Corriere della Sera, 16 settembre 2024
Biografia di Alaudinov Apti
Laureato in giurisprudenza a 27 anni, responsabile anti mafia a 33, sottosegretario agli Interni a 38 e poi capo della Polizia fino ai 47: pare la carriera di un esperto di ordine pubblico. E invece è il volto della riconquista di Kursk per conto del Cremlino.
L’uomo si chiama Alaudinov Apti, è bravo con i social media e a parlare in tv. Nei primi giorni dell’invasione ucraina a Kursk aveva rassicurato i russi. «Che problema c’è? Prendete i pop corn e tra qualche giorno li vedrete scappare a gambe levate». È passato un mese e mezzo, gli ucraini sono ancora lì e i pop corn sono freddi.
Sapendo che è ceceno e che il suo capo è Ramzan Kadyrov, uno che dava gli oppositori in pasto alle tigri, si può immaginare che il generale Apti sia ferrato in interrogatori e torture, ma quali capacità ha sviluppato per pianificare movimenti di tank, jet e logistica? Il grado di maggiore generale dell’esercito russo ottenuto nel 2022 sembrerebbe adeguato, ma Apti è la personificazione del disastro organizzativo della macchina bellica di Vladimir Putin.
Apti comanda i «Kadyrovtsy», le (presunte) forze speciali che il presidente ceceno Kadyrov mette a disposizione dell’amico e finanziatore Vladimir Putin per vincere in Ucraina. Si tratta di quattro battaglioni chiamati Akhmat (dal nome del padre di Ramzan). Secondo le testimonianze dei soldati russi catturati da Kiev, il loro compito principale è impedire all’esercito regolare di abbandonare le trincee. Sparandogli. A essere generosi una sorta di polizia militare, qualcosa di cui Apti potrebbe in effetti essere esperto.
Pare che i «Kadyrovtsy» siano stati coinvolti anche in alcune battaglie in Ucraina, ma i loro video su TikTok sono sospetti di essere spettacoli acchiappa clic. Il salto di qualità nelle ambizioni militari dei battaglioni coincide con la nomina dell’ex funzionario dell’Interno Apti alla loro testa, un anno fa. La liberazione di Kursk è la sua prova del fuoco.
L’ascesa di un uomo della sicurezza interna nei ranghi dell’esercito è il sintomo della feudalizzazione della guerra russa. Una miriade di unità private girano attorno all’esercito regolare. A volte fungono da supporti logistici; altre, come i detenuti arruolati dall’agenzia Wagner, carne da cannone; altre ancora vere truppe specializzate. Ma tutte sottraggono risorse alle forze armate regolari senza un coordinamento reale. Non importano gli sprechi e le inefficienze, basta che nessuno diventi più potente di zar Vladimir. In fondo sia gli uomini di queste formazioni satellite sia i «politici» che incassano i finanziamenti del Cremlino hanno ideologie diverse, ma è il denaro a tenerli assieme. Quelli della Wagner di Evgenij Prigozhin erano ipernazionalisti, col mito della morte, drogati di pericolo e potere. Le esecuzioni dei disertori trasmessi online lasciano ancora sgomenti.
Chi combatte assieme al generale Apti ha lo stesso atteggiamento con in più la colorazione religiosa dell’Islam. «Non chiedetemi di liberare i ceceni prigionieri degli ucraini – dice Apti alle madri —. Dovevano morire invece di alzare le zampe. Non meritano di vivere». Oppure: «l’Ucraina ha già perso perché Dio ama la Russia. E chi muore per la Russia va direttamente in paradiso. Allah Ahbar», Dio è grande.
Più che uno stratega, Apti pare un abile arruolatore di fanatici o disperati in cerca di soldi. Lasciare a lui la vetrina di Kursk è un azzardo anche per la capacità di Putin di assorbire perdite pur di difendere la sua poltrona