il Fatto Quotidiano, 16 settembre 2024
Un ricordo di Giancarlo Fusco
Il 17 settembre del 1984 moriva a Roma Giancarlo Fusco, l’ultimo grande cantastorie della letteratura e del giornalismo italiano. Anzi, cantambanco più che cantastorie, nell’accezione di Alessandro Manzoni: “Chi, passando per una fiera, s’è trovato a goder l’armonia che fa una compagnia di cantambanchi”. Hanno detto che la sua vita fu come un romanzo. Ed è vero. Nato a La Spezia il 18 giugno 1915, fu giovanissimo anarchico, soldato nella guerra d’Albania, “duro” a Marsiglia, pugile: “Un maudittroppo pronto a fare di pugni”, come lo definì Gianni Brera. E s’improvvisò ballerino a Viareggio, mentre fu sempre un bevitore smodato di grappa, tanto che la Nardini gli mandava le casse con l’indicazione di un certo “Bar Fusco”.
Formidabile narratore di storie, molte vere e molte verosimili, e rievocatore senza pari di una certa Italia fascista così come quella del dopoguerra, ci ha lasciato un mucchio di articoli (per il Mondo, L’Europeo, L’Espresso, Il Giorno, Cronache, Successo) e alcuni piccoli libri memorabili: Duri a Marsiglia, Quando l’Italia tollerava, Le rose del ventennio, Guerra d’Albania (dove parlò, tra i primi, del massacro dei soldati della Divisione Acqui a Cefalonia), L’Italia al dente, Gli indesiderabili (con uno straordinario ritratto dello scrittore anarchico livornese Ezio Taddei, espulso dagli Usa), La lunga marcia, A Roma con Bubù, Mussolini e le donne.
Lo scrittore Manlio Cancogni, un altro eccellente narratore, lo ricordava così: “Quando parlava, era grande come Tolstoj scrittore”. Narrò di Mussolini, dei gerarchi, dei generali imbelli del nostro regio esercito, ma amava soprattutto scrivere di belle di notte e di ballerine dei night, pugili suonati, malavitosi, avventurieri, nobili decaduti, perdigiorno, sregolati come lui. I bar erano il suo luogo di studio e di vita. Quando ritornava alla Spezia lo si vedeva nei caffé assieme a Giancarlo Marmori e al poeta Gino Patroni (1920-1992), quello di “ed è subito pera”, parodia geniale di un verso di Salvatore Quasimodo. E proprio della prima edizione degli epigrammi di Patroni, per l’appunto Ed è subito pera, stampata nel ’59 a Sarzana da Carpena, Fusco scrisse la prefazione.
Camilla Cederna lo rammentava senza denti, forse per via di un disgraziato incontro di boxe, e con del filo di ferro per cintura, in modo da tenere su i pantaloni. La Cederna, su ordine di Arrigo Benedetti, direttore del settimanale L’Europeo, cercò di farlo vestire in un modo più decente. Altri colleghi raccoglievano soldi per comprargli una dentiera. Quando uscì Quando l’Italia tollerava, un libro sulle case chiuse, o di tolleranza, di un tempo, ne regalò una copia a Giovanni Arpino con questa dedica: “A Giovanni, che non ci veniva, perché la fidanzava (sic) aveva. Da Gian Carlo, che invece ci viveva, perché fuori nessuno gliela dava”.
Forse Fusco, afferma Giuliano Malatesta su Rivista Studio, non sarà stato “‘l’ultimo giornalista libero del nostro Paese’, come lo ribattezzò con un eccesso di enfasi Gianni Bisiach, collaboratore e amico dei tempi romani, ma certamente è stato un fuoriclasse”. Però, come scrisse Natalia Aspesi, ormai “il mondo stava diventando orribile, indescrivibile per la penna arguta e tenera di Fusco”