La Lettura, 15 settembre 2024
Credere in Dio è solo un inganno del cervello che si nutre di endorfine
Famoso per il «numero di Dunbar», quel limite di 150 persone tra le quali è più naturale che si sviluppi un coeso gruppo sociale, Robin Dunbar è uno psicologo evoluzionista, professore emerito dell’università di Oxford, autore di opere di riferimento. Il settantasettenne britannico è un pioniere della ricerca sul fenomeno religioso con gli strumenti delle scienze cognitive. Nel 2022 ha riassunto le sue ricerche in un libro che esce ora in Italia con il titolo Come la religione si è evoluta e perché continua a esistere,. L’autore dialoga online con «la Lettura» dalla sua casa nei pressi di Liverpool.
Per spiegare la religione, secondo lei, dobbiamo partire dalla «postura mistica». Di che si tratta?
«È ciò che si sperimenta in stato di trance. Quando ci si sente parte di una mente più grande. Le grandi religioni del mondo parlano di uno sprofondare nella mente di Dio. È un’eccezionale esperienza magica che avviene nella nostra mente, nel nostro cervello. Si ha la sensazione si spostarsi dal piano del mondo fisico a un piano differente, più alto, spirituale».
Perché la «postura mistica» sarebbe cruciale per l’evoluzione della religione?
«A un certo punto gli uomini si sono chiesti cosa significasse quell’esperienza mistica. Le spiegazioni hanno preso la forma di un universo spirituale diverso da quello fisico. Di lì s’arriva alle teologie. All’immersione nella mente di Dio».
Nel libro ha un ruolo chiave la neurobiologia, in particolare la produzione di endorfine con i conseguenti benefici, anche per il sistema immunitario.
«Nelle culture sono nati diversi modi di accedere alla trance che liberano endorfine. I nativi delle pianure nordamericane mettono il corpo sotto stress con il freddo o il caldo. Gli indigeni del Sud America ricorrono alle piante. In Asia si usa il controllo del respiro. I riti religiosi hanno il fine di innescare il sistema endorfinico».
Si sarebbero evoluti così diversi tipi di religione.
«Già l’uomo di Neanderthal aveva il senso dell’esistenza di un mondo spirituale, sperimentato con la trance nella profondità delle caverne. Da lì l’uomo ha tratto una religione animista».
Quella che lei chiama «religione sciamanica», «immersiva».
«Che poi, circa 8 mila anni fa, è a sua volta evoluta nella teologia politeista in cui c’è il dio del fiume, del bosco, della montagna, oppure, nelle versioni più sofisticate dei Greci e dei Romani, il dio della guerra, dell’agricoltura, dell’amore».
Era nata una nuova religione, che lei definisce «dottrinale», «teologica».
«Ma la religione animista non scompariva: sopravviveva nella nuova religione. Che era però più capace di mobilitare le persone nei riti con regolarità, dunque di rafforzare il legame sociale».
Quei riti erano per lo più sacrifici.
«Gli dei tendono ad essere vendicativi. Interessa loro soltanto che gli uomini compiano i sacrifici necessari. È una versione punitiva della religione. Funziona dall’alto in basso, un po’ come la polizia che fa rispettare le regole».
Poi vi fu una seconda fase delle religioni teologiche, dottrinali. Nacquero le grandi religioni che conosciamo ora.
«Le religioni abramitiche, ma anche l’induismo e il buddhismo. I nuovi dei si interessano dell’essere umano, del suo futuro. Si sviluppa una religione dal basso verso l’alto che combinata con la vecchia religione dall’alto in basso rappresenta un modo molto più potente di indurre le persone a comportarsi bene. Ecco i Dieci Comandamenti».
Il cambiamento avvenne tra 3 mila e 2 mila anni fa.
«Dal primo ebraismo, ancora in gran parte fatto di sacrifici a un dio arrabbiato, all’ebraismo dopo Salomone, fino alla nascita dell’islam».
Fu una svolta globale.
«In una piccola finestra di 1.500-2 mila anni, nascono nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, in India, in Cina, le grandi religioni che conosciamo oggi».
Alla finestra temporale corrisponde una fascia geografica altrettanto delimitata.
«Tutto avviene nella ristretta fascia latitudinale della zona subtropicale settentrionale che si trova immediatamente sopra i tropici. Dodici gradi di latitudine».
C’è una spiegazione?
«La demografia. In precedenza quella fascia era stata estremamente prospera. Il Nilo era dieci volte quello di oggi. Si produceva vino nel Sahara. La popolazione esplose. Fu necessario riorganizzare la società in modo da proteggersi dalle minacce esterne come incursioni e razzie. L’esigenza si fece ancora più impellente quando all’improvviso, quattromila anni fa, smise di piovere. In trecento anni il Sahara si seccò. Vi furono massicce migrazioni».
A tutto ciò risposero i monoteismi.
«Grazie alla loro spinta dal basso verso l’alto i monoteismi consentono ai popoli di stare uniti».
Cosa c’è di nuovo nella sua ricostruzione rispetto a quanto sapevamo già?
«Da una quindicina d’anni si cerca di comprendere la religione dal punto di vista psicologico, cioè evoluzionistico. È stata molto influente l’interpretazione di quanti, come Richard Dawkins, sostengono che la religione non ha una funzione, che è solo una cosa negativa, contro il nostro interesse».
Lei la pensa diversamente.
«Gli studiosi non comprendono bene l’evoluzione, soprattutto dei primati. Sfugge loro che soprattutto nelle specie sociali come l’uomo l’evoluzione risponde al bisogno dei gruppi di stare insieme in modi benefici per gli individui. La funzione della religione per me è proprio questa: consentire una vita di comunità che risolva i problemi degli individui».
Torniamo al ruolo delle endorfine.
«Ridere, danzare, cantare, mangiare insieme, raccontare storie, tutto ciò sollecita il sistema endorfinico. I riti religiosi sono uno strumento per edificare comunità, soprattutto grandi comunità nelle quali è forte lo stress della convivenza. Non avremmo avuto bisogno di religione se fossimo vissuti in piccoli gruppi come le scimmie».
Com’è accolta dai teologi la sua teoria?
«Temevo che sarei stato oggetto di una fatwa. (Ride). Ma ho avuto molte reazioni positive dalle grandi chiese cristiane».
Anche da Roma?
«Nel 2009 fui invitato dall’Università Gregoriana a una conferenza su Darwin. Era il bicentenario della nascita. Parlai di quello che sarebbe diventato il mio libro. Alcuni preti inglesi di Hartford seduti dietro di me mi dissero che nelle tre messe della domenica i loro parrocchiani si dividevano in gruppi di circa 150 ciascuno, esattamente come nel mio calcolo».
Vi è sempre nella religione il bisogno di tornare al piccolo gruppo.
«Basta pensare alle divisioni dei primi tempi del cristianesimo. La religione è un fenomeno di piccola scala, disegnata per aggregare piccoli gruppi, idealmente di 150 persone. Le mega religioni dottrinali non hanno mai davvero risolto questo problema».
Quali religioni ci riserva il futuro?
«Dipenderà dalle circostanze. E non possiamo predire le circostanze future».
Per ora dobbiamo misurarci con grandi religioni contrapposte.
«La religione fa cose molto positive per le persone, ma c’è anche questo aspetto, noi contro loro. A meno che in futuro una religione non domini, non uccida tutte le altre, e tutti appartengano alla stessa religione».
Si potrebbe pensare a religioni secolari.
«Come l’ambientalismo. Ma non funziona. Proprio perché non è una religione. L’idea può non piacerci ma non c’è niente di meglio della religione per creare un senso di comunità. Magari è meglio il buddhismo, dove non esiste altro che la tua mente, ma anche i buddhisti hanno poi i bodhisattva, i santi che facilitano chi ha bisogno di credere in un dio».
Niente Dio allora? È tutto nella mente? È soltanto il cervello?
«È soltanto il cervello».