Corriere della Sera, 16 settembre 2024
Mangiatori di gatti? Un disprezzo antico
Trump accusa gli immigrati haitiani di mangiare cani e gatti domestici. È un’abitudine non nuova quella di bollare gli stranieri come mangiatori di carne esotica per amplificare il disgusto nei loro confronti. Il governatore Zaia, durante il Covid, aveva denunciato i cinesi: «li abbiamo visti tutti mangiare i topi vivi o cose del genere…». Tuttavia, in una fotografia scattata a Belluno nel 1917-18, l’«an de la fam», si vede una enorme griglia ad arco con appese decine di ratti ad essiccare. Tutto è relativo a dipendenza degli usi e anche delle necessità (ne sa qualcosa il conte Ugolino). Ci sono popolazioni schifate dall’idea di succhiarsi un ossicino di ratto e altre che non tollerano l’idea della bistecca di maiale. Gli inuit considerano un insulto dei colonizzatori europei essere chiamati «eschimesi», ovvero «mangiatori di carne cruda». Il cibo come arma di disprezzo ha colpito anche i «macaronì» che eravamo noi emigranti. Niente di nuovo sotto il sole. Nel 1992, di fronte alla paventata estinzione delle papere e oche dai laghetti del Parco Nord di Milano, un assessore se la prese non con l’inquinamento ma con la fame dei migranti, invitandoli a «ciapà el camel» e «turnà a cà». Più o meno l’invito rivolto negli anni 60-70 dagli svizzeri agli italiani «maia-ramina», cioè mangiatori clandestini di rete metallica, quella del confine. Non mangiatori di topi, dunque, ma topi. O cose del genere.