Il Messaggero, 16 settembre 2024
Quando Pontiggia bocciò il manoscritto di Tabucchi
È un “quarto” Pontiggia ed esce dall’ombra che lo aveva circondato, con un po’ di brusio editoriale e un po’ di gossip inevitabile, grazie ai testi di «Questo libro lo divorerei», 186 pareri di lettura, trenta anni (1971-2001) di consulenza per Mondadori e Adelphi. Il saggista, lo scrittore, l’insegnante di scrittura, e ora il lettore editoriale a volte è anonimo, quasi sempre firma per i referenti, Vittorio Sereni e poi Alcide Paolini alla Mondadori, Roberto Calasso, talora scrive direttamente all’autore. Come Elena Croce per La società letteraria a cui consiglia maggiore cattiveria e indifferenza che servono per rendere meno sfocati i contorni di persone ed esperienze. Il tocco è quello che conosciamo, fatto di pacatezza, entusiasmo quando è necessario, una presenza tangibile e persuasa e non camuffata dietro l’estensore della nota editoriale che precisa: «Non si tratta di riserve sulla qualità del testo, ma di un mancato innamoramento da parte nostra». E all’occasione suggerisce: «Direi un rifiuto possibilmente delicato, come il testo che ci viene offerto». Alcuni futuri Nobel come Modiano e Naipaul non sono nelle sue corde e lo dice senza mezzi termini. Non ama il primo Aldo Busi di Seminario sulla gioventù, «le qualità del narratore, espresse in modo disordinato e discontinuo, non c’è un romanzo riuscito». E la prima Susanna Tamaro di Illmitz che riceve da lui uno dei 28 rifiuti iniziali per i suoi difetti: «Insistita autointrospezione di un protagonista che finisce per diventare una sorta di controfigura ideale in cui trasferire metaforicamente altre esperienze».Loda al contrario il primo Erri De Luca narrativo, scoraggiando con lungimiranza il saggista. Recupera uno scrittore quasi dimenticato, Sergio Tofano del Signor Bonaventura. Respinge le Lettere a Capitano Nemo di Antonio Tabucchi per una sorta di primogenitura, «un libro di qualità, ma, nel suo insieme, non così pienamente realizzato, nel senso della originalità e della compiutezza, da collocarlo nella nostra collana». Ammira la complessità di un poeta come Andrea Zanzotto a cui consiglia «un maggiore coraggio di avvicinarsi al mondo della propria esperienza, con i suoi contorni fisici e materiali e la sua dimensione affettiva». Non lo convince Il curioso delle donne di Bevilacqua, autore comunque che si deve pubblicare perché bestsellerista e prevede per il libro «un discreto successo», smentito poi da fatti che ne faranno un campione di incassi. Formidabile nell’etichettare la modestia letteraria dietro il manto della abbondanza culturale di scrittori supervalutati: «Sono finti, di secondo grado, e sanno diluire i sapori della narrazione in quella pappa omogeneizzata che viene propinata come dieta a un pubblico disappetente, che ha troppi problemi di digestione». Per Daniela Marcheschi, che cura il volume, Pontiggia fa del parere un vero genere letterario. Effettivamente, letti nella loro continuità che è anche una discontinuità nell’approccio – ora quasi telegrafico ora più disteso nell’argomentazione critica/saggio breve con qualche approfondimento tecnico – la voce di Pontiggia è sempre la sua. Riconoscibilissima, accompagna un «viaggio nell’intelligenza e nel cuore la cui meta non il ritrovamento di chissà quale mondo perduto bensì la Verità anche attraverso la Verità degli altri, dei libri». E il “quarto” Pontiggia, ora a pieno illuminato, anche umile e mai umorale lettore dl libri che gli piacciono e non gli piacciono facendo ove possibile far coincidere il suo giudizio con il pubblico che leggerà o non leggerà. Ma potrà sempre dire per giustificare le preferenze: «Aspettarsi un giudizio obbiettivo da me su un libro simile è come chiedere ad un orso cosa pensa del miele». Oppure, con un gesto liberatorio, contrapporre le buone antiche poesie di Diego Valeri allo strutturalismo impettito, alle tautologie semiologiche alle grammatiche metafisiche tanto di moda in quegli anni.