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 2024  settembre 17 Martedì calendario

Piergiorgio Paterlini racconta l’omosessualità oggi

Una nuova edizione trentatré anni dopo perché «tutto è cambiato e niente è cambiato».
Piergiorgio Paterlini, scrittore, giornalista, tra i fondatori diCuore , riporta in libreria, stavolta con Einaudi, il suo Ragazzi che amano ragazzi : quattordici storie di adolescenti omosessuali che Paterlini ha intervistato per ore. Invisibili che sono diventati personaggi letterari. E dunque eterni. «A fine anni Ottanta ci si era già accorti che c’erano adolescenti omosessuali, ma erano tutti o prostituti o morti. Suicidi. Mi son detto: ci saranno anche quelli vivi e che non si prostituiscono.
Raccontarli significava dare loro la possibilità di vivere, il primo dei diritti, che non si cita mai».
Un libro che ha venduto 20 mila copie nei primi due mesi, ristampato una ventina di volte, passato di mano in mano: un classico «militante», suo malgrado.
Paterlini, non è cambiato niente?
«Il cambiamento è tutto nella copertina di questa nuova edizione che ha realizzato un fumettista bravissimo, Cammo, Giuseppe Camuncoli».
Ci sono due ragazzi di spalle che si tengono per mano.
«Per trent’anni in copertina ci sono state due magliette che si abbracciavano: davano insieme il senso della tenerezza, della normalità, dell’amore ma anche della totale invisibilità. Adesso, e la cosa mi commuove, abbiamo messo i corpi dentro a quelle t-shirt: vedi le nuche però sai che lì ci sono due persone in carne e ossa. L’illustrazione ci dice che abbiamo fatto passi avanti, ma non così tanti da mostrare i due ragazzi in volto».
Le associazioni, il Pride, le unioni civili, che peso hanno?
«Trent’anni fa era tutto diverso.
Pensiamo anche soltanto al fatto che non c’erano i telefonini: una cosa è uscire e chiamare chi vuoi, un’altra dover parlare dal tinello di casa. Le unioni civili allora non erano neanche immaginabili.
Negli anni ho dovuto chiedermi: ma allora perché c’è ancora tanto dolore, tanta solitudine?».
Lei è stato il primo in assoluto a unirsi civilmente.
«Marco e io ci siamo presi dei diritti sacrosanti. Ma al prezzo di accettare che per la prima volta uno stato laico certificasse nero su bianco che siamo un po’ uguali ma non proprio uguali uguali. Gli etero si sposano, noi ci uniamo civilmente. Gli etero mettono su famiglia, la nostra la chiamano “formazione sociale”.
Farebbe ridere se non facesse piangere».
Eppure oggi all’apparenza è tutto più facile.
«Apparentemente. Ma so, perché in questi anni, da quando è uscita la prima edizione, ho ricevuto più di 10 mila lettere,che la prima volta che un ragazzo si guarda allo specchio e dice a se stesso di essere gay il trauma è ancora assoluto e si sente l’unico al mondo anche se magari sotto le sue finestre in quel momento sta passando il Pride».
Perché?
«Per il tabù imposto soprattutto dalle religioni monoteiste, un tabù tremendo perché ha a che fare con religione e sesso, questo è il grumo. Tremila anni di storia contro trent’anni. Io speravo,quando l’ho scritto, che questo libro sarebbe diventato vecchio dopo pochi anni. E invece no. Ma appunto non bastano trent’anni e neanche cinquanta a sgretolare un tabù così».
A destra sta tornando un linguaggio reazionario contro le differenze.
«Il problema è ancora confondere normalità con maggioranza: la normalità, in qualsiasi ambito, è fatta di maggioranza e minoranza».
I progressisti?
«Vedo delle cose che mi turbano. Per esempio quando qualcuno si esalta perché un Papa in aereo dice “accogliamo” o “diamo la benedizione”. Intanto però il matrimonio egualitario mai.
Dovrebbero incazzarsi invece, no?».
Equivoci pericolosi: se uno è gay si vede.
«Macché, non c’è un display sulla fronte. Il problema è ancora e soprattutto nel linguaggio.
Parliamo, e quindi pensiamo, come se tutti quelli che abbiamodavanti fossero eterosessuali. Io parlo spesso con i ragazzi, vado in tantissime scuole. Uno di loro mi ha detto che l’ho messo in crisi. Non era certo omofobo ma era abituato a dire ai suoi amici: “stasera dove andiamo a rimorchiare le ragazze?”. E solo dopo che ha parlato con me ha capito che poteva essere una gaffe, che uccide, ti nega, ti cancella.
Bisogna far passare nel linguaggio quotidiano il fatto che sappiamo che i gay esistono. E che quindi uno possiamo avercelo davanti in quel momento. Questa sarebbe una vera rivoluzione».
Da dove si comincia per la rivoluzione?
«Ribaltando il coming out.
Faccio un esempio che è più facile. Se un prof entrasse inclasse e dicesse che per lui è assolutamente normale che ci siano ragazze e ragazzi gay tra i suoi studenti, avete idea del peso enorme che toglierebbe dalle spalle di molti di loro? E se lo stesso accadesse in parrocchia, nei centri sportivi, in famiglia?».
Lo schwa?
«L’ho usato, adesso ho un po’ smesso, mi sono interrogato più a fondo e mi sono detto che devo capire cosa penso».
Come li vede i ragazzi gay di oggi?
«Io credo che oggi vivano o nel futuro — cioè nella società che desideriamo — o nel passato: domani o ieri. Nessuno sembra appartenere all’oggi. Questo è abbastanza normale nelle fasi di transizione. Ma da noi le transizioni durano cinquant’anni e allora si chiamano palude».
Come mai nel libro non ci sono anche storie di ragazze lesbiche?
«Ai tempi mi sono interrogato: posso dare voce a una donna? E mi sono detto di no. Oggi lo farei».
Sente ancora qualcuno degli adolescenti che intervistò?
Come li rintracciò?
«Col passaparola perché per definizione era un libro impossibile: come trovare gli invisibili? Sparsi come un disperato la voce che stavo lavorando a questo progetto e lasciai il mio numero di telefono, fisso ovviamente. Per mesi non accadde nulla. Poi cominciai a trovare i primi messaggi in segreteria.
Sono ancora in contatto con alcuni di loro. Ma non mi ricordo mai che sono gli stessi ragazzi del libro, perché in effetti non lo sono. Non perché sono cambiati ma perché adesso per me, come per qualsiasi lettore, sono personaggi che posso incontrare solo sulle pagine».
Paterlini, fra trent’anni sarà necessaria l’ennesima edizione?
«Non un’altra edizione, un altro libro. Magari prima di tre decenni. Qualcuno lo scriverà».f
Il problema è confondere normalità con maggioranza: la normalità, in qualsiasi ambito, è fatta di maggioranza e minoranza