La Lettura, 15 settembre 2024
La bolla di ChatGPT si sta sgonfiando
Una premessa: mentre leggiamo questo Pharmako-IA di K Allado-McDowell, edito da Black Coffee nella traduzione di Federico Nejrotti, romanzo scritto dall’autore in collaborazione con l’Intelligenza artificiale (ma sarebbe più corretto dire rete neurale) ChatGPT, stiamo probabilmente vivendo lo scoppio della bolla delle cosiddette «IA generative»: soltanto qualche anno fa, ChatGPT per i testi, Midjourney e compagnia per le immagini, promettevano, con gran clamore della stampa – e oggettiva sorpresa degli utenti, visto che appena arrivate erano davvero nuove e sbalorditive – di cambiare per sempre la nostra relazione con il testo e con l’immagine, e magari pure le nostre vite.
Le cose sono andate in modo un po’ diverso: passata la sorpresa e con essa l’hype, ci siamo resi conto che molte cose che ci venivano promesse (ChatGPT, secondo alcuni video che giravano in Rete, doveva essere in grado di pensare intere attività commerciali, crearne il sito da sola, e poi lanciarle pure sul mercato) non erano reali, che le IA text to text come Chat GPT erano poco più che motori di ricerca dal consumo energetico sbalorditivo e assai proni all’errore, che Midjourney e gli altri generatori di immagini alla fine si appiattivano sempre sugli stessi stili, che ci hanno messo poco a diventare stravisti, e che in fondo l’«altro da sé» promesso dalla presunta rivoluzione delle «IA generative» non era altro che uno specchio distorto e un po’ rotto di noi stessi, pompato per attirare azionisti e investitori. Questo senza neanche entrare sulle problematiche legali legate all’addestramento di questi programmi con testi e immagini raccolti in rete senza permessi né autorizzazioni.
Le «IA generative» faranno la stessa fine degli Nft (i token che avrebbero dovuto essere naturale continuazione delle cryptovalute)? Una delle tante bolle create ad arte e prive di futuro? Per quanto possa averlo pensato chiunque abbia assegnato un lavoro a ChatGPT e poi si sia ritrovato a correggere i suoi pasticci, perdendo il doppio del tempo che ci avrebbe messo a far da solo, è difficile immaginare che le cose vadano davvero così: reti neurali e Intelligenze artificiali restano comunque tecnologie su cui si sta investendo molto, in molti settori (anche perniciosi: sarebbe infatti già ora di un trattato internazionale per bandirle dalle tecnologie militari) e anche se il momento dell’IA romanziera o artista è senz’altro rimandato, e pure il loro uso come strumenti a disposizione dello scrittore o dell’artista è ridimensionato, sono comunque qui per rimanere.
Imparare a confrontarsi con esse resta dunque importante, forse fondamentale, come è già diventato fondamentale imparare a riconoscere una falsa foto, un falso testo o un falso video realizzato con esse (e sì, il campo in cui per ora l’«IA generativa» ha dimostrato la più immediata ed efficace applicazione è stato quello delle fake news).
È in questo quadro che si inserisce Pharmako-IA di K Allado-McDowell, uscito negli Stati Uniti nel 2020, e intelligentemente impostato non come un «libro scritto dall’IA», o un «libro scritto con l’IA», come è giù stato fatto con altri e assai poco convincenti romanzi, ma come un dialogo con l’IA.
Il momento è la prima estate della pandemia da Covid-19: Allado-McDowell comincia a dialogare con GPT-3 su diversi argomenti più o meno legati all’IA stessa, e ci riporta tanto le domande, ovvero i prompt (ciò che scrive l’umano) quanto le risposte della macchina, in una conversazione che finisce a esplorare temi strettamente legati alla natura della coscienza, come la memoria, le intelligenze altre, il linguaggio, l’etica... Il titolo è già un’indicazione chiara per il lettore avveduto: quel Pharmako- è un rimando alla celebre trilogia di Dale Pendell (Pharmako/Gnosis, Pharmako/Poeia, Pharmako/Dynamis, pubblicati in Italia da Add) subito confermato nell’esergo. Nella sua trilogia, studiando il ruolo delle piante medicinali e psicoattive nelle civiltà umane, l’etnobotanico e filosofo Pendell finiva a porsi domande decisive sulla natura della realtà e sulla possibilità di intelligenze «altre», di tipo sistemico, come quelle che potrebbero essere costituite – secondo modalità ancora poco chiare agli umani – da reti di miceli o intere foreste.
Il problema, però, è che quando il fungo psilocybe o le liane alla base del decotto amazzonico ayahuasca «parlano» allo psiconauta Dale Pendell, l’impressione è davvero di un confronto con un altro da sé. Leggendo adesso ciò che dice invece GPT-3 a K Allado-McDowell si ha, nella migliore ipotesi, il senso di qualcosa a metà tra un pappagallo e un registratore. Certo, l’IA simula bene delle riflessioni, e il risultato può stupire (o ingannare) chi non ha mai letto testi scritti da Intelligenze artificiali, ma a ben guardare a quelle frasi e riflessioni manca proprio ciò che filosofi ed esploratori della coscienza come Pendell o come il suo predecessore diretto Terence McKenna cercavano e trovavano nella pianta o nel fungo: la novelty, un seme di pensiero, un’idea, un approccio che non fosse già presente tra gli umani.
Da un’esperienza con l’IA non si torna cambiati: si torna al massimo divertiti, e anche se il lavoro con l’IA ci fa venire idee nuove – e può succedere, con quelle testuali e con quelle grafiche – è perché costruiamo noi sugli spunti che ci vengono offerti. Infatti, leggendo Pharmako-IA, le parti più interessanti, finita la sorpresa, sono sempre quelle scritte dall’intelligenza umana... Questo, per un libro che sbandiera l’IA fin dal titolo, è forse un problema. Un problema che emerge in modo particolare al lettore del 2024: se quattro anni fa le «parole dell’IA» erano ancora non viste dai più, e dunque stupefacenti, ora sono immediatamente riconoscibili come tali, e la magia è già scomparsa da tempo. In fondo questi modelli di IA text to text parlano per luoghi comuni, com’è inevitabile dato che rielaborano testi già visti, e se si può cercare di schivarli con l’abilità del prompting e con la scelta di argomenti inusuali e fortemente tematizzati (ecco un altro limite delle IA, non solo testuali ma anche grafiche: in genere i loro contenuti più interessanti sono quelli nati da un errore, da un glitch, che genera l’imprevisto; oppure quelli in cui in qualche modo vengono condotte a riflettere su loro stesse), in fondo l’impressione sarà sempre quella di un uomo che parla con la caricatura da cartone animato di un robot un po’ idiota, ridicolo nel suo cercare di imitarci, più che con una misteriosa e profonda intelligenza altra.
Detto questo, e nonostante l’invecchiamento rapido – ulteriore problema delle «IA generative»: si provi a guardare, ad esempio, un buon disegno fatto con una versione vecchia di Midjourney: nella maggior parte dei casi si avrà subito l’impressione di un’estetica superata —, Pharmako-IA resta comunque il più convincente tra i libri scritti con l’ausilio di queste tecnologie, se non altro perché riesce a porre questioni di rilievo le quali, se non sono utili adesso, lo saranno presto: su tutte, come potremo e dovremo rapportarci a queste nuove tecnologie, quando saranno messe davvero a punto – sempre che nel frattempo non scoppi la bolla