la Repubblica, 17 settembre 2024
Azioni e scritti di Ryan Wesley Routh, l’attentatore di Donald Trump, sono un catalogo manicheista di lotta armata,
Un po’ Capitan America, un po’ Dottor Stranamore ma sempre con la convinzione che la democrazia vada imposta con la violenza. Azioni e scritti di Ryan Wesley Routh, l’attentatore di Donald Trump, sono un catalogo manicheista di lotta armata, dove il Bene deve sconfiggere il Male a costo «di radere al suolo Mosca», invocando che all’Ucraina venissero fornite testate atomiche per realizzare questa missione purificatrice. Non esiste il grigio, ci sono solo «il bianco e il nero» e ovviamente decide lui chi è nel giusto, leader e popoli inclusi. Gli ultimi anni della vita di questo piccolo imprenditore edile cinquantottenne sono un delirio di militanza antidittatoriale che in fondo sembrano mirati a conquistare un posto da protagonista nella Storia: «Gradirei in maniera tremenda l’invito a partecipare a qualsiasi causa monumentale che porti un vero cambiamento nel nostro mondo», ha scritto su Linkedin.Più difficile fare luce sul passato del cecchino fai-da-te, che da un quarto di secolo appare denso di arresti senza mai una condanna penale o una detenzione. Nel 2002, quando la polizia lo ha fermato in auto a un semaforo, si è barricato per tre ore in un palazzo tirando fuori “un’arma di distruzione di massa” ossia un mitragliatore fully automatic: uno dei pochi fucili che persino negli Usa sono considerati pericolosi. E ci sarebbero pure altri precedenti per esplosivi e moschetti, tutti finiti senza pene. Un’immunitàche è destinata ad alimentare le congetture dei complottisti, già pronti a interpretare e dividersi su ogni dettaglio della biografia di Routh a partire dal fatto che nel 2016 avrebbe votato Trump per poi detestarlo e trasformarsi in fan di Biden&Harris.Il capitolo più controverso è anche il più documentato: l’impegno per la resistenza ucraina. Dopo l’invasione russa, il costruttore di “casette low cost al servizio dei più deboli” parte dalle Hawaii per Kiev e cerca in tutti i modi di ottenere visibilità. Indossa una t-shirt e una bandana a stelle e strisce; issa una tenda sulla piazza principale e presenzia a ogni evento: viene ripreso in lacrime durante una manifestazione delle mogli dei soldati della Azov, brigata che non è un modello di valori democratici. Nell’aprile 2022 il giornalista Sebastian Leber del Tagesspiegel ci mette poco a comprendere di avere davanti una persona disturbata: «Bisogna cancellare Mosca dalle mappe prima che Putin distrugga Kiev – gli dice -. E se nessuno ha il coraggio di farlo, io sono pronto a premere il grilletto». Vuole «lottare e morire» ma è sintomatico che non riesca ad arruolarsi nella Legione Internazionale che combatte al fianco degli ucraini: nel giro di qualche mese i rappresentanti ufficiali dell’organizzazione pubblicano sui social avvisi che mettono in guardia sui piani spericolati di Routh. Il più ardito arriva fino alNew York Times: ingaggiare gli ex militari afghani addestrati dagli americani ed espatriati per fuggire ai talebani. Tramite un ex marines ne contatta alcuni che si trovano in Pakistano in Iran e spiega di volerli portare in Europa con passaporti falsi o corrompendo le autorità locali. Quando l’operazione si dimostra velletaria, indossa giacca e cravatta e gira l’Europa in cerca di aerei e tank per le forze ucraine ma non chiude un contratto. Torna a casa, squattrinato e demoralizzato, per ampliare le campagne in nome di «diritti, libertà e democrazia»: si offre come scudo umano a Taiwan e chiede di mobilitarsi per il popolo cinese. Tenta pure di contattare Bob Geldof e Elton John per spronarli a lanciare un concerto in stile “Live Aid” in appoggio agli ucraini.Ma non è un pacifista. Nel suo libro “La guerra che l’Ucraina non può vincere” è ossessivo nell’apologia del tirannicidio: «Tutti riflettiamo sul perché i nostri cervelloni non abbiano semplicemente ucciso Hitler prima e ora sul perché non abbiamo preso l’iniziativa di ammazzare Putin per chiudere questo conflitto». Addirittura chiede scusa al popolo iraniano per le sanzioni decise da Trump: «Sentitevi liberi di assassinarlo ed eliminare pure me per quell’errore (ndr il fatto di averlo votato) e per avere smantellato l’accordo sul nucleare. Nessuno qui negli States sembra avere le palle per far funzionare la selezione naturale o anche quella innaturale». Parole che si sono trasformate in opere, acquistando un fucile e piazzandosi davanti al campo di golf. E lasciando l’enigma di come sia riuscito a sapere quando l’ex presidente avrebbe giocato: un tempismo che fa ipotizzare una talpa interna al Secret Service, il top delle trame.