il Fatto Quotidiano, 15 settembre 2024
Il cast di Boris si ritrova al Tuscia Film Festival
Inviato a Viterbo. Boris è ancora soltanto una fortunatissima serie televisiva oppure – trapassando nel corpo delle migliaia di fan – è planata nella società come manifesto quasi politico, misuratore eccentrico ma fedele della nostra mediocrità, dell’approssimazione che alligna, dell’incompetenza che avanza?
Boris nasce nel 2007 e nel ventennio diviene, senza naturalmente averlo previsto, quel che non doveva essere: un mezzo armato di difesa dell’arte creativa contro i quaquaraquà dello schermo, il talento sul resto del mondo, la passione sull’indolenza, il genio insomma.
A Viterbo, per merito del Tuscia Film Festival, si sono ritrovati per tre giorni attori e spettatori. Con il Biascica, con Corinna e tutta la fila dei personaggi che hanno fatto divenire Boris il centro di gravità permanente del talento, gli ardimentosi spettatori, gli amanti smodati di ogni virgola o frame o passaggio visivo. Quattro serie, sperabilmente una quinta (presto!), e la miracolosa annunciazione che qualcosa nella tv può cambiare per davvero. Perché la prova della nostra mediocrità è l’indice del genio, della qualità della composizione che parla dei nostri vizi con una virtù superiore: il talento. Sala strapiena, naturalmente sold out per l’omaggio plaudente a chi ha immaginato che si potesse recitare e rimodulare una controstoria del cinema da tv raffigurando, attraverso i tic della televisione generalista, il nullismo dei promotori, la dissipazione della competenza intesa come fatica, impegno quotidiano, passione anche civile.
Sold out al botteghino per incontrare gli attori, ritrovarli in carne e ossa e riprendere con loro ciò che è stato. Boris sviluppa e riassume nella trama della sua sceneggiatura quel che possiamo definire il backstage dell’Italia. Boris è la storia di una fiction da quattro soldi (Gli occhi del cuore 2), interpretata da attori dal vuoto cosmico e da attrici inadeguate (“Cagna!” è l’epiteto col quale si fa riferimento a Corinna, la star della fiction, un ruolo affidato alla bravissima Carolina Crescentini). A “cazzo di cane” è il disordinato dispiego di energie creative che un regista di quarta serie ma con i contatti giusti (lo chiamano Renè Ferretti) illustra per governare la sgangherata troupe.
In sala genitori e figli, quindicenni entusiasti e in attesa di trovare in Borisl’accompagnatore delle prossime serate, l’amico di una tv altrimenti repellente.
Gli applausi a Biascica, alle parolacce del greve e caotico tecnico delle luci (interpretato da Paolo Calabresi) che “smarmella” cioè sovraespone con le luci ogni scena, producendo così l’ipertrofia dei lumi, in senso proprio e figurato.
Ecco, la sala viterbese che consegna al visionario Mattia Torre, che da queste parti soggiornava, l’affetto e la memoria, sembra uno di quei circoli Arci di un tempo, oppure quei gruppi di ascolto sulle orme, ce ne sono tuttora, dei gruppi di acquisto cittadini degli ortaggi di campagna, genuini al cento per cento.
Boris non ha figli televisivi, purtroppo. È stata la denuncia più viva e completa della società diseguale e familista. La novità è che il familismo sta per divenire l’oggetto di una nuova battaglia politica proprio dentro la tv. Il governo della destra, in ambasce dopo la love story del ministro Sangiuliano, ha bisogno di contrattaccare. Terreno di scontro sarà il profluvio di soldi che il cinema assorbe dallo Stato in un rapporto, dirà il governo, inversamente proporzionale alla qualità del prodotto.
Si farà campagna politica per dire che prima era peggio di oggi, e lo dirà chi non avrebbe concesso però un euro ai fantastici sceneggiatori di Boris.
“Non so se questo è reducismo, non credo. Immagino che gli autori abbiano sfornato una composizione perfetta, tecnicamente insuperabile, su quelli che sono i vizi del mondo del cinema e della televisione”, dice Enrico Magrelli, curatore del festival. “Boris vivrà sempre e per sempre”, spiega Calabresi. Sarà un titolo cult del nuovo secolo come lo è stato Fantozzi nel Novecento? O anche come lo fu Arbore con Quelli della notte per la capacità dissacratoria, la scrittura innovativa, la forza travolgente di una serie che ha incollato allo schermo l’Italia più avanzata, più curiosa, con più energia? “Mi piacerebbe tanto vedere Boris emulare quello che resta un totem, l’irraggiungibile Fantozzi. Già è bello però che se ne parli”, commenta Vendruscolo.
Certo, Gli occhi del cuore 2 (titolo dello sceneggiato girato dalla troupe guidata dall’incapace regista che ha sempre con sé Boris, il pesciolino rosso) sono perfetti oggi e forse, temiamo, anche domani per una formidabile miniserie di Rai1. Resta il mistero sul perché le cose buone vengano spesso respinte, come se lo chef accompagnasse al tavolo solo piatti immangiabili.
Ma qui si torna nell’incavo dell’ingiustizia come idea fondativa di una società che ama troppo i vizi e poco le virtù. Anche per questo Boris è andato sul satellite.
O no?