro quaranta volte, l’Everest un paio, ma soprattutto i suoi campi base sono distantissimi dalla vetta; il campo base avanzato dell’Everest, per dire, è a 6.200 metri e ci puoi arrivare in scarpe da ginnastica, ma per raggiungere la stessa quota, sul Nanga, devi aver già scalato 2.200 metri di dislivello. Nel 1970, otto anni prima, il mondo ottuso dell’alpinismo non aveva creduto che avesse scalato col fratello Ghunter la parete Rupal dello stesso Nanga Parbat (parete più lunga del mondo, 4.500 metri verticali, impresa mai ripetuta) sinché non trovarono i suoi guanti in vetta, nascosti sotto un sasso; Messner a margine della disperata discesa perse 7 dita dei piedi e alcune falangi delle mani: dovettero amputare per via dei congelamenti. E poi, per 30 anni, fu accusato ignobilmente d’aver abbandonato il fratello in vetta: sinché nel 2000 ne fu ritrovato un osso e nel 2005 il corpo (ciò che ne restava) esattamente là dove Reinhold aveva indicato.
Messner ha inventato o reinventato l’alpinismo un po’ come fece Steve
Jobs coi prodotti Apple: non ha concepito certe cose come primo assoluto, ma le ha sviluppate e rese possibili. Un tempo le scalate erano affrontate con grandi spedizioni finanziate dai governi con l’aiuto di centinaia di portatori e settimane di approccio; la prima scalata hymalaiana in stile alpino (senza portatori, senza corde fisse, senza bombole, senza campi) la fece il mitico austriaco Hermann Buhl, ma furono le salite leggere di Messner a dare notorietà a questo modo di affrontare la montagna. Messner ha inventato l’alpinismo professionista e quindi gli sponsor, i libri, i film, le conferenze, ciò che l’ha reso ricco sfondato: per la prima parte della carriera però fu anche l’unico modo per finanziarsi le spedizioni. Anche Walter Bonatti aveva inaugurato la narrativa coi libri e i reportage su Epoca, ma, già lì, non era più un alpinista, e non si è mai arricchito. Bonatti era l’alpinista prediletto di Messner assieme a Hermann Buhl, che pure morì giovanissimo nel 1957 senza che il corpo fosse mai ritrovato.
Messner poi fu ufficialmente il primo che scalò un VII grado (ma chi può dirlo?) dopo aver rivalorizzato la salita «libera» rispetto agli ancoraggi che martoriavano le montagne. Per tutti Messner è «il primo uomo a scalere tutti i 14 ottomila», ma oggi è forse la cosa che impressiona meno, anche considerando che il secondo a riuscirci fu quel mostro polacco di Jerzy Kukuczka che non ebbe mai un grande riconoscimento anche se ha salito le stesse vette in metà tempo (lui 8 anni, Messner 16) e ha aperto vie di difficoltà maggiore scalando anche in inverno con attrezzature poverissime. Ma Kukuczka, come Buhl, morì in Himalaya due anni dopo: si spezzò una corda usata che aveva comprato a Kathmandu. In tempi più recenti, lo svizzero Ueli Steck (probabilmente il veloce mai visto) è morto a 41 anni cadendo dal Nuptse, sempre in Himalaya. Altri due giovani mostri, gli austriaci David Lama e Hansjorg Auer (28 e 35 anni) sono stati travolti da una valanga in Canada. E, mentre il bergamasco Walter Bonatti si è ritirato a 34 anni dopo la Nord del Cervino in invernale (è morto a 81 anni di malattia), Messner non salì più niente di impegnativo dopo i 42 anni. Infatti, proprio oggi, Messner di anni ne compie ottanta, ed ecco quello che tanti alpinisti non gli perdonano: essere riuscito persino a invecchiare